Leone è il primo papa a cui la posterità ha attribuito l’appellativo di Magno. Il suo fu uno dei più lunghi e gloriosi pontificati che ricordi la storia (440-461). Benedetto XIV lo proclamò Dottore della Chiesa, il 15 ottobre 1754.
Il Liber Pontificalis lo definisce <<natione Tuscus>> (Ed. Theodor Mommsen, I, 101 sq., ed. Louis Duchesne, I, 238 sq.), e da tale aggettivo si deduce che fosse nato a Volterra, dove il culto di questo santo Papa è antico e diffuso, ma la maggior parte degli storici ritengono che sia nato a Roma, facendo riferimento ad un passo dell’Epistola XXXI,4 e ad un altro del Chronicon di Prospero d’Aquitania (379-455) (PL 51,748), nei quali Roma è detta la sua patria, anche se alcuni studiosi credono che qui patria abbia un significato metaforico.

Particolare di in un affresco dell’VIII sec. di papa Leone I, Magno, chiesa di Santa Maria Antiqua- Roma
Leone, probabilmente, nacque in Toscana, forse a Volterra, in una data a noi ignota, ma secondo lo storico di Prato Lorenzo Taglieschi (1598 – 1654), che nelle sue Memorie Storiche e Annali della Terra d’Anghiari, scritte tra il 1630 e il 1650, lo accredita come cittadino della Villa di San Leo, contado d’Anghiari. Il padre di Leone si chiamava Quintianus. Le prime notizie storiche certe su Leone ci dicono che fu diacono della Chiesa romana sotto papa Celestino I (380 ca. – 432) e del successore Sisto III (390 ca. – 440). Il diacono Leone, che fu eletto papa nel 440, si suppone che sia nato verso la fine del IV secolo e che, quasi certamente, studiò nelle scuole romane nelle quali apprese la lingua, della quale divenne esperto nell’uso di un linguaggio forbito ed armonioso, acquistando pure una vera cultura teologica. Leone, che fu ordinato diacono e iscritto tra il clero di Roma, per il modo di trattare gli affari, divenne uno dei membri più autorevoli della corte papale. Nel 430 il diacono Leone esortò l’abate Giovanni Cassiano (360 ca. – 435) a scrivere un’opera sull’Incarnazione per confutare gli errori del patriarca di Costantinopoli, Nestorio (381 ca. – 451 ca.). Giovanni Cassiano, ubbidendo al desiderio papale, nella prefazione chiama Leone <<vanto della Chiesa romana e del ministero ecclesiastico>>. A Leone, nell’anno seguente, si rivolgeva pure Cirillo, patriarca di Alessandria, per sventare le mire ambiziose del vescovo di Gerusalemme, Giovanni (cfr. Epist., CXIX,4). Nel 439 Leone fece fallire i tentativi del vescovo pelagiano Giuliano d’Eclano per essere riammesso nella sua sede episcopale. Inoltre il diacono Leone fu, se non l’autore, l’ispiratore dell’opera De vocatione omnium gentium (PL 51,647ss), che è una rielaborazione degli insegnamenti di Agostino d’Ippona (35-430) sulla predestinazione, attribuita dalla maggioranza dei critici al teologo Prospero d’Aquitania, monaco a Marsiglia e, dal 440. segretario di papa Leone.
Essendo scoppiata nel 439 una contesa tra i generali romani Ezio e Albino, che stava per degenerare in una disastrosa guerra civile, Leone fu invitato dall’imperatore Valentiniano III in Gallia per riconciliare i due rivali. Mentre il diacono Leone attendeva con successo alla sua missione, il 18 agosto 440 morì il papa Sisto III, allora il clero e il popolo di Roma unanimi, chiamarono il diacono Leone a succedergli sul soglio pontificio. I cronisti contemporanei notano che, mentre talvolta le elezioni pontificie avevano dato luogo a lunghi contrasti, quella di Leone avvenne <<mirabili pace>> e con altrettanta <<mirabili patientia>> del popolo romano che aspettò per ben quaranta giorni il ritorno di Leone a Roma dalla Gallia. Il 29 settembre 440 il diacono Leone fu ordinato vescovo di Roma e sommo pontefice.
L’attività di Leone durante il suo pontificato, consistette principalmente nel mantenere integra la purezza della fede combattendo le eresie, nel riordinare e rafforzare l’organizzazione ecclesiastica, vigilando sulla condotta del clero e dei fedeli e dando norme circa l’amministrazione dei beni e delle celebrazioni liturgiche. A testimonianza di questa sua grande ed instancabile attività rimangono le sue lettere e i suoi discorsi, che sono pure una fonte storica di prim’ordine.
Per l’invasione dei Vandali in Africa, molti manichei si rifugiarono in Italia e a Roma ne furono scoperti parecchi. Papa Leone, che prese a combatterli con estrema energia, sollecitò pure un rescritto imperiale che, facendo riferimento agli antichi editti, poneva i manichei al bando dell’impero. Egli combatté pure con i suoi discorsi le loro dottrine, promosse una severa inchiesta sulle loro riunioni e sugli scandali che vennero alla luce. Con una sua lettera circolare (Epist.,VII), papa Leone informò tutti i vescovi d’Italia di quanto era accaduto e li esortò pure affinché la setta dei manichei, sradicata da Roma, non mettesse radici altrove.
Le dottrine del vescovo Priscilliano di Avila (340 – 385), fondatore del priscillianesimo, eresia derivata dal’arianesimo, si andavano largamente diffondendosi nella Spagna. Il vescovo Turibio Astorga (402 ca. – 476) ne informò papa Leone, il quale, in una lunga lettera (Epist., XV), confutò gli errori dei priscilliani ed espose con precisione e chiarezza la vera dottrina cattolica. Il vescovo Priscilliano, insieme con altri compagni, fu il primo eretico ad essere affidato dalla Chiesa all’autorità civile e in seguito giustiziato a Treviri.
Leone intervenne efficacemente anche contro l’eresia del monaco bretone Pelagio (354 ca. – 427), sia con il farne confutare gli errori sia con l’invitare il vescovo di Aquileia a riunire un sinodo per un’inchiesta sui presbiteri contaminati dal pelagianesimo. Papa Leone combatté l’eresia eutichiana o monofisita, dottrina fondata dal monaco Eutiche (378-454), archimandrita di un monastero di Costantinopoli, il quale sosteneva che nel Verbo Incarnato c’era un’unica natura ed una sola persona: quella divina. Eutiche, che fu condannato, fece ricorso al Papa e all’Imperatore, il quale propose di radunare un concilio ad Efeso per dirimere la questione. In tale consesso, che papa Leone bollò con il nome di <<latrocinium Ephesinum>>, Eutiche, per subdolo intervento di messi imperiali, fu riabilitato, ma Leone protestò. Essendo nel frattempo morto l’imperatore Teodosio II (450), protettore di Eutiche, e succeduta al trono l’imperatrice Pulcheria, il Papa ottenne che si riunisse un nuovo concilio ecumenico a Calcedonia che, nel 451 condannò gli errori di Eutiche ed emanò la formula di fede nella quale è affermata l’esistenza nel Cristo di una duplice natura, la divina e l’umana, in un’unica persona. La lettera di papa Leone a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, detta Tomus ad Flavianum, venne integralmente accettata dai Padri del Concilio, i quali riconobbero che <<per bocca di Leone aveva parlato Pietro>>. La lettera papale godette grande autorità in Oriente ed in Occidente e i vescovi della Gallia, scrivendo al Papa, affermarono di accettarla come un simbolo si fede.

Governolo in prov di Mantova:: Lapide del XVII secolo posta sulla corte a ricordo dell’incontro di papa Leone I Magno e Attila
L’episodio più glorioso del pontificato di Leone è il suo incontro con Attila, re degli Unni, che con le sue orde aveva assalito l’Impero romano di Occidente, spingendosi fino al centro della Gallia. Sconfitto dal generale romano Ezio e dai Visigoti comandati da Teodorico II dei Balti (426-466), nell’estate del 451, si ritirò in Pannonia (parte dell’Ungheria, della Croazia e della Slovenia). Qui, riordinate le sue schiere, nella primavera del 452, valicò le Alpi Giulie, lasciate imprudentemente indifese dal generale romano Ezio, e cominciò ad avanzare e a saccheggiare la valle padana e di lì muovere contro Roma. Distrutta Aquileia, Attila si accampò presso Mantova per spingere poi le sue orde ad occupare le principali città dell’alta Italia: Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, Pavia ed anche Milano. La corte imperiale e i cittadini romani erano in preda al terrore e alla disperazione. In tale situazione, l’imperatore Valentiniano III, il Senato e il popolo romano pensarono di inviare una ambasceria con a capo papa Leone per trattare con il re degli Unni. Leone accettò la difficile missione e insieme con i senatori Gennadio, Avieno e Trigezio partì da Roma <<fiducioso – come scrive Prospero d’Aquitania – nell’aiuto del Cielo, il quale non abbandona mai i buoni nelle loro disgrazie>>. I cronisti contemporanei affermano che Attila si dimostrò molto contento per la venuta del Sommo Pontefice, Capo della Chiesa romana, il quale, lasciata la sua sede, si era recato da lui. Lo storico sofista di Panion in Tracia, Prisco, che allora si trovava nel campo degli Unni quale ambasciatore di Teodorico II, scrive che Attila e la sua corte furono presi da un grande terrore ricordando la fine del re dei Goti Alarico dopo il sacco di Roma del 410, perché temevano che Attila venisse colpito dall’ira divina qualora saccheggiasse la Città Santa: Roma. Si può con molta probabilità pensare che questo sia stato uno degli argomenti che l’eloquenza di Leone adoperò per indurre Attila, <<il Flagello di Dio>> a rinunziare al progetto di muovere contro Roma. Comunque sia, è certo che, subito dopo il colloquio con il Papa, Attila ordinò alle sue schiere di cessare ogni ostilità contro le regioni dell’Italia settentrionale. Inoltre, avendo promesso di concludere una pace con l’imperatore, si ritirò al di là del Danubio.

Incontro di San Leone Magno con Attila, Alessandro Algardi (1595-1654), Cappella della Madonna della Colonna, Basilica di San Pietro in Vaticano. Roma
I disordini scoppiati a Roma per l’uccisione dell’imperatore Valentiniano III e l’inettitudine del successore, Petronio Massimo (+455) indussero il re dei Vandali Genserico nel 455 a salpare da Cartagine con la sua potente flotta per mettere in pratica il progetto, che già da tempo maturava, di invadere l’Italia e saccheggiare la capitale dell’impero. Genserico approdò a Porto, risalì il Tevere per arrivare a Roma e saccheggiare la città. L’Imperatore, la corte, i magistrati e gli aristocratici abbandonarono Roma. Anche in questo grave momento il popolo romano invocò l’aiuto del Papa, che ottenne da Genserico la promessa che non avrebbe fatto versare del sangue, che nessun cittadino romano sarebbe stato ucciso o torturato e che nessun edificio fosse dato alle fiamme. La povera gente si rifugiò nelle chiese di Roma, mentre i Vandali saccheggiavano gli edifici pubblici e le abitazioni private. Il saccheggio della città durò tre settimane, dal 15 al 28 giugno, vigila della festività deli apostoli Pietro e Paolo. In questo giorno Genserico, portando con sé prigioniera l’imperatrice Eudossia, moglie di Valentiniano II, e una immensa quantità di oggetti preziosi, si imbarcò per ritornare in Africa. In memoria della liberazione di Roma dagli incendi, dai saccheggi e dagli eccidi da parte dei Vandali fu stabilito di celebrare ogni anno una solenne cerimonia di penitenza e di ringraziamento per l’intercessione degli apostoli Pietro e Paolo, le <<colonne della Chiesa>>. Ma l’iniziativa non fu sempre rispettata, infatti ci è pervenuto un discorso di papa Leone nel quale il pontefice rimprovera il popolo romano che, dimenticando i passati guai e le grazie ricevute, nell’anniversario del sacco di Roma invece di recarsi alla basilica dei santi Apostoli aveva preferito andare ad assistere a dei giuochi straordinari che si davano nel circo.
Nessun personaggio del V secolo ebbe piena consapevolezza, come Leone, che la potenza politica e militare di Roma imperiale volgeva ormai inesorabilmente al tramonto, ma nello stesso tempo nessuno ebbe come questo Papa l’incrollabile fiducia e la netta la visione che una nuova Roma stava sorgendo, il cui impero sarebbe stato molto più vasto e più glorioso di quello antico. La nuova Roma cristiana, fondata dagli apostoli Pietro e Paolo, prendeva per volere divino il posto dell’antica Roma pagana fondata da Romolo e Remo, Questo tema è il motivo fondamentale di un gruppo di discorsi pronunciati in occasione della solenne commemorazione dei santi Pietro e Paolo.
Leone è il primo papa di cui rimangono i discorsi. La sua è una eloquenza calma e dignitosa, non fu priva di slanci lirici e di immagini colorite. I suoi discorsi procedono con un tono sereno e affettuoso, ma, nello stesso tempo, fermo e solenne. Leone, che è lo scrittore più classico ed elegante del suo secolo, seppe riunire nei suoi discorsi e nelle sue lettere la fermezza e l’antichità dell’antico romano con l’affabilità e la pietà del vescovo cristiano. I suoi scritti sono di particolare importanza per lo studio delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato e per il primato della Sede Romana. Alcune orazioni del Sacramentario leonino, la cui origine romana è certa, risalgono sicuramente a Leone, rivelando affinità di lingua e di stile con le opere sue autentiche. La sua azione in favore della preghiera della Chiesa fu certamente rilevante, come possiamo leggere nelle 143 lettere, corrispondenza di grande importanza per la storia del dogma e della vita della Chiesa e nei 96 discorsi a commento delle varie ricorrenze liturgiche e che ci sono pervenuti.
Desidero concludere questa breve ricerca sul grande Papa riportando un brano del suo Primo Discorso sull’Ascensione del Signore: «Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore. Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso… (Agostino, Discorso 263/A sull’Ascensione del Signore). Come lo videro salire? Con la medesima carne che essi avevano toccato e palpato, in cui avevano perfino verificato, toccandole, le ferite, in quel corpo on cui per quaranta giorni era andato avanti e indietro insieme a loro, manifestandosi a loro realmente, non illusoriamente come un fantasma, un’ombra, uno spirito, ma, come egli stesso dichiarò, senza alcun inganno… (cf. Lc 24,39). Senza dubbio quel corpo non soggetto alla morte né a invecchiamento, merita di abitare fin d’ora in cielo…» (Id., Commento al Vangelo di Giovanni 21, 13). C’era certo motivo di grande e indescrivibile gioia quando, al cospetto delle moltitudini celesti, la natura del nostro genere umano ascese al di sopra della dignità di tutte le creature celesti. Essa passò oltre gli ordini degli angeli ed era destinata ad essere elevata oltre le altezze degli arcangeli. Nella sua ascensione, il nostro genere umano non si è fermato a nessun’altra altezza se non quando questa medesima natura è stata ricevuta alla presenza del Padre eterno. La nostra natura umana, unita alla divinità del Figlio, era sul trono della sua gloria. Poiché dunque l’ascensione di Cristo è la nostra elevazione, anche la speranza per il corpo è sollecitata là dove la nostra guida ci ha preceduti. Esultiamo, carissimi, con degna gioia e rallegriamoci con pia azione di grazie. Oggi non solo siamo costituiti come possessori del Paradiso, ma abbiamo anche penetrato le altezze dei cieli in Cristo…» (Primo discorso sull’Ascensione del Signore, 4; cf. SC 74, 138s).
Papa Leone morì il 10 novembre 461 e venne sepolto nel portico dell’antica basilica di san Pietro. Il papa Sergio I, il 28 giugno 688, ne trasportò le spoglie nell’interno della Basilica, <<in publico loco>>, come leggiamo nel monumento un epitaffio che ci è pervenuto. Nel IX secolo papa Leone IV (790-855) trasferì le sue spoglie sotto l’altare della cappella a lui dedicata nella basilica di san Pietro. Attualmente le spoglie del santo papa Leone si trovano nella Basilica Vaticana, sotto l’altare della Cappella della Madonna della Colonna a lui dedicata, dove furono traslate nel 1715 per volere del papa Clemente XI (1649 – 1721). La Chiesa Cattolica celebra La memoria del grande papa il 10 novembre.
Il Martirologio Romano così lo ricorda: «10 novembre – Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per avere nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per avere sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro».
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere nell’Università di Catania