Cultura

Nella storia della musica Ludwig van Beethoven, che nacque a Bonn il 16 dicembre 1770, è una figura d’uomo e di artista assolutamente nuova.

 Nella vita cercò sempre, e disperatamente, la libertà e l’indipendenza. Formatosi negli anni in cui la rivoluzione francese dettava all’umanità leggi nuove di fratellanza e di uguaglianza, capì che anche l’artista aveva il dovere di lavorare per tutti i suoi simili. Beethoven fu il primo a spezzare ogni rapporto di subordinazione con l’aristocrazia, e per primo visse del proprio lavoro, che offrì ai suoi editori pretendendo che fosse compensato per quello che  valeva. Mentre tutti i suoi predecessori, fino a Mozart (1756-1791) e Haydn (1732-1809), avevano vissuto e lavorato nell’ambito di una cerchia ristretta, sovvenzionati dai loro “padroni” e dai teatri reali, Beethoven cercò impetuosamente il contatto con il pubblico sempre più vasto. Questo atteggiamento di assoluto svincolamento  da un mondo che già all’inizio dell’800 incominciava a decadere, si riflette nella sua vita e nei suoi rapporti con gli uomini.

Bonn, la casa di Beethoven

Fu persona  dal carattere difficile e solo pochissimi poterono entrare con lui in rapporti di amicizia ma mai di vera intimità. Bisognoso di amore come pochi altri, paradossalmente non riuscì  a trovare tra le tante donne, che ebbe la ventura di conoscere, la compagna della vita. Lo sconfinato bisogno di libertà spinse Beethoven ad isolarsi sempre più dal mondo, per affidare alla propria opera il suo messaggio all’umanità, che lo indusse a muoversi in una dimensione irreale che fa della sua vita un’avventura delle più insolite e per certi versi incredibile che la storia ci abbia tramandato.

 In Beethoven parla l’umanità: l’elementare concisione dei suoi temi e dei suoi sviluppi lo porta vicino all’uomo della strada, alle tante persone che fino ad allora erano state praticamente escluse dalla musica. Nelle opere di mezzo del grande  Compositore di Bonn, considerato il <<Titano della Musica>>, emerge alla superfice  l’impeto di fratellanza e di comunicazione con tutti i propri simili, per elevarli e dar loro una precisa coscienza di uomini. E’ il caso degli ultimi quartetti, della Nona Sinfonia, delle ultime sonate per pianoforte, opere sconvolgenti nella loro radicalità espressiva a cui si aggiunge l’espressione artistica. Qui Beethoven raggiunge sfere inesplorate ed apre alla musica possibilità che  solo dopo molti decenni i posteri comprenderanno a pieno nella loro genialità. L’opera di Beethoven è un cosmo in cui l’uomo si trova immediatamente riflesso, nelle sue passioni più irruenti, come nei suoi sentimenti.

La Sinfonia n. 9 in Re minore  op. 125 di Ludwig van Beethoven comprende quattro voci soliste e il coro con il finale sull’Ode An die Freude (Alla gioia) di Friedrich Schiller (1822-1824).

Pagina autografa della Nona Sinfonia

 Scrive di Beethoven l’insigne musicologo e compositore svizzero Willy Hess (1906 -1997): <<Tra la composizione dell’Ottava Sinfonia (1812-1813) e la Nona trascorro 12 anni di solitudine, di miseria e di malattia. In questo periodo matura in Beethoven, ormai completamente sordo, il progetto di un’opera sinfonica che doveva essere una specie di testamento  umano e spirituale, una esaltazione del suo credo artistico; <<Attraverso la notte alla luce>>, una professione di fede nella vittoria della luce sulle tenebre, nella forza dell’amore  e della comprensione umana c he tutte le barriere abbatte e che tutto comprende: così la Nona Sinfonia prendeva forma e carattere. Al I tempo della Nona,  “Allegro ma non troppo, un poco maestoso”, che è uno dei più introversi e drammatici che Beethoven abbia mai scritto,  R. Wagner (1813-1883) appose assai appropriatamente il motto tratto dal Faust di Goethe (1749-1832): <<La musica è il tuo destino>>.

Lo Scherzo si muove in un inesorabile  vortice selvaggio, appena placato  nel quadro rustico e georgico  del trio, mentre nell’Adagio, in virtù dell’indomita e commovente necessità di discorso e di confessione spirituale, che non esclude il più accorato trasporto sentimentale, raggiunge accenti e congedi ultraterreni. Con uno stridente ed aspro inciso di tutta l’orchestra, l’inizio del IV tempo ci riporta nell’immediata realtà terrena, ma quando vengono ripresi i temi dei tempi precedenti, interrotti dai ben noti recitativi dei solisti, è come se Beethoven ritornasse al colloquio con se stesso. Dopo questi canti e sospesi tentativi, l’orchestra trova finalmente la melodia  della gioia, ampiamente elaborata. Ancora una volta interviene la squillante sonorità di tutta l’orchestra, ma l’atmosfera tenebrosa  è vinta, mentre un <<a solo>> del Baritono intona le parole scritte dallo stesso Beethoven: <<O Amici, lasciateci intonare, invece di questi suoni, altri più piacevoli e gioiosi!>>.

Ora la melodia della gioia (dall’ode An die Freude di Schiller) prorompe incontenibile, affidata al coro  e ai solisti in vigorose variazioni, ripresa tra solenni e splendide parentesi corali. Dal punto di vista formale ed espressivo, Beethoven     con quest’opera ha aperto la via alla sinfonia di A. Bruckner (1824-1896). Nel I tempo, infatti, rinunciando a proporre il tema subito in forma compiuta, lascia che esso si caratterizzi e si sviluppi  gradatamente…>>.

Ludwig van Beethoven morì a Vienna il 26 marzo 1827.

Benedetto XVI al Teatro alla Scala di Milano

 Benedetto XVI, durante la sua Visita Pastorale all’Arcidiocesi di Milano e al VII Incontro Mondiale delle Famiglie dall’1 al 3 giugno 2012, ha partecipato al Teatro alla Scala ad un concerto dato in suo onore.

Il santo padre, al termine della magistrale esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven, diretta   dal maestro Daniel Barenboim, così si è rivolto alla qualificata assemblea:

<< In questo luogo storico vorrei innanzitutto ricordare un evento: era l’11 maggio del 1946 e Arturo Toscanini alzò la bacchetta per dirigere un concerto memorabile nella Scala ricostruita dopo gli orrori della guerra. Narrano che il grande Maestro appena giunto qui a Milano si recò subito in questo Teatro e al centro della sala cominciò a battere le mani per provare se era stata mantenuta intatta la proverbiale acustica e sentendo che era perfetta esclamò: «E’ la Scala, è sempre la mia Scala!».

In queste parole, «E’ la Scala!», è racchiuso il senso di questo luogo, tempio dell’Opera, punto di riferimento musicale e culturale non solo per Milano e per l’Italia, ma per tutto il mondo. E la Scala è legata a Milano in modo profondo, è una delle sue glorie più grandi e ho voluto ricordare quell’11 maggio del 1946 perché la ricostruzione della Scala fu un segno di speranza per la ripresa della vita dell’intera Città dopo le distruzioni della Guerra.

Per me allora è un onore essere qui con tutti voi e avere vissuto, con questo splendido concerto, un momento di elevazione dell’animo. Ringrazio il Sindaco, Avvocato Giuliano Pisapia, il Sovrintendente, Dott. Stéphane Lissner, anche per aver introdotto questa serata, ma soprattutto l’Orchestra e il Coro del Teatro alla Scala, i quattro  Solisti e il maestro Daniel Barenboim per l’intensa e coinvolgente interpretazione di uno dei capolavori assoluti della storia della musica.

La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento, si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.

Beethoven, pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della Sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole «O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi», parole che, in un certo senso, «voltano pagina» e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia. E’ una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: «la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio» (Luigi Della Croce).

La casa di Vienna dove il 26 marzo 1827 morì Ludwig van Beethoven.

Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione. Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro Paese. Le parole riprese dall’Inno alla gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti. Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza.

In quest’ora, le parole di Beethoven, «Amici, non questi toni …», le vorremmo quasi riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti. Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica – al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto.

Grazie, allora, ancora una volta all’Orchestra e al Coro del Teatro alla Scala, ai Solisti e a quanti hanno reso possibile questo evento. Grazie al Maestro Daniel Barenboim anche perché con la scelta della Nona Sinfonia di Beethoven ci permette di lanciare un messaggio con la musica che affermi il valore fondamentale della solidarietà, della fraternità e della pace. E mi pare che questo messaggio sia prezioso anche per la famiglia, perché è in famiglia che si sperimenta per la prima volta come la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri; è in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi; è in famiglia che si inizia ad accendere nel cuore la luce della pace perché illumini questo nostro mondo. E grazie a tutti voi per il momento che abbiamo vissuto assieme. Grazie di cuore!>>.

Arturo Toscanini dirige la Nona Sinfonia di Beethoven l’11 maggio 1946

Il nostro connazionale, il Maestro Riccardo Muti (Napoli 1941), che ha diretto, in questa ricorrenza bi-centenaria, l’Orchestra dei Wiener Philharmoniker nella prestigiosa sede del Musikverein di Vienna, la Nona Sinfonia di Beethoven, ha sottolineato che <<questa esecuzione va al di là del concerto in sé. Oggi , nel mondo in fiamme, il suo messaggio di libertà è più attuale di sempre. La Nona viene simbolicamente identificata nell’ultimo movimento, quello dell’Ode alla Gioia di Schiller che è diventato l’inno europeo. Malgrado il suo carattere brusco, Beethoven era un uomo che voleva la pace, l’amore e la fratellanza dell’umanità>>.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

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