Le Corone dei Martiri è stato concepito da Aurelio Prudenzio Clemente, il più grande poeta latino cristiano, con lo scopo di celebrare le vittorie spirituali dei Martiri per l’affermazione della fede cristiana, vittorie che li hanno resi meritevoli delle Corone.
Prudenzio, che nacque nel 348 ca. a Calaguris, l’odierna Calahorra, nella Spagna Tarraconense, ha scritto le Corone probabilmente durante il suo pellegrinaggio a Roma, in conseguenza della lettura degli epitaffi dell’archeologo Damaso, che fu sommo pontefice dal 366 al 384, anno della sua morte.
Nelle Corone, che sono quattordici componimenti più l’epilogo in onore dei martiri, Prudenzio sottolinea il dramma interiore vissuto da questi eroici cristiani: nei loro cuori il bene e il male dovettero darsi battaglia prima del martirio. Il carme prudenziano è stato composto da strofe presenti solo in Quinto Orazio Flacco (65 a.C.-8 a.C), considerato uno dei maggiori poeti dell’età antica, nonché uno dei maestri di eleganza stilistica, in forma di mimo: due pellegrini che si incontrano a Roma, mentre uno chiede i motivi di una festa tanto grande, l’altro risponde che è il giorno della celebrazione di Pietro e Paolo. Altrove Prudenzio racconta il suo viaggio dalla Spagna all’Italia meridionale, ispirandosi al <<viaggio a Brindisi>> che Orazio fece da Roma a Brindisi in compagnia dell’aretino Gaio Cilnio Mecenate (68 a.C. – 8 a.C.) e di qualche altro amico nel 37 a.C. Il carme prende lo spunto per raccontare il martirio di san Cassiano di Imola (Cor. IX). Un altro carme è dedicato al diacono martire Romano di Antiochia, <<valoroso testimone di Cristo Dio>> (Cor. X,1), che è il più lungo delle Corone ed è tutto scritto nel metro che la tragedia antica impiegava nelle sezioni dialogiche. Probabilmente esso doveva essere letto in pubbliche recitationes, come avveniva per le tragedie del filosofo-drammaturgo spagnolo Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 65).
Alcuni tratti della produzione poetica di Prudenzio sono dedicati agli apostoli Pietro e Paolo. Nel carme XII della Corona dei Martiri, egli ha dedicato alcuni versi che riguardano il loro martirio. In tale carme, scrive l’insigne latinista nostro concittadino, Concetto Marchesi (1878 – 1957), il poeta ha perduto l’opportunità per celebrare degnamente i due apostoli, <<che contengono tutta l’essenza creativa ed originale del cattolicesimo romano…>>. Il carme, scrive ancora il Marchesi, <<è piuttosto una descrizione delle due basiliche di Pietro e Paolo che un vero canto del martirio del quale è solo un breve cenno>> (C. Marchesi, Le corone di Prudenzio tradotte e illustrate, Roma 1917, pag. 191-192). Infatti Prudenzio dedicò gran pare del carme (Cor. XII,15-22) alle rispettive tombe e basiliche di Pietro e Paolo, soprattutto alla basilica del “pescatore di Galilea”, descritte con vivacità e abbondanza di particolari.
Non avrebbe quindi inteso il più grande poeta paleocristiano l’essenza creativa ed originale delle due grandi figure, oppure egli riesce a darne, anche attraverso rapidi cenni, una penetrante, esauriente e commossa rappresentazione? Nelle Corone dei Martiri il poeta non descrive con ricchezza di particolari il martirio dei due Apostoli, ma ha il suo scopo è di celebrare le vittorie spirituali dei due martiri per l’affermazione della fede cristiana, perché sono state le loro vittorie che li hanno resi meritevoli delle corone. A Prudenzio mancavano minute informazioni sul processo, sul martirio e sulla morte dei due apostoli, quindi egli non vuole avventurarsi sull’incerto sentiero delle leggende, che la tradizione andava tessendo sulle persecuzioni neroniane.
Ma la Corona (XII), che è dedica al martirio di Pietro e Paolo, le <<due Colonne della Chiesa>>, ha una sua unità poetica cui ubbidiscono le varie parti, anche quelle che a torto sono state ritenute descrizioni estranee alla celebrazione del martirio, che sono frutto di preziosità letterarie e mosaico di belle frasi, attinte in parte dalle Georgiche virgiliane.
La breve narrazione del martirio dei due apostoli, scolpita con incisiva sobrietà, non frequente nella poesia di Prudenzio, assurge ad un alto significato simbolico. I versi dedicati al martirio di Pietro, tra i più belli della poesia prudenziana, austeri e contenuti, scolpiscono la grandiosità ed insieme l’umiltà dell’eroica e singolare morte, mentre la sua croce si erge, solenne, quale simbolo del martirio paleocristiano che, armato solo di umiltà e di fede, ha vinto il più potente impero dell’antichità.
Con l’accostamento di Pietro a Cristo, Prudenzio porta un valido contributo alla costituzione gerarchica della Chiesa e all’affermazione della Croce, quale simbolo di vittoria, che si andava sostituendo al simbolo misterioso del pesce nell’indicare il cristianesimo.
<<La prima sentenza, pronunciata secondo le leggi di Nerone, si portò via Pietro: in base agli ordini egli doveva pendere da un legno molto alto. Ma lui aveva ritegno a emulare l’onore di morire in piedi, imitando la gloria di un maestro tanto grande; così chiese con insistenza di essere appeso a testa in giù e con i piedi in alto, in modo che il suo cervello fosse rivolto verso la parte bassa del palo. Fu crocifisso dunque (così); le mani in alto, le piante dei piedi verso la cima, più grande nell’anima quanto più umile nella posizione. Egli sapeva che di solito dalla terra si va prima in cielo, così al momento di rendere lo spirito volle avere lo sguardo rivolto a terra>> (Cor. XII, 6-10>>.
Il martirio di Paolo ha per sfondo lo scenario cosmico dello scorrere del tempo: <<Quando la liscia ruota ebbe percorso l’orbita del cerchio e il sole sorgendo ebbe riportato lo stesso giorno, Nerone vomitò il bollore della sua furia contro la testa di Paolo, ordinando di colpire il dottore dei pagani. Egli stesso aveva preannunciato che la sua fine sarebbe arrivata presto.: E’ ora di presentarsi al Cristo: ho già cominciato a morire, disse. E subito è portato via , affidato al boia e immolato con la spada. Il profeta non si era sbagliato né nel giorno né nell’ora>> (Cor. XII,11-14).
Alla concezione stoico-epicurea di un fatale susseguirsi di eventi si contrappone quella cristiana, in cui l’uomo è artefice del proprio destino. Si contrappone inoltre la prospettiva del dramma: la condanna per la spada diviene la liberazione dalle catene terrene; l’ora e il giorno non sono apportatori di una esecuzione capitale, ma del compimento di una speranza che non delude, la morte e un viaggio verso Cristo, atteso dall’apostolo, la cui volontà è liberamente legata a quella di Cristo. La morte è la via che porta al cielo, il giorno del trionfo dei due Apostoli, <<che il sommo Padre ha messo l’uno accanto all’altro , affidando alla città togata il compito di venerarli>> (Cor, XII,28); perché il loro sangue <<è una copiosa pioggia ristoratrice>> sui campi tiberini (cfr. Cor. XII,5 ).
Il canto della Passione dei due apostoli si muta così in un inno del trionfo del cristianesimo post-costantiniano, uscito dalle tenebre delle catacombe allo splendore delle basiliche. La descrizione delle tombe e dei luoghi <<dei due ornamenti della fede>> (Cor. XII,28) culmina in un alto canto lirico, in cui si fondono elementi esteriori e interiori in una poesia oscillante nei suoi complessi significati, densa e piena di fascino. Una fusione di termini classici e cristiani richiama l’apertura mentale paolina verso il mondo pagano, mentre un continuo significato simbolico ci ricorda il dono carismatico della Chiesa, che viene fatto scaturire dalle tombe di Pietro e di Paolo.
Mi sembra giusto anche ammirare lo scenario naturale che Prudenzio, con tanti particolari, descrive attorno ai luoghi delle sepolture degli apostoli: <<Il sacro Tevere separa le ossa dei due, scorrendo fra i loro santi sepolcri posti il primo su una riva e il secondo sull’altra. La regione destra ha raccolto e custodisce Pietro in una splendida dimora, dove biancheggia l’ulivo e mormora un corso d’acqua. Infatti la sorgente sgorgata dal ciglio di una roccia ha prodotto una fonte perenne, che rende fertile l’albero da cui si ricava l’olio. Poi l’acqua scorre fra i marmi preziosi e lungo un pendio che rende scivoloso, finché si riversa in un laghetto verdeggiante. Dentro, nei pressi della tomba, c’è un angolo dove l’acqua con una fragorosa cascata si getta in uno stagno gelido e profondo. Sopra ci sono pitture multicolori che si rispecchiano nelle sue onde trasparenti; i muschi rinviano la luce dall’acqua, e l’oro che vi si riflette assume una luce verdastra; l’acqua azzurra trasmette il suo colore alla porpora sovrastante, sicché diresti che è il soffitto ad agitarsi tra i flutti. Il pastore stesso abbevera lì con l’onda ghiacciata della fresca sorgente le sue pecorelle, che vede assetate dell’acqua di Cristo.
Sul lato opposto, dunque il fiume bagna i campi della riva sinistra, la via Ostiense conserva la tomba di Paolo. Regale è lo sfarzo del luogo: un valoroso principe ha consacrato l’edificio e lo ha decorato tutto intorno senza badare a spese. Ha ricoperto le travi con sottili lamine d’oro perché all’interno tutta la luce fosse dorata, come quella del mattino quando sorge il sole. Sotto i soffitti dai biondi riflessi ha posto delle colonne (di marmo dell’isola greca) di Paro e le ha ordinate su quattro file. Poi sopra le volte delle arcate ha fatto correre dei mosaici di vetro, magnifici e vari: sembrano fiori che rallegrano i prati d’inverno. Ecco i due ornamenti della fede, che il sommo Padre ha messo uno accanto all’altro, affidando alla città togata il compito di venerarli. Guarda, il popolo di Romolo si riversa su due strade diverse: lo stesso giorno si assiste al gran fermento di due feste. Quanto a noi, affrettiamoci a passo svelto verso entrambe, e intoniamo inni per l’una e l’altra. Andremo dall’altra parte del fiume, dove ci porta la via del ponte di Adriano; poi passeremo sulla riva sinistra. Il pontefice, dopo aver vegliato tutta la notte, celebra prima i sacri riti oltre il Tevere; poi viene qui e rinnova le preghiere. Ma ti basti di aver imparato tutto questo a Roma. Quando tornerai in patria, ricordati di onorare nello stesso modo questo giorno doppiamente festivi>> <<ecco i due ornamenti della fede, che il sommo Padre ha messo l’uno accanto all’altro , affidando alla città togata il compito di venerarli>> (Cor. XII,15-33)
La poetica fusione degli aspetti della natura con le vicende umane e sovrumane dà una immagine paradigmatica della sorte, immutabile nel tempo, della Chiesa di Cristo, mentre un’atmosfera di paradiso comunica la gioia e la gratitudine per la speranza dell’eterna letizia che le tombe degli apostoli suscitano nel poeta. Nelle Corone dei Martiri la poesia è messa al servizio della fede e la cultura classica è lo strumento per affermare la vittoria del cristianesimo sui culti pagani. Per la varietà, l’abilità metrica e la ricchezza delle immagini, Prudenzio, che morì nel 413 ca., è stato definito <<l’Orazio cristiano>>.
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
già Cultore di Letteratura Cristiana Antica
nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania