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Dopo il debutto al Teatro Menotti di Milano, il nuovo spettacolo di Eugenio Barba, prodotto da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con Tieffe Teatro e Odin Teatret, Le nuvole di Amleto arriva in scena all’Arena del Sole di Bologna dal 14 al 18 maggio. Un evento molto atteso che segna il ritorno a Bologna di uno dei maestri della scena contemporanea, che sarà poi dal 2 al 4 giugno alla Biennale di Venezia con lo stesso titolo.

Questa creazione di Barba, regista e teorico tra i più influenti del Novecento, propone una lettura profonda e originale di uno dei temi più affascinanti della storia del teatro, intrecciando passato e presente in una riflessione intensa e appassionata.

«…Perché oggi Amleto?si chiede Barba Cosa dice oggi a noi la vicenda di un padre il cui fantasma appare al figlio e gli lascia il compito di uccidere e vendicarlo? Qual è l’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che trasmetteremo ai nostri figli? Cosa succederebbe se Amleto, come Antigone, affermasse: non sono nato per condividere l’odio, ma l’amore? Il dubbio rende l’uomo debole dice il principe di Danimarca”.

Nel 1596, Hamnet, l’unico figlio maschio di William Shakespeare, muore all’età di undici anni. Cinque anni più tardi Shakespeare perde suo padre e durante il periodo di lutto scrive La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca. Nell’ortografia irregolare dell’epoca “Hamnet” e “Hamlet” erano praticamente intercambiabili. Molti studiosi hanno scritto lunghi libri sulla relazione tra Hamnet e Hamlet.    

Il testo racconta del re danese Amleto, che porta lo stesso nome del figlio, avvelenato dal fratello Claudio e dalla moglie Gertrude che sono amanti. La loro passione si intreccia con un’altra tragica storia d’amore tra il principe Amleto e la giovane Ofelia.  

Cosa dice oggi a noi la vicenda di un padre il cui fantasma appare al figlio e gli lascia in eredità il compito di uccidere per vendicarlo? Qual è l’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che trasmetteremo ai nostri figli? 

NOTE DI REGIA DI EUGENIO BARBA 

Quando le nuvole fanno cambiare casa alle parole

Cercai nell’Amleto le linee in cui Shakespeare parla di nuvole. Le misi insieme e le usai come nucleo da cui sviluppare le prime scene di uno spettacolo la cui storia e il cui senso erano da scoprire durante le prove. È importante “umanizzare” il processo. Lo spettacolo cresce come una creatura vivente, con una coerenza e un ritmo tutto suo. È un feto che deve essere difeso, che ha già un’identità, e quindi deve ricevere subito un nome. Battezzai lo spettacolo in gestazione Le nuvole di Amleto. Così Shakespeare entrò nello spazio delle nostre prove e delle nostre menti. È il processo intorno a un testo o a una storia reale o inventata a decidere. Sono le sue vicende a provocare le nostre reazioni e dobbiamo agire con cautela senza imporre la nostra volontà intrisa di pregiudizi. Non siamo noi a cercare le storie. Sono loro a bussare alla nostra porta, a convincerci ad accoglierle, a prenderci per mano e condurci nel loro mondo. Un certo tipo di processo creativo presume la rinuncia alle nostre propensioni e l’obbligo a seguire imprevisti, proposte astruse, malintesi e sbagli. Non è passività, cecità, o fede indolente nelle coincidenze. Seguo una storia ancora poco discernibile con tutti i miei sensi all’erta, come una madre segue i passi del bambino che apprende a camminare e ad aprirsi una strada in un mondo sconosciuto.

Perché oggi Amleto?

Hamnet e Hamlet (Amleto) erano nomi intercambiabili in Inghilterra nei registri di fine sedicesimo e inizi del diciassettesimo secolo. Shakespeare aveva battezzato suo figlio Hamnet/Hamlet con il nome di un amico, suo vicino di casa a Stratford. Nel 1596 Hamnet/Hamlet muore all’età di undici anni nella casa di Henley Street. Intorno al suo capezzale la madre, le sue due sorelle e i nonni paterni pensano al padre distante, a Londra, dove vive stabilmente guadagnandosi il pane come attore e scrittore di drammi. Come gli spiegheranno l’improvvisa malattia e il decesso del figlio? Cinque anni più tardi, nel 1601, Shakespeare perde suo padre. Ora è l’unico a portare il nome che scomparirà con lui. Durante il periodo di lutto scrive La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca. Rielabora un testo esistente (oggi perduto) in cui aveva recitato nella sua gioventù il ruolo del fantasma. La storia di Amleto era stata narrata dal francese François de Belleforest che, a sua volta l’aveva presa da una cronica medioevale in latino del danese Saxo Gramaticus. Un racconto di assassinio e vendetta all’epoca pre-cristiana dei vichinghi in cui era dovere del figlio uccidere l’assassino del padre. Nell’Amleto di Saxo Gramaticus così come nel racconto di Belleforest non ci sono spettri. Non ce n’era bisogno perché l’assassinio era dominio pubblico, proprio come l’obbligo di vendicarsi. Shakespeare trasforma l’omicidio in un segreto. Da qui l’arrivo del fantasma, deus ex machina, che racconta come sia stato ucciso. La prima versione del testo di Amleto fu pubblicata in quarto nel 1603 e l’ultima in folio nel 1623 dopo la sua morte. La versione finale del folio è più lunga e più completa di quella del quarto. Include più scene e circa 600 nuove parole inglesi con sette lunghi monologhi che non sono azione ma riflessioni interiori. Oggi lo sappiamo bene: il monologo è una tecnica dei personaggi per trasmettere allo spettatore quello che sta succedendo dentro di loro. Il quarto del 1603 è la metà del testo del folio del 1623, circa 2.000 versi – ovvero due ore di recitazione, la durata abituale di uno spettacolo. È sicuramente la versione utilizzata dagli attori per la rappresentazione al Globe. La versione del folio comporta più di 4.000 versi, ben quattro ore di rappresentazione, impossibile per quel tempo. I soliloqui aggiunti all’ultima versione in folio sono “letteratura” pensata e aggiunta da Shakespeare per i lettori che compreranno le sue opere come libri. 

Tutte queste informazioni, però, non mi aiutano a rispondere alla domanda: perché oggi Amleto? Cosa dice oggi a noi la vicenda di un padre il cui fantasma appare al figlio e gli lascia il compito di uccidere e vendicarlo? Qual è l’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che trasmetteremo ai nostri figli? Cosa succederebbe se Amleto, come Antigone, affermasse: non sono nato per condividere l’odio, ma l’amore? Il dubbio rende l’uomo debole dice il principe di Danimarca. Forse in queste domande risiede il mio errore: giudicare il valore e il senso della mia esistenza e del mio agire secondo norme che appartengono alla società, a una causa, a una quantificabile utilità o a uno scopo del teatro. Siamo tutti influenzati da quelli che ci hanno preceduti e da quello che avviene nel presente. Il teatro, con la sua storia e le sue tecniche è un fiume. Anche senza volerlo, se tu ci entri dentro, ne esci bagnato. Se per me il teatro è il paese della nostalgia, è perché nutre il sogno del possibile nell’impossibile, della fantasia nella realtà, dello stupore nella banalità, della danza nella stasi. La possibilità di condividere l’azione insieme ad altre persone. Da qui la profonda gratitudine per i miei attori e per tanti vivi e morti che mi insegnarono un mestiere la cui energia può intensificare e illuminare il senso incomunicabile della mia vita. Avanzo tentando di capire se il mio corpo-mente ha trovato ancora una volta la strada. Mi identifico impulsivamente con le azioni degli attori: un abbraccio tra intelletto e istinto, tra disciplina e rischio. Sconosciuto mi è lo spettacolo e sconosciuto il suo senso. Non è un enigma, ma un mistero. Come la vita. Diceva T.S. Eliot: ogni generazione sbaglia a proposito di Shakespeare in modo nuovo.

ODIN TEATRET 

L’Odin Teatret (www.odinteatret.org) è stato fondato da Eugenio Barba nel 1964 a Oslo, in Norvegia con quattro giovani rifiutati alla scuola nazionale di teatro. Nel 1966 l’Odin Teatret si trasferì in Danimarca e trasformò in laboratorio teatrale una stalla di una fattoria fuori Holstebro. Nel 1983, il nome fu cambiato in Nordisk Teaterlaboratorium/Odin Teatret come cornice di un’istituzione dalle numerose attività artistiche e didattiche, con una casa editrice, produzione di film, festival e iniziative nella comunità. Nel 2022 l’Odin Teatret ed Eugenio Barba hanno lasciato il Nordisk Teaterlaboratorium e continuano la loro attività in Danimarca e nel resto del mondo. Nel 2024, le attività dell’Odin Teatret includono spettacoli in Danimarca e all’estero, didattica e seminari, un intenso contatto con gruppi di teatro anche attraverso progetti europei, la residenza intensiva annuale Odin Home dalla durata di nove giorni a Ringkøbing-Skjern, l’annuale Transit Festival dedicato alle donne nel teatro a Stendis, e la Poesia del giovedì in collaborazione con altre istituzioni di Holstebro. In collaborazione con la Fondazione Barba Varley (www.fondazionebarbavarley. org) l’Odin Teatret è attivo nella produzione di film e video didattici, nella pubblicazione di libri, nell’appoggio a individui e gruppi in situazioni svantaggiate, in sessioni dell’ISTA (International School of Theatre Anthropology), spettacoli con il multiculturale Theatrum Mundi Ensemble, la rivista “JTA – Journal of Theatre Anthropology” e una serie di film sull’antropologia teatrale scaricabili gratuitamente. Al centro di questa collaborazione c’è il LAFLIS, Living Archive Floating Islands (www.LAFLIS.org), creato dopo la donazione di Barba della sua biblioteca e del suo patrimonio artistico alla Regione Puglia in Italia. È a Lecce, presso la Biblioteca Bernardini, che rivive la storia dell’Odin Teatret, così come l’ingente documentazione sul Transit Festival diretto da Julia Varley, sul Magdalena Project e sui gruppi del Terzo Teatro. È disponibile un archivio digitalizzato con documenti risalenti al 1960, quando Barba si recò in Polonia per studiare regia e incontrò il giovane Grotowski. I legami intrecciati durante sessant’anni hanno portato allo sviluppo di un ambiente professionale e accademico in cooperazione con università, gruppi e associazioni culturali. Le esperienze dell’Odin Teatret, con 86 spettacoli presentati in 67 paesi e in contesti sociali diversi, hanno generato una particolare cultura con radici nella diversità culturale e nel principio del “baratto”: gli attori dell’Odin Teatret si presentano con il loro lavoro per un ambiente specifico, che a loro volta risponde con canti, musiche e danze della propria cultura.

Teatro Arena del Sole, via Indipendenza 44 – Bologna

Prezzi dei biglietti: da 7 € a 27 € esclusa prevendita

Biglietteria: dal martedì al sabato dalle ore 11.00 alle 14.00 e dalle 16.30 alle 19.00

Tel. 051 2910910 – biglietteria@arenadelsole.it | bologna.emiliaromagnateatro.com

Teatro Arena del Sole Via dell’Indipendenza 44 – Bologna dal 14 al 18 maggioSala Leo de Berardinismercoledì ore 19.00 | giovedì e venerdì ore 20.30 | sabato ore 19.00 | domenica ore 16.00 Le nuvole di Amleto
Dedicato a Hamnet e ai giovani senza futuro  Odin Teatret
Eugenio Barba 

con Antonia Cioaza, Else Marie Laukvik, Jakob Nielsen, Rina Skeel, Ulrik Skeel, Julia Varley 

disegno luci e video Stefano Di Buduo 

consulente film Claudio Coloberti 

costumi Odin Teatret  

spazio scenico Odin Teatret 

direttore tecnico Knud Erik Knudsen 

assistenti alla regia Gregorio Amicuzi e Julia Varley 
testo, drammaturgia e regia Eugenio Barba 
testo Eugenio Barba e citazioni dall’Amleto di William Shakespeare

 drammaturgia e regia Eugenio Barba

produzione Tieffe Teatro, Odin Teatret, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

fotografie Annalisa Gonnella

durata 70 minuti

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