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In uscita nelle sale italiane giovedì 24 marzo l’atteso film “La macchinazione” del regista David Grieco che offre una nuova visione degli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini, interpretato dall’ottimo Massimo Ranieri, una vicenda oscura della storia del nostro paese che a distanza di oltre quarantanni merita ancora attenzione.

Altri interpreti Libero De Rienzo, Matteo Taranto, Francois Xavier Demaison, Milena Vukotic, Roberto Citran, Tony Laudadio, Alessandro Sardelli e l’amichevole partecipazione di Paolo Bonacelli e Catrinel Marlon. Musiche dei Pink Floyd. Microcinema Distribuzione.

Nell’estate del 1975, Pier Paolo Pasolini è impegnato al montaggio di uno dei suoi film più discussi, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, e nella stesura del romanzo “Petrolio”, un atto di accusa contro il potere politico ed economico dell’epoca. Intanto, da mesi ha una relazione con Pino Pelosi, un giovane sottoproletario romano che ha legami con il mondo criminale della capitale. Una notte, alcuni amici di Pelosi rubano il negativo di “Salò” e chiedono un riscatto esorbitante. Il loro vero obiettivo non sono i soldi, ma uccidere Pasolini.

Il 1975 ha segnato importanti avvenimenti che hanno contribuito al cambiamento del Paese. L’Italia ha conquistato il diritto al divorzio e, sullo slancio, il Partito Comunista Italiano sembra poter riuscire a vincere le elezioni politiche, per poi andare a governare il paese, abbattendo la storica pregiudiziale anticomunista del mondo occidentale. Ma Pasolini non condivide tutta questa euforia. A suo modo di vedere, l’Italia si sta in realtà spostando a destra, sullo slancio di una cultura consumistica che sembra poter omologare tutto e tutti e rischia di diventare “una dittatura anche peggiore del fascismo”. In quegli stessi giorni, Pasolini vede un ragazzo di borgata, Pino Pelosi, che gli ricorda Ninetto, il Ninetto Davoli da lui scoperto anni prima quando era appena adolescente. Pasolini e Pelosi s’incontrano periodicamente, suscitando le chiacchiere e il sarcasmo di una periferia romana anch’essa molto cambiata rispetto ai tempi di Accattone. In questa periferia si agitano loschi figuri, ben poco poetici e ben poco pasoliniani, che hanno ormai scelto la delinquenza pura: sequestri, rapine, traffico di droga. Appartengono a un’organizzazione criminale che presto diventerà padrona della città, grazie a potenti appoggi e amicizie altolocate: la Banda della Magliana. Durante la sua personale indagine sulle trame della corruzione politica, Pasolini s’imbatte in Giorgio Steimetz, uno strano personaggio dal nome di fantasia, che ha scritto un libro di denuncia contro Eugenio Cefis, l’uomo dell’ENI, della Montedison e della P2. Il libro, intitolato “Questo è Cefis”, è sparito dalla circolazione a quarantotto ore dalla sua uscita e il suo autore è costantemente pedinato dai servizi segreti. Ma Pasolini non può sapere che i suoi incontri con Giorgio Steimetz vengono puntualmente osservati e registrati da spie molto ben organizzate. Una notte, presso gli stabilimenti romani della Technicolor, il negativo di Salò o le 120 Giornate di Sodoma viene portato via da una banda di ladri. I ladri in questione sono degli amici di Pelosi, ma la mente della rapina è un pezzo grosso della malavita organizzata. Inizialmente, per restituire la pellicola viene richiesto un ricatto spropositato: due miliardi di lire. Ma dopo qualche giorno, i ladri sembrano scendere a ben più miti pretese. Nella notte fra il primo e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini si reca dunque all’Idroscalo per riavere il negativo del suo film. Ma in realtà è una trappola. Il suo assassinio è stato pianificato nei minimi particolari da tanti complici volontari e involontari, tutti uguali e tutti ugualmente colpevoli.

Le note del regista David Grieco

“Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini quand’ero bambino. Per me, era un amico di famiglia. Anni dopo, Pasolini mi ha voluto come attore in Teorema e poi mi ha chiesto di fare da assistente a Maria Callas per Medea. Infine, mi ha proposto come sceneggiatore al suo maestro e discepolo Sergio Citti, con il quale ho scritto in seguito numerosi film. Dal 1970 in poi, quando sono diventato un giornalista dell’Unità, Pasolini mi ha scelto come intervistatore privilegiato e mi ha affidato spesso, con discrezione, domande e messaggi indirizzati al PCI di Enrico Berlinguer.

Il 2 Novembre del 1975, quando il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini è stato trovato nello sterrato dell’Idroscalo, fui tra i primi a giungere sul posto in compagnia del medico legale Faustino Durante (che era il padre della mia compagna di allora). Il Professor Durante ebbe modo di raccogliere sul posto decine di legni sporchi di sangue e gli apparve chiaro fin dal primo momento che Pasolini non era stato ucciso da un occasionale ragazzo di vita, ma da un vero e proprio branco di assassini. Tuttavia, come indicato nella successiva perizia, la morte di Pasolini era stata causata da più passaggi dell’Alfa GT sul suo corpo, dettaglio confermato dal presunto omicida Pino Pelosi, che a suo dire era transitato accidentalmente sul suo corpo fuggendo al volante dell’auto di Pasolini. Questo dettaglio è rimasto per decenni avvolto nel mistero, perché sotto l’Alfa GT di Pasolini gli inquirenti non hanno trovato nessuna traccia indispensabile a chiarire l’accaduto.

Solo le impronte dei pneumatici corrispondevano all’Alfa GT. Eppure, un’auto sportiva dall’assetto ribassato come quella di Pasolini non poteva uscire indenne da quella circostanza, su un terreno per giunta assai sconnesso, come venne fatto notare sia da alcuni agenti di polizia, sia dallo stesso professor Durante. Pochi giorni dopo l’accaduto, Sergio Citti, di sua iniziativa, si recò all’Idroscalo per girare, con due macchine da presa 16 mm, un tentativo di ricostruzione del “fattaccio”. In quel frangente, Citti ebbe modo di scorgere sul terreno, a pochi passi da dove giaceva il corpo di Pasolini, un’ampia macchia di olio lubrificante ancora fresco. Segno che quell’auto, passata varie volte sul corpo di Pasolini, aveva finito inevitabilmente per rompere la coppa dell’olio. Ma quell’auto non era, non poteva essere l’Alfa GT di Pier Paolo Pasolini, la cui coppa dell’olio era ancora intatta.

Nel 1976 è stato celebrato il primo processo a Pino Pelosi presso il Tribunale dei Minori, l’ultimo processo del giudice Giovanni Moro, fratello di Aldo Moro, che venne rapito e assassinato dalle BR due anni dopo. In quell’occasione, la famiglia Pasolini mi chiese di scrivere la parte per così dire “culturale” della memoria di parte civile firmata dall’avvocato Guido Calvi. Alla fine di quel processo, il 26 aprile del 1976, Pelosi venne condannato per l’omicidio di Pasolini in concorso con ignoti e il dispositivo della sentenza si soffermò soprattutto sulla reticenza dell’imputato a rivelare i nomi dei suddetti ignoti. Esattamente tre anni dopo, il 26 aprile del 1979, la Corte di Cassazione rese definitiva la condanna per omicidio a Pelosi senza mai menzionare, o piuttosto facendo quasi attenzione a non menzionare, la presenza di quegli ignoti complici. Negli anni successivi all’omicidio, ho continuato ad occuparmi di Pasolini e della sua memoria in molti modi.

Ho aiutato Laura Betti a creare e consolidare il Fondo Pasolini (che oggi risiede presso la Cineteca di Bologna); ho scritto con Sergio Citti un film, I Magi Randagi, ispirato all’ultimo progetto cinematografico di Pasolini, che s’intitolava Porno-Teo-Kolossal; ho realizzato in America un documentario su Pasolini intitolato Borgata America; e ho partecipato a numerosi convegni dedicati a Pier Paolo Pasolini in tutto il mondo. Dieci anni fa, ho maturato la decisione di non occuparmene più. Ero stanco di vedere e ascoltare presunti amici e presunti intellettuali pavoneggiarsi in cerca di notorietà, usando come pretesto il nome di Pasolini. Due anni fa, sono stato più volte contattato da un regista americano, Abel Ferrara, che chiedeva la mia collaborazione per scrivere un film su Pasolini. L’ho incontrato varie volte e non c’è voluto molto per capire che Ferrara aveva in mente di realizzare un film incentrato su crediti non contrattuali – 7 Pasolini e sul suo “appetito sessuale”, per beneficiare anche lui della fama “scandalistica” di Pasolini. Di conseguenza, mi sono sottratto a questa proposta.

Quell’incontro con Abel Ferrara, però, mi ha spinto a rileggere tutti i documenti pasoliniani in mio possesso e a fare altre indagini. Ho avuto dunque modo di imbattermi in nuove, importanti scoperte. Prima fra tutte, la presenza ormai accertata di un’altra Alfa GT, identica a quella di Pasolini, che si trovava all’Idroscalo nella notte tra il primo e il due Novembre del 1975 e che è stata usata per uccidere Pier Paolo Pasolini. L’auto era di proprietà di tale Antonio Pinna, uno dei più spericolati “driver” della Banda della Magliana, ed è stata poi portata da Pinna il 3 Novembre del 1975 presso un carrozziere di Via dei Colli Portuensi, che si è rifiutato di ripararla, perché sotto la scocca dell’auto quel carrozziere ha visto, oltre alla coppa dell’olio sfondata, tracce di sangue, di capelli e di pelle umana. Il giorno seguente, un altro carrozziere della zona ha accettato di ripararla. Questa stessa auto è stata infine trovata, nella primavera del 1976, abbandonata nel parcheggio dell’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino. Antonio Pinna, da quel giorno, è scomparso nel nulla. Un suo figlio illegittimo, quasi vent’anni fa, ha cercato di rintracciarlo, ma invano. La sua ricerca è naufragata al Ministero degli Interni, dove gli è stato mostrato un dossier intitolato a suo padre, che non si poteva consultare perché risultava coperto da Segreto di Stato.

La seconda scoperta è stato il libro autobiografico di Pino Pelosi, Io so come hanno ucciso Pasolini, pubblicato nel 2011. Naturalmente, anche in quest’occasione Pino Pelosi si guarda bene dal rivelare i nomi di chi ha ucciso Pasolini. Ma almeno riconosce, 36 anni dopo, che a massacrarlo furono in tanti e che la trappola dell’Idroscalo era stata organizzata nei minimi dettagli. Queste e altre scoperte mi hanno convinto della vera e propria necessità di fare il film. La Macchinazione racconta gli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini e mette a fuoco il suo rapporto con Pino Pelosi. Perché di rapporto si trattava. Il giovane ragazzo di vita e il poeta non si erano incontrati per caso quella notte alla Stazione Termini. Pasolini e Pelosi si conoscevano e si frequentavano da quattro mesi. E ciò rende ancora più grottesco il mistero dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Le verità ipotetiche sulla morte di Pasolini che circolano da anni sono tante. Pasolini è stato comunque ucciso da Pino Pelosi, che ha fatto prima da informatore per il furto delle bobine di Salò e poi da esca per l’agguato all’Idroscalo. Pasolini è stato assassinato da sicari della malavita organizzata, come Mino Pecorelli e come tanti altri in quegli anni, per rendere un servigio forse neppure richiesto a uomini potenti, megalomani e senza scrupoli. Pasolini era diventato una spina nel fianco per tanti, a cominciare da Eugenio Cefis, perché indagava da più di un anno sui loschi traffici dell’uomo che nel 1973 aveva fondato la P2 e nel 1962 era implicato nell’attentato che aveva fatto precipitare l’aereo di Enrico Mattei. Del resto, Eugenio Cefis era uno dei protagonisti del romanzo incompiuto “Petrolio”. Pier Paolo Pasolini lo aveva ribattezzato Aldo Troya.

Rubo ancora qualche riga per parlare di Massimo Ranieri. È l’interprete ideale di questo film e io non lo cambierei nemmeno con Leonardo Di Caprio. Pochi mesi prima di morire, Pier Paolo Pasolini era seduto accanto a Massimo Ranieri in uno spogliatoio prima di una partita di calcio. Lui lo ha guardato intensamente e gli ha detto: “Sai che è proprio vero che tu ed io ci somigliamo molto?”. Massimo Ranieri è un attore straordinario, a teatro è capace di fare 500 esauriti tutti di seguito, ed è il cantante melodico italiano più conosciuto nel mondo. Il cinema italiano lo ha dimenticato troppo presto, ma alcuni registi internazionali, come il francese Claude Lelouch (che lo ha voluto con sé per ben tre volte nel suo ultimo scorcio di carriera) sanno benissimo di che razza di talento sto parlando”.

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