Catania News

La Polizia di Stato (Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione delle Squadre Mobili di Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo), all’alba di oggi, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia, ha dato esecuzione ad ordinanza di applicazione di misura cautelare, emessa in data 8 giugno dal G.I.P. del Tribunale di Catania, nei confronti di 10 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di persone e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione. È quanto scoperto nell’ambito di un’indagine denominata “Promise land” e coordinata dalla locale Procura Distrettuale etnea. Sono dieci i migranti arrestati tra Catania, Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo, un gruppo criminale, i cui appartenenti vivono in diverse regioni d’Italia, specializzato nell’attività di “human trafficking”.

Gli arrestati sono tutti nigeriani, sei donne e quattro uomini: Osazee Obaswon, di 33 anni, James Arasomwan, di 32, e Macom Benson, di 29, catturati a Messina; Tessy William, di 29 anni ed Evelyn Oghogho, di 26, arrestate a Novara; Faith Ekairia, di 39 anni, Joy Nosa, di 42, e Nelson Ogbeiwi, di 36, arrestate a Verona; Belinda John, di 40, arrestata a Caltanissetta, e Rita Aiwuyoi, di 48, arrestata a Mondovì (Cuneo).

Le indagini sono state avviate dalla Squadra Mobile della Questura di Catania dopo lo sbarco di migranti avvenuto nel porto del capoluogo etneo il 7 aprile 2017 dalla motonave Aquarius della Ong Sos Mediteranee che hanno permesso di fare luce su numerosi casi di tratta ai danni di giovani ragazze nigeriane. L’indagine è partita dalle dichiarazioni di una giovane nigeriana: era stata individuata dal team di investigatori della Sezione Criminalità straniera, specializzato nella cosidetta “early identification” di presunte vittime di tratta. Interrogata, ha detto di avere lasciato il suo paese perchè convinta da un connazionale di nome Osas, che le aveva proposto di raggiungerlo in Italia, promettendole un lavoro lecito e anticipandole le spese del viaggio.

Ai dieci (ma sono 14 le persone indicate nell’ordinanza, ma 4 sono irreperibili) sono state contestate anche le aggravanti della transnazionalità del reato, di avere agito mediante minaccia attuata attraverso il rito del voodoo. Alle vittime, talvolta minorenni, non veniva detto che sarebbero state avviate alla prostituzione, ma piuttosto che avrebbero avuto un lavoro legale. Del gruppo faceva parte una componente italiana costituita da Osazee Obaswon, detto Ozed, il capo indiscusso, William Tessy, detta Silvia, e James Arasomwan; una componente nigeriana formata dai familiari di alcuni degli indagati e altri con il ruolo di reclutatori e infine una componente libica costituita dal connection man, ai quali ci si rivolgeva per il trasferimento via mare.

Alcune delle vittime erano immesse nel circuito della prostituzione delle strade messinesi, dove l’indagata Belinda John (già arrestata per tratta di esseri umani e già condannata), risultava gestire alcuni joints (postazioni lavorative su strada) e alla quale venivano consegnati i canoni mensili per singola posizione occupati. Il gruppo costituiva un punto di riferimento per altri connazionali i quali chiedevano consigli, contatti o supporto logistico e, talvolta, offrivano anche ausilio per la gestione di vittime (gli indagati Faith Ekairia, Joy Nosa, Rita Aiwuyo e altri 4 indagati non rintracciati sul territorio nazionale).

A Messina erano attivi James Arasomwan e Macom Benson, incaricati, tra l’altro, della riscossione del canone di locazione dei joints spettante alla proprietaria dei posti, mentre ulteriori basi operative risultavano dislocate a Novara, dove dimoravano Tessy William e Evelyn Oghogho, a Verona con Ekairia e Nosa, e Mondovì, sede della madame Rita Aiwuyo.

Dalle indagini è emersa l’esternalizzazione dei servizi correlati alla gestione delle vittime e una sorta di amministrazione conto terzi della vittima: il soggetto che aveva finanziato e organizzato il viaggio della vittima la inviava presso un altro soggetto cui delegava la messa a reddito, la raccolta dei guadagni e la consegna; le vittime erano costrette a inviare le somme direttamente al ‘voodoolista’ che in Nigeria le aveva sottoposte al jujù ovvero ai propri parenti affinchè questi ultimi versassero le somme al voodoolista. Quest’ultimo, al momento della ricezione delle somme, avvisava la madame o i suoi parenti in Nigeria e questi ultimi si recavano dal voodoolista per incassare le somme nell’interesse della congiunta, somme che restavano in Nigeria. Il volume di affari generato veniva gestito grazie al coinvolgimento di altri connazionali che si prestavano per trasferire, attraverso canali non ufficiali, la massima parte del denaro in Nigeria (dove veniva impiegato in investimenti immobiliari) o per trasferirlo ai connection men libici in pagamento di nuovi viaggi. Dall’analisi dei flussi di denaro movimentato attraverso le carte di credito e postapay emerse nel corso delle indagini (e tutte sottoposte a sequestro) risultavano accertate operazioni nel periodo di interesse per un ammontare complessivo pari a 1.200.000,00 euro.

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