Cronaca

Un secolo fa, il 7 agosto 1917, in piena guerra mondiale, moriva all’età di 75 anni l’avvocato Lucio Finocchiaro, docente universitario, eminente personalità della democrazia, dell’aristocrazia intellettuale e professionale di Catania, originario di Aci Sant’Antonio dov’era nato l’8 agosto 1842.

   Allorché tutta la sua famiglia fu sterminata da un’epidemia di colera il piccolo Lucio fu educato da uno zio sacerdote che lo avviò agli studi giuridici.

   A Catania svolse il praticantato nello studio del celebre giurista Martino Speciale, uomo politico pieno di meriti civili, patriotici e professionali, amico e avvocato di Garibaldi.

   Finocchiaro assimilò fedelmente il magistero dell’illustre maestro, ne sposò la figlia Anna e lo sostituì nell’attività forense quando costui venne eletto deputato al Parlamento nazionale.

   La vita politico-amministrativa della provincia etnea aveva annoverato in lui uno dei migliori campioni. Deputato della XXI legislatura del Regno d’Italia dal 16.6 1900 al 18.10.1904, poeta e scrittore -sue sono l’opera poetica in due volumi “Il Tasso a Sant’Anna” del 1870 recensita da Mario Rapisardi e il poema “La Madonna di Valverde”- fu eccellente principe del Foro.

   Allo studio di Lucio Finocchiaro di cui aveva sposato la figlia Maria era associato l’avv. Giacomo Blandini professore universitario di Storia del Diritto Italiano: dal loro matrimonio sarebbe nato il poeta Arcangelo Blandini.

   Alla professionalità e all’esempio di Lucio Finocchiaro avevano attinto coloro che con lui avevano combattuto le lotte più aspre per attuare tutto un programma di elevazione morale, di miglioramento e di rinnovamento civile.

   Finocchiaro, grazie alle sue non comuni e classiche doti dialettiche ed oratorie, si specializzò in campo penale e si iscrisse all'<albo degli avvocati alla Cassazione di Palermo>, ancora retaggio delle due Corti Supreme di Giustizia dell’epoca borbonica che accoglieva i ricorsi anche contro le sentenze della Corte Criminale di Catania.

   Divenne così un indiscusso protagonista dell’attività processuale penale del Foro catanese e aderì alla Massoneria divenendo commissario straordinario del “Grande Oriente” per la provincia di Catania.

   L’illustre avvocato e uomo politico, visse penosamente gli anni della guerra nella trepidante attesa ogni giorno di ricevere notizie rassicuranti dai due figli, Vincenzo e Martino, combattenti al fronte e dei quali era molto fiero. Il suo cuore generoso il 7 agosto 1917 non resse alla lunga angoscia. Dopo appena due mesi, il 27 ottobre 1917 cadeva in battaglia sul Grappa Martino, procuratore legale e capitano del 4° reggimento fanteria e medaglia d’argento al v. m..

  Finita la guerra il dottor Martino Finocchiaro, assieme ad altri commilitoni e colleghi caduti eroicamente in combattimento (Giuseppe Carnazza figlio di Gabriello, Raffale Albergo, Giuseppe Anzalone, Raffale De Logu, Francesco Fazio, Pietro La Rosa, Agatino Malerba medaglia d’oro al v.m., Sebastiano Oreste Pavone medaglia di bronzo al v.m. e Rosario Consoli) sarebbero stati iscritti nell’Albo degli Avvocati “ad honorem” e ricordati in una lapide nel Palazzo Tezzano sede del Tribunale, con epigrafe dettata da Federico De Roberto.

    Al Municipio venne esposta, in segno di lutto per la morte di Lucio Finocchiaro, la bandiera a mezz’asta, come attestazione della sua opera illuminata e disinteressata di patriota e di uomo politico, prestata per lunghissimi anni in qualità di consigliere comunale dell'<Unione progressista> (fascio democratico-popolare).

   Scrive Felice Saporita in “Cronache del Foro Catanese (1874-1975)” (Catania, Maimone editore 1997) che il 1 febbraio 1904 avvenne un incidente tra il presidente della seconda sezione penale della Corte d’appello, conte Roberto Guerino, e alcuni avvocati, tra cui il genero Blandini consigliere dell’Ordine degli Avvocati, nel corso della trattazione di una causa in un’udienza pubblica che loro preventivamente avevano chiesto che fosse differita a motivo dell’impossibilità dell’avv. Finocchiaro di presentarsi “stante la sopravvenutagli sventura della gravissima malattia della moglie”.

   Il presidente negò la richiesta che qualificò più volte “pretesto” nonostante l’avv. Blandini avesse esposto alla Corte il motivo gravissimo che metteva l’avv. Finocchiaro nell’impossibilità di venire in udienza a difendere il suo cliente. “Le efficaci rimostranze dell’avv. Blandini, alle quali si associarono gli avvocati presenti, a nulla valsero”. La Corte su richiesta del Pubblico Ministero si ritirò in Camera di consiglio per deliberare. Tornata la Corte in udienza, il presidente lesse un’ordinanza la quale rinviava la causa in questione e “chiudeva con lo inaspettato provvedimento di rinvio di tutte le altre cause, motivato dal<contegno irriverente tenuto all’udienza dagli avvocati>”.

   “Il <dissidio> insorto tra il Foro e la seconda sezione della Corte viene composto con una mossa intelligente e tempestiva, studiata dal procuratore generale, Emanuele Pandolfini, insieme con il primo presidente Vincenzo Casaburi…”.

   La personalità di Finocchiaro era entrata nella stima popolare e nella leggenda: quando si veniva a conoscere che egli avrebbe pronunziato un’arringa, annota ancora Felice Saporita, la gente accorreva in folla “con numerosi studenti e professionisti, ad ascoltarlo. Assertore della dignità della toga, un giorno non esita, con gesto di protesta, a scagliar un calamaio nell’emiciclo dei giudici distratti, per reclamare la dovuta attenzione. Intorno a lui aleggia la fama di uomo integerrimo, di spirito cordiale e gentile, di poeta e di cultore di fiori, anche rari, che ritira da tutti i vivai d’Europa. Acceso patriota, segue le orme del suocero garibaldino, divenendo deputato socialista e figura politica eminente in città”.

   Il 15 ottobre 1917 nell’aula della Camera dei Deputati l’on. Luigi Macchi aveva chiesto l’onore di commemorare Lucio Finocchiaro non solo come suo successore nella rappresentanza politica del collegio di Paternò ma anche come ultimo di quei discepoli che ammiravano profondamente colui che fu giustamente apprezzato ed indicato quale maestro degli avvocati penalisti di Catania.

  “Fu uomo modesto e semplice -esordì Macchi- ed ebbe qualità superiori di intelletto e d’animo, ma egli non cercò di varcare i confini della notorietà che giustamente godeva nella sua regione, perché la natura che è così provvida talvolta verso le creature sue predilette conferendo loro alte qualità spirituali, talvolta diventa matrigna privandoli dell’elemento di propulsione che è la volontà effettiva di passare fra le illustrazioni e gli uomini superiori. Quindi passò in mezzo a noi modestamente e serenamente, suscitando la nostra ammirazione per il suo ingegno, per la sua eloquenza veramente fascinatrice e forbita, e soprattutto per l’onestà e la rettitudine impareggiabile. Morì mormorando parole di fede nei destini d’Italia. Aveva visto partire i suoi due figli al fronte e ritornarne uno gravemente ferito e decorato di medaglia al valor militare. Ancora una volta il giovanetto suo partì per le linee di combattimento, ed il padre si è spento nell’acerbo dolore di non poter riabbracciare i suoi due figli. Ma in questo vivo dolore egli seppe imporsi un senso di sereno rassegnato patriottismo e di fede, e in questa vivida luce ha potuto chiudere la sua vita intemerata…”.

   Anche il ministro di grazia e giustizia e dei culti, on. Ettore Sacchi, si associò alle nobili parole pronunciate da Macchi col dire. “Egli fu un avvocato eminente, un giurista fortissimo, un eloquentissimo oratore, ed aveva tali qualità che avrebbero potuto consentirgli di estendere la sua attività intellettuale e politica in qualunque campo. Ma egli non accettò se non riluttante di entrare nella carriera politica, ché non era il suo desiderio, e volontariamente se ne allontanò per ritornare ala sua vita professionale, nella quale con tanto amore e tanto onore ha proseguito…”.

   Lucio Finocchiaro ha avuto il raro onore nel marzo del 1936 di essere commemorato dall’avv. Raffaello Savarese Micciché, in uno dei “sabati fascisti” dedicati “alla celebrazione dei grandi avvocati di Catania defunti, perché il ricordo dei maestri scomparsi sia gelosamente custodito e spesso ricordato, specialmente ai giovani avvocati, perché ne traggano esempio ed incitamento”, nonché di essere ritratto in un busto marmoreo, opera dello scultore Carmelo Florio, collocato nel corridoio dell’Ordine degli Avvocati dentro il Palazzo di Giustizia di piazza Giovanni Verga.

 

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