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Si è svolta  al Katane  Palace Hotel una conferenza promossa dalla Società Catanese Amici della Musica per la stagione concertistica 2017-2018, avviatasi lo scorso novembre, sotto la direzione artistica di Daniele Petralia. Relatore dell’incontro è stato il professore Aldo Mattina, giornalista, musicologo e critico musicale, che ha dissertato ampiamente e con ricchezza di indicazioni storico-estetiche sulla tematica “Verismo o giovane scuola? Un equivoco da chiarire”. Corredando l’esposizione di numerosi ascolti e video proiezioni, (nella sala Conferenze dell’hotel) Mattina ha avviato il suo percorso dal 1890, anno in cui venne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma l’opera Cavalleria Rusticana, tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga, con musica di Pietro Mascagni, decretando l’inizio  del verismo musicale italiano: filone quest’ultimo che scaturisce dal naturalismo francese di Flaubert e Maupassant, e  dal crudo realismo  di Emile Zola. In Francia, infatti, quindici anni prima, ovvero nel 1875, era andata in scena la Carmen di Georges Bizet, opera che per la sua vitalità e il carattere sanguigno mandò in visibilio il filosofo Nietsche: quest’ultimo, esaltandone la mediterraneità, affermò che finalmente ci si era liberati dal malessere di Richard Wagner. Non da meno, anche l’esteta Eduard Hanslick manifestò il suo interesse di letterato, dichiarandosi entusiasta   dell’opera di Mascagni,  a riprova di quanto  fosse viva, accanto alla diffusione popolare, la critica sociale da parte di intellettuali raffinati: una buona fetta di essi infatti, acclamò il dramma lirico di Massenet, di Gounod e la solarità di Bizet che si stagliavano sullo sfondo del dualismo di Wagner e Verdi in ambito francese-italiano. A fronte di questi ultimi, una  pressante esigenza di rinnovamento, vissuta dall’Italia dopo l’unificazione,  tra gli anni ’70 e’80 in una progressiva europeizzazione,  sfocia in tentativi di rinnovamento che guardano oltre il grande maestro di Busseto, già a partire dal movimento della Scapigliatura (con Boito, Ponchielli, Faccio) antecedente al verismo specialmente nel  nord Italia, e pervenendo in seguito alle nuove strade intraprese dai musicisti della Giovane scuola, ovvero Mascagni, Leoncavallo, Cilea, Giordano, Franchetti, Catalani e con molte riserve Puccini, il quale- specifica il relatore- a suo avviso non può definirsi un seguace del verismo, a parte qualche scelta attinente allo spirito verista, ma realizzata esulando dalla ristrettezza dello stesso movimento.

Il rinnovamento deve muovere innanzitutto dal linguaggio, quindi dal libretto del melodramma verista, dove  si abbandona  la magniloquenza e la storicizzazione dei melodrammi ottocenteschi per adottare un linguaggio più conciso, diretto e colloquiale.  Ed ecco la contraddizione:  se  da un lato si superano gli aspetti peculiari dell’opera italiana, quali la cabaletta, l’aria, il belcantismo e il virtuosismo vocale, a favore di un’impostazione protesa al grido, all’invettiva e all’improperio, con un linguaggio immediato e intriso di sensualità, dall’altro non avviene un distacco netto col passato, tant’è che  si guarda ancora alla tradizione letteraria di Giovanni Verga, maestro del verismo, o si definisce Mascagni il tipico maestro di musica italiano-a detta di Hanslick- alla stregua di Verdi o Bellini. In Cavalleria Rusticana, appunto- ha rilevato il musicologo- accanto a inserimenti innovativi come la Siciliana in dialetto, O Lola ch’ai di latti la cammisa , ci sono un preludio, un intermezzo strumentale e dei cori popolari. Al tempo stesso l’aria tradizionale ( come appare più o meno il saluto finale del protagonista alla madre) si avvia a diventare romanza, mentre l’opera, superando il pezzo chiuso, si struttura come una successione di scene che includono una serie di momenti drammatici racchiusi in una loro unità, con quegli “squarci di vita” che caratterizzano l’opera verista. Il relatore si è poi soffermato sulla contesa tra  Mascagni e Verga: quest’ultimo querelò il musicista livornese perché non ottenne all’inizio nessun beneficio economico dall’enorme successo dell’opera, ma infine vinse il processo. Di contro lo stesso Verga  fu querelato dall’editore Sonzogno per plagio, allorchè consegnò la sua opera al musicista  Domenico Monleone che ne realizzò un’altra stesura musicale, alla quale si dovette cambiare nome dopo la vittoria dell’editore.

Mattina si è poi soffermato su Pagliacci, di Ruggero Leoncavallo, un’altra opera rappresentativa del  movimento verista, delimitato da un arco temporale di quattordici anni, dal 1890 al 1904, che vide molte opere sulla scena ( ben 54 nel 1890!), di cui poche strettamente veriste,  e suggellato da Il Tabarro pucciniano del 1918 (nel video con Piero Cappuccilli diretto da Martinucci). La trama di Pagliacci porta sulla scena una vicenda già nota al compositore, di un artista processato dal padre di Mascagni in qualità di magistrato, per l’omicidio della propria compagna  sorpresa a tradirlo: il tutto veicolato da una declamazione accentuata e da una vocalità spinta quasi furiosa che muove anche stavolta da una situazione di gelosia ( resa dalla potenza espressiva del video di Luciano Pavarotti e Juan Pons, sotto la direzione di James Levine). E che si riconduce  all’accentuata concitazione dell’Otello  verdiano che si scaglia su Desdemona, composto pochi anni prima, e proposto in versione audio con Mario del Monaco e Renata Tebaldi, direttore Karajan. E  ancora del  maestro di Busseto,  il relatore ha posto in rilievo l’inserimento, alla fine dell’opera Falstaff (del ’93, che chiude l’avventura verdiana) di una struttura chiusa in auge tra il Rinascimento e il Barocco, ovvero una fuga vocale  (nell’esempio audio diretto da Leonard Bernstein con Dietrich Fischer): vero colpo di genio dell’autore con l’intento di ritornare all’antico in veste innovativa. Come farà più avanti Igor Stravinskij inserendo in modo trasgressivo una cabaletta nell’opera The rake’s progress.  Il musicologo ha poi evidenziato il lascito negativo del verismo musicale sul belcantismo italiano, per buona parte del Novecento, che ha visto mettere in atto inappropriatezze stilistiche (gridolini, risate, vocalità accentuate) e incongruenze varie in opere belliniane e verdiane, fra quelle del repertorio ottocentesco interpretate da cantanti affermatisi col gusto verista. A chiusura dell’articolata e interessante relazione, la visione di un secondo video sulla Carmen di Bizet, nella traduzione italiana (che ha sminuito a suo tempo la bellezza dell’opera francese) con Gianfranco Cecchele, diretta da Karajan,  a fronte di quella proposta nella prima parte della serata,  per la regia di Zeffirelli, con Placido Domingo, diretta da George Pretre; quest’ultima bacchetta anche in versione audio, con Maria Callas e Nicolai Gedda.

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