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Anche quest’anno mons. Antonio Staglianò, vescovo della Diocesi di Noto non manca all’appuntamento sull’analisi delle canzoni che partecipano al Festival di Sanremo. Eccellente analisi testuale e guida educativa per gli studenti per una lettura intelligente del linguaggio giovanile. I docenti ne possano trarre utili esempi per trasmettere valori educativi che restano impressi. (giad)

Mons. Antonio Staglianò

“La poesia dello scrittore argentino Jorge Luis Borges “È l’amore” – dice mons. Staglianò – ispira Nek in “Mi farò trovare pronto”. Un viaggio nelle favelas brasiliane gli ha fatto “vedere” (gli ha dato, cioè, una visione) quanto è grande donare amore, e come l’amore può riscattare da condizioni di miseria tanti esseri umani. La solidarietà serve la vita delle persone e la onora. L’amore ne fa splendere la bellezza e ne custodisce la dignità. Solo l’amore difende l’umanità. E l’amore non è tuttavia una pianura dove bivaccare, ma piuttosto un cammino in salita da faticare. Chi vive l’amore è più uno scalatore di montagne che uno sdraiato al mare. Più che “sentirsi bene, perché non ci pensa” (Arisa) è invece uno che vuole sentirsi appagato, mentre non si accontenta mai e avanza sempre, mendicante d’amore. In realtà, niente può colmare il bisogno di amare e di essere amati dell’essere umano. E “se non ami, non ti ami, non ci sei, e non hai il senso delle cose più piccole”, cantava anni fa Nek, che adesso “vuole trovarsi pronto a non essere pronto mai/ per essere all’altezza dell’amore”.

“I sentimenti cambiano – prosegue il vescovo di Noto – ma bisogna stare vigili “a certi strani mutamenti”, per non abbassare la guardia e tenerla sempre alta. Non si può vivere come cagnolini o gattini coccolati dai loro padroni che hanno tutto e non “sanno” del dramma della vita e dell’esistenza di milioni di persone che soffrono discriminazione, scarto, reificazione, annichilimento, sfruttamento. Per essere all’altezza dell’amore- dice chiaramente Nek- il problema non è scrivere e teorizzare con “libri di milioni di parole” o “frasi di chissà quale canzone”.

E nemmeno è questione di fiction, di “scene del più grande film di autore, non c’è trama, né copione”. L’amore non è platonico. Mai, nemmeno nei libri di Platone. Per essere all’altezza dell’amore occorre ammetterlo: l’amore ha sempre carne e si vive nei corpi, chiede relazioni affettuose e pacificanti con persone concrete, imponendo l’autotrascendimento di sé verso l’altro, disponibili a seguire “ogni regola che inverti ogni legge, ogni principio”. L’amore è rivoluzionario, quando è amore vero. Non è mai leggerezza, ma legame impegnativo.

Così possiamo capire e accettare i versi dei The Zen Circus – diversamente assurdi- in L’amore è una dittatura: “l’amore è una dittatura, fatta di imperativi categorici, ma senza nessuna esecuzione”. Oltre ogni romanticismo, forse una esecuzione dell’amore-dittatura bisognerà pure ammetterla: sarà necessario annientare il proprio egoismo, la tendenza narcisistica di occupare tutti gli spazi e di distruggere gli altri che appaiono e sono più belli, più creativi”.

Ma l’amore non è solo cose belle. E’ anche rischi.

“Il rischio dell’amore è di non amare l’altro – chiude mons. Staglianò – ma di amare sé stessi attraverso gli altro, sfruttandoli con l’amore cinico (usa e getta) come critica in Soldi, Mahmood: “ti sembrava amore, era altro”. Amare, infatti, può diventare una chiacchiera: “a volte dirsi -ti amo- è più finto di un -dai ci sentiamo-“, sostengono Federica Carta e Shade in “Senza farlo apposta”. Giocare con le persone e con i sentimenti e “ballare sopra al mio cuore” con i tacchi a spillo che pungono sulle ferite, l’amore è molto spesso menzogna: “io ho finito ogni autonomia per sopportare ogni tua bugia”. Ha allora buone ragioni Irama nel cantare, in “La ragazza con il cuore di latta”: “fare l’amore è così facile credo/ amare una persona fragile meno”. Sarà la ragazza “più bella del mondo”, ma “Linda è cresciuta con un cuore che non batte a tempo” e perciò non può fare le cose che sono ordinarie e belle, come correre in cortile e giocare con i compagni. Ed ecco l’amore come vicinanza e cura, prossimità e compagnia: “sappi che io ci sarò, comunque vada. E non lo senti che questo cuore già batte per tutti e due”. L’amore è presenza, sempre, anche quando l’amato è assente, perché è “presenza mistica” e non solo fisica. È condivisione della sofferenza dell’altro, non lasciando nessuno nella solitudine, poiché se “il dolore che hai addosso non passa più/ non sei più da sola, ora siamo in due”.

Le parole dell’amore sono importanti, è necessario però che non diventino chiacchiere. E se Einar in “Parole nuove” annuncia il progetto – “riscriverò l’amore con parole nuove”-, è Ultimo in “I tuoi particolari” a osservare che “siamo soltanto bagagli, viaggiamo in ordini sparsi” e che forse le parole nuove non potremmo scriverle noi, ma soltanto accoglierle da chi soltanto le può ricreare sempre daccapo: “se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei scrivere per te nuove canzoni d’amore e cantartele qui”. Solo un Dio ci può salvare Heidegger), quando “amore mio sei il diavolo, che torni ma solo per dare fuoco al mio cuore di carta”, così Achille Lauro in Rolls Royce: “C’est la vie”. E se la vita è questa la canzone può anche formulare una preghiera: “Dio ti prego, salvaci da questi giorni”. Parole nuove, canzoni nuove per essere all’altezza dell’amore. Forse, qualcosa sta accadendo anche a Sanremo 2019. Le parole di Simone Cristicchi con “Abbi cura di me” sono obiettivamente nuove: “la vita è un miracolo a cui non puoi non credere”; “l’amore è l’unica strada l’unico motore””.

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