Cultura

San Girolamo (347-420) nel suo De viris illustribus così presenta Giovanni Crisostomo: <<Giovanni, prete della Chiesa di Antiochia, seguace di Eusebio di Emesa e di Diodoro (di Tarso), a quanto si dice, va componendo molte opere, di cui ho letto soltanto quella Sul Sacerdozio>> (cap. CXXIX).

Giovanni, il più grande oratore cristiano di tutti i tempi, fu soprannominato dai posteri, a partire dal VI sec., “Crisostomo” cioè “bocca d’oro”, a motivo del fascino suscitato dalla sua arte oratoria da giungere immediatamente al cuore anche dell’uomo moderno. Nato intorno al 349 ad Antiochia di Siria (oggi Antakya, nel sud della Turchia), Giovanni si dedicò agli studi di retorica sotto la direzione del celebre retore siro di lingua greca, Libanio (314 – 394) e pare che questi lo stimasse a tal punto da rispondere a chi gli chiedeva chi volesse come suo successore: “Giovanni, se i cristiani non me lo avessero rubato!” Dopo aver ricevuto il battesimo nel 372, Giovanni frequentò la cerchia di Diodoro (330  ca – 394 ca.), il futuro vescovo di Tarso, a cui si aggiunse poi Teodoro di Mopsuestia (350 ca. –428). Nel gruppo di discepoli che si radunavano attorno a Diodoro, Giovanni imparò a leggere le Sacre Scritture secondo il metodo antiocheno, attento alla spiegazione letterale dei testi, e compì i primi passi lungo quel cammino spirituale che lo condurrà a lasciare la città e a vivere alcuni anni in solitudine sul monte Silpio, nei pressi di Antiochia.

San Giovanni Crisostomo, antico mosaico bizantino proveniente dalla Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli (Istanbul)

Rientrato in città nel 381, fu ordinato diacono dal vescovo Melezio di Antiochia (+381) e, nel 386, presbitero dal successore Flaviano di Antiochia (320 ca. – 404), che gli fu maestro non solo di eloquenza, ma anche di carità e saldezza nella fede. Furono anni di intensa predicazione sempre fedele alla lettera del testo biblico, che si traduceva sovente in esortazione morale: ora veniva presa di mira la passione per gli spettacoli che eccitava i cristiani di Antiochia, ora la rilassatezza dei costumi. Con grande zelo esorta a radicare la propria vita di credenti nella conoscenza delle Scritture, a vivere un’intensa vita spirituale senza ritenere che essa sia riservata soltanto ai monaci, a praticare la carità nella cura sollecita per il “sacramento del fratello”.

<<È un errore mostruoso credere che il monaco debba condurre una vita più perfetta, mentre gli altri potrebbero fare a meno di preoccuparsene … Laici e monaci devono giungere a un’identica perfezione>> (Contro gli oppositori della vita monastica 3,14). Nel 397 Giovanni, per ordine dell’imperatore Arcadio, fu chiamato a Costantinopoli quale successore del Patriarca Nettario (+397). Nella capitale dell’impero il nuovo Patriarca si dedicò con grande zelo alla riforma della Chiesa: depose i vescovi simoniaci, combatté l’usanza di ogni tipo di coabitazione dei preti, predicò contro l’accumulo delle ricchezze nelle mani di pochi, destinando pure gran parte dei beni ecclesiastici alle opere di carità. Anche a Costantinopoli continuò il suo ministero di annunciatore della Parola di Dio e di operatore di pace. Si rivelò intransigente quando la fede ora minacciata, ma predicando sempre l’amore per il peccatore e per il nemico. Lo storico Socrate Scolastico  (380/390 –  439/450) scrive: <<Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava>> (Storia ecclesiastica 6, 4). Tutto questo gli procurò molti amici e molti nemici: amato dai poveri come un padre, fu osteggiato dai potenti che vedevano in lui una temibile minaccia per i loro privilegi. L’inimicizia nei suoi confronti crebbe con l’ascesa al potere dell’imperatrice Eudossia. Costei, con l’appoggio del Patriarca di Alessandria, Teofilo, nel 403 indisse un processo contro Giovanni e lo fece deportare e condannare all’esilio in Bitinia. Il decreto di condanna fu revocato dopo poco tempo e Giovanni poté rientrare a Costantinopoli, ma solo per pochi mesi.

Durante la celebrazione della Pasqua del 404 le guardie imperiali fecero irruzione nella cattedrale della città provocando uno spargimento di sangue e disordini per diversi giorni. Poco dopo la festa di Pentecoste Giovanni fu arrestato e nuovamente condannato all’esilio. Giovanni si appellò al papa Innocenzo I (378 – 417), che ne riconobbe l’innocenza; ma ciò nonostante fu costretto a lasciare Costantinopoli. Alla sua partenza vi furono tumulti in città che fornirono un pretesto alle autorità imperiali per arrestare e perseguitare i seguaci di Giovanni che nel 404 fu confinato prima a Cucuso, una piccola città dell’Armenia, ma poiché anche in questo luogo sperduto era raggiunto dalle manifestazioni di affetto dei suoi fedeli, i suoi nemici provvidero a farlo partire per una sede ancora più lontana. Avrebbe dovuto raggiungere Pityus, una regione desertica ai piedi del Caucaso, sulla sponda orientale del mar Nero, ma morì lungo il viaggio, a Comana, stremato dalle marce forzate a cui era stato sottoposto, il 14 settembre 407, dopo aver pronunciato ancora una volta: <<Gloria a Dio in tutto: non smetterò di ripeterlo, sempre dinanzi a tutto quello che mi accade!>> (Lettere a Olimpia,4). In queste parole è condensata la testimonianza di Giovanni “bocca d’oro”, che ci insegna a cogliere la luce della risurrezione che già si sprigiona dalla croce e a portare la croce nella luce del Cristo risorto. Allora ogni discepolo può proclamare con gioia: <<Gloria a Dio in tutto!>>.

La traslazione delle reliquie di Giovanni Crisostomo nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli

Giovanni Crisostomo ci avverte anche che <<non basta far le opere di misericordia, ma le si devono fare con larghezza, senza tristezza d’animo… e con gioia …. Proprio questo voleva ottenere con gran cura l’Apostolo scrivendo ai Corinti: Chi scarsamente semina, scarsamente mieterà; e chi semina con larghezza, con larghezza mieterà  (2Cor 9,6); soggiungendo poi, per creare uno stato d’animo retto: non a malavoglia o per forza (2Cor 9,7). Queste due disposizioni devono essere presenti in chi compie opere di misericordia: la generosità e la gioia. Perché gemi quando fai l’elemosina? Perché ti rattristi compiendo opere di misericordia, e rinunzi così al frutto della tua opera buona? Se sei triste, non sei misericordioso, ma rozzo e insensibile. Così rattristato, come potrai alleviare chi è nel dolore? E’ desiderabile che, porgendogli tu con gioia il dono, egli non sospetti nulla di male; dato infatti che nulla sembra tanto umiliante agli uomini come ricevere dagli altri, se non elimini ogni sospetto con una gioia smisurata, mostrando di ricevere piuttosto che dare, opprimi chi  riceve il tuo dono piuttosto che sollevarlo. Per questo l’Apostolo dice: Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia (Rm 12,8). Chi ricevendo un regno si mostra afflitto? Chi raccogliendo la remissione dei peccati resta accasciato? Non pensare dunque alla spesa, ma al guadagno che te ne deriva. Infatti se chi semina si rallegra, anche se semina nell’incertezza, tanto più colui che coltiva il campo del cielo. Così, anche dando poco, darai molto; come invece pur dando molto, ma con tristezza, riduci, a poco il tuo molto. In tal modo anche la vedova con due monetine diede più di molti talenti: il suo animo era generoso.

Miniatura del Codice Vaticano 1162, che si ritiene rappresenti la chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli
nella ristrutturazione di Giustiniano

<<Ma come è possibile – si obietta – che chi vive in libertà estrema  e dà tutto il suo, lo faccia di buon animo?>>. Interroga la vedova, e senti come, e impara che non è la povertà a creare l’angustia, ma la libera volontà che può fare una cosa e tutto il contrario; anche nella povertà è possibili essere magnanimi e nella ricchezza gretti d’animo. Per questo l’Apostolo richiede che si dia del proprio con sincerità, che si facciano opere di misericordia con gioia, che si stia al comando con sollecitudine. Vuole infatti che aiutiamo i i bisognosi non solo col denaro, ma anche con le parole, con le opere, col corpo e con tutto il resto>> (Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 22,1-2).

Nel 438 i suoi resti mortali vennero riportati in trionfo a Costantinopoli e deposti sulla cattedra episcopale nella chiesa dei Santi Apostoli dal figlio della stessa Eudossia, l’imperatore Teodosio II (401 – 450). Era il riconoscimento da parte di tutto il popolo della santità del Pastore che, con la sua parola e con l’esempio di una vita rimasta ascetica anche nel turbine dell’azione della lotta, aveva rinnovato l’età degli Apostoli.

Il Martirologio romano celebra la memoria di san Giovanni Crisostomo il 13 settembre. Nel 1568 il vescovo san Giovanni Crisostomo fu proclamato Dottore della Chiesa da papa san Pio V. Le sue reliquie sono venerate nella Basilica Vaticana dove, secondo una tradizione non confermata dalle fonti, sarebbero giunte all’epoca della IV Crociata, dopo il sacco di Costantinopoli del 1204. Nel novembre 2004 il santo papa Giovanni Paolo II fece il dono di alcune reliquie di san Giovanni Crisostomo al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

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