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Per ciascuno di noi ci sono partite che hanno un gusto particolare. Per me quelle col Lecce l’hanno sempre avuto, a prescindere dalla categoria. La bella città salentina ha corso il serio rischio di avermi come suo cittadino; o, forse, sono stato io a correre questo rischio e, poi, a scamparlo. Stranezze della vita… Tanto per dare ragione al martogliano “vidìti quantu pò ‘n pilu di fimmina”… Per alcuni anni sono stato, infatti, fidanzato con una fanciulla che ho conosciuto a Torino ma che aveva salde radici nella terra di Sant’Oronzo, quel vescovo che guarda dall’alto della sua colonna la piazza principale, dove c’è il “Sedile” e i resti dell’anfiteatro romano, e che si prestava alle più irriverenti rime dei miei commilitoni. Sì! Perché, a completare l’opera ci si è messo lo Stato, facendomi soggiornare per quattro mesi nella caserma Nacci, nella strada che porta a Monteroni, per imparare l’uso dell’Emmequarantotto; mi pare che fosse questo il nome dell’arcaico modello di carrarmato che – devo confessare (arrossendo?) – mi divertivo a guidare (nel senso, talora, di pilotaggio, tal altra, di comando) anche negli addestramenti a fuoco.

Lecce città

Lecce città

“Firenze del barocco” è chiamata orgogliosamente dai suoi abitanti in obbedienza allo stile architettonico prevalente che raggiunge alti vertici di bellezza e ricchezza, come nel Duomo così nella basilica di Santa Croce. E questo nome (Santa Croce) deve avere influito non poco sull’accostamento alla città toscana. Ammettevo, sì, la bellezza di Lecce ma, per dispetto alla ragazza (e per viscerale convinzione) aggiungevo che niente aveva a che vedere con Catania; al più era una piccola Acireale… E la ragazza, a un certo punto, venne a constatare di persona…

Anche i dintorni, il mare soprattutto, sono di una bellezza travolgente. Il ricordo più importante è per Otranto, con lo stupendo mosaico pavimentale della sua Cattedrale. E, poi, la luce levantina (come la nostra), che trasformò i miei quadri, sino ad allora intrisi di tristezza e grigiore padano e la mia grafica per lo più in bianco e nero, in uno spettacolo di trasparenze luminose che non ho più riproposto, anche perché altre attività artistiche hanno preso il sopravvento sulla pittura.

Una volta con altri “carristi” siciliani, tutti rigorosamente in divisa, andammo allo stadio per Lecce-Messina di serie C. Per solidarietà isolana e alla faccia di esasperati campanilismi, tiravamo per i peloritani, che però persero 2-0; con loro giocava tal Picat Re, un attaccante così prolifico da aver segnato prima con la maglia del Catania (1972-1974; serie B) 4 reti in 47 partite (media: 0,09) ed essere stato più efficace col Messina, segnando lo stesso numero di gol ma in 31(media: 0,13; 1974-75); per ironia della sorte, l’anno dopo questo piemontese avrebbe mantenuto i colori giallorossi, ma per una quasi insignificante parentesi leccese.

Fra ricordi più gustosi di quei tempi c’è quello di una mangiata di fave da me stesso appena raccolte, accompagnata da ottimo vino, Negramaro o Primitivo, non ricordo. Parlano una lingua che assomiglia assai alla nostra (siciliana): ccà banna, dda banna, carusu, cantune, carcagnu… Interessante quanto dice in proposito Wikipedia: «Il dialetto salentino (salentinu) è un dialetto della lingua siciliana parlato nel Salento, regione dell’Italia meridionale… è classificato fra le varietà di tipo meridionale estremo insieme ai dialetti parlati in Sicilia, nella Calabria centro-meridionale e nel cilentano meridionale…». Ha anche un sapore di antichità greco-latina con i suoi “kalimera, kalispera, crai e buscrai”.

Per coerenza, non posso chiudere quest’ampia parentesi se non con un et cetera, et cetera, et cetera…

Il 2-0 di Di Grazia (Foto  Catania Calcio)

Il 2-0 di Di Grazia (Foto Catania Calcio)

Tutto questo spiega perché – sedata la febbre con una pasticcona da mezzo chilo e sfidando il clima che, a dispetto di tutte le previsioni, sembrava minacciasse pioggia – mi sono precipitato al vecchio Cibali. Si può anche capire il sublime godimento nel vedere carambolare (nel senso proprio del termine) in rete quel tiraccio senza pretese di Silva che aveva appena sostituito il suo connazionale Caetano (Calil). Ora… È vero che di tiraccio si è trattato (definito ancor peggio dal diretto interessato); ma se uno tira verso la porta, lo fa con l’intenzione di segnare; altrimenti farebbe altro. E, se non si tira, è molto improbabile che possano verificarsi carambole. Elementare Watson! Ma elementare un fico secco! Si è vinto anche perché qualche tiro verso la rete avversaria da lontano stavolta s’è fatto (Mazzarani e Di Grazia, in primis). Che in area avversaria non ricordo di avere visto mai alcun rossazzurro avere o cercare spazio. Sino a quel momento, nonostante l’impegno profuso dai “nostri”, i pugliesi erano sembrati più squadra, rendendosi maggiormente pericolosi e spiegando il perché della diversa posizione in classifica; del resto, che altro può significare che il tuo portiere sia unanimemente giudicato fra i migliori in campo? In certi momenti, la sensazione era che i “bianchi per l’occasione (caso)” giocassero al gatto e al topo: prima o dopo li fottiamo; abbiamo le migliori bocche di fuoco del campionato! Ma, grazie alla difesa (che adesso è diventata la migliore) e a una cospicua dose di culo, il cerino è rimasto in mano loro e si sono bruciati. Stessi colori del Messina, stessa sorte, ma che divario!

Note comuni con il derby? La mancata distribuzione dell’Organo ufficiale (una volta circolavano anche altri due giornali); avrebbe aiutato chi ha meno decimi di vista a capire che il 32 era Mazzarani, uno dei quattro Andrea (negli ultimi minuti ce n’erano tre in campo). Novità? Il tabellone elettronico non è più difettoso; adesso, non funziona proprio, spento. Neanche quest’ultima cosa è irrilevante: nella concitazione e col frastuono non s’è capito (malgrado proprio verso la B il tabellino del terzo uomo fosse rivolto) a quanto ammontasse il recupero. Eternità anche se giustificata; il solo Di Grazia con l’esultanza aveva speso più della metà dei sei minuti concessi… Ma ormai sembrava chiaro che il Lecce non avesse più risorse…

Intervento di Bucolo su avversario del Lecce

Intervento di Bucolo

Chi ha visto la partita e non ha pensato che il calcio è strano, alzi la mano. Giochi a tiro a segno – ad esempio, contro Agrigento – e a tempo scaduto t’infilzano; soffri maledettamente a Melfi, in svantaggio (meritato) e il pareggio ti piove addosso; lasci punti qua e là e… Da (ex) “fanalino di coda” giochi quasi alla pari con la prima della classe e la mandi a Via del Mare con due deliziose confezioni regalo (la seconda, particolarmente bella e ancora una volta catanese al 100%).

A ogni buon conto, servivano tre punti e tre ne sono arrivati. Per gli altri che ancora giovano siamo in fiduciosa e trepidante attesa.

Salvo Nicotra

Salvo Nicotra

Salvo Nicotra si è occupato di tante di quelle cose che è come se non si fosse occupato di nulla… Laurea in Lettere all’Università di Torino con tesi sull’attualità del Teatro dei Pupi siciliani, regista teatrale e uomo di cultura e di sport, ha collaborato sin dalla (lontana) giovinezza con numerose testate giornalistiche; nella “precedente vita” è stato lavoratore pubblico e dirigente sindacale.

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