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Che calcio! Non quello dei mondiali da cui – allo stesso modo del Catania, mutatis mutandis – è scomparsa dai radar la Nazionale azzurra. Per gli incorruttibili sostenitori della sola squadra etnea sabato scorso ci sono stati due risultati di cui godere. Miseria umana che ci possiede! Da una parte, la netta sconfitta del Siena nello spareggio per la promozione in B con il Cosenza dell’ottimo Braglia: vendetta, tremenda vendetta, giustizia (quasi) fatta. Dall’altra, una botta analoga patita dal Palermo a Frosinone con due belle reti di Maiello e Ciano (Camillo, non Galeazzo; con rime e storpiature connesse).

Logo Catania Calcio

Da tifoso catanese, appunto, gongolavo, anche se c’era stato il fastidioso episodio del fallo da rigore, trasformato in punizione dall’arbitro La Penna (forse con la complicità di una “soffiata” da VAR fantasma): «Brighenti sgambetta Coronado appena dentro l’area», scrive la “Gazzetta (cfr: https://video.gazzetta.it/incredibile-frosinone-palermo-arbitro-assegna-punizione-poi-cambia-idea-due-volte/1d59160e-7227-11e8-8db3-74366105a812?refresh_ce-awe_video&counter=2). Mi aveva ricordato troppe cose viste quest’anno contro il Catania e ricondotto al mio “chiodo fisso”: l’ingiustizia sportiva.

Pende, un annunciato ricorso dei rosanero per due altre azioni infamanti e un “si dice” proprio sul La Penna che sarebbe invischiato in un conflitto di interessi, come legale prossimo alla squadra ciociara. Che ci posso fare? Sarà anche il Palermo ma certe cose non le digerisco proprio.

Le concitate fasi di Frosinone-Palermo

In campo si ricorderà come la azioni dei rosanero fossero interrotte per la contemporanea presenza in campo di più palle; può capitare ma quando diventano di pubblico dominio i video che mostrano soggetti, inequivocabilmente riferibili al Frosinone, dediti a “fare il giochino” infame, le cose cambiano. Se si aggiunge la festosa invasione di campo, dopo la seconda marcatura ma prima che fosse fischiata la conclusione dell’incontro, il gravame aumenta.

Ricordo l’incazzatura quando a Siracusa, ad esempio, nessuno ha visto né sentito… L’ingiustizia sportiva, intanto, ha omologato il risultato (ammettendo i fatti ma infliggendo alla squadra colpevole solo altre pene) e il “genio” che è a capo di tutto, dopo avere usato il computer (è una moda!) per complimentarsi e additare il Frosinone come “esemplare”, ha dovuto ammettere di non avere assistito alla partita. Giustificazione accampata solo dopo essere stato destinatario di comprensibili “rimbrotti” di provenienza palermitana. Forse l’esito di tutto è già scritto e da tifoso rossazzurro dovrei gioire; non è così. Mi ostino pervicacemente a desiderare un Calcio che rifiuti di essere profondamente corrotto da malanni endemici.

Lucarelli perplesso. Chi dopo di lui? (Ph. calciocatania)

A Catania, adesso, non si parla d’altro che del toto-allenatore: chi guiderà la rinascita della squadra? Sempreché di “rinascita” si voglia parlare. Mentre la città ha scelto da chi farsi guidare fuori dalla spazzatura, dalle basole sconnesse e da ogni altra afflizione. E sulla stampa cittadina si legge un elenco ipotetico di assessori (e nomine) che con la città (in senso stretto) non c’entrano una mazza! Ma a sindaci e assessori non catanesi siamo, ahinoi, abituati. Anche se stavolta il primo cittadino mi pare che sia “nativo”.

Sulle elezioni, sembra assurdo ma pare che abbia influito il dilemma del Tondo Gioeni. Quasi un referendum. Adesso che le elezioni appartengono al passato e non può esserci il timore di un uso strumentale, esprimo il mio pensiero sulla fontana della discordia.

Ovviamente, la mia opinione – che come tale è soggettiva – riguarda la “soluzione” non il processo attraverso cui vi si è giunti. Non riguarda, cioè ad esempio, le problematiche connesse alla viabilità né se con gli stessi soldi si sarebbe potuta fare qualche altra cosa. Sulla viabilità c’è una recidiva che risale a tempi immemorabili; abbiamo ancora le cicatrici per la ferita inferta con il terrificante assetto dato a corso delle Province (di un corso si è fatto un budello) su cui ho registrato un assordante silenzio (all’epoca ne scrissi) e la giunta era di un altro colore, l’attuale. Neanche a me dava fastidio il cavalcavia né ho la dotazione tecnica per poter dire se la congestione è del tutto una conseguenza del suo abbattimento e se essa è stata temperata dalle soluzioni adottate. Sulle alternative di spesa, penso che anche al posto del Duomo di Milano si sarebbe potuta fare qualche altra cosa, tante altre cose, magari più utili. E non ditemi che un falso gotico possa essere ritenuto bello!.

La discussa fontana del Tondo Gioeni

Perché una fontana sia tale deve avere l’acqua, zampillante, cadente, a spruzzi (non come s’è ridotta quella – importante per svariati motivi – dei Malavoglia in piazza Verga); questa del Tondo Gioeni l’acqua ce l’ha (almeno, per adesso). Acqua fluente, acqua purificatrice, acqua rinfrescante, acqua gioiosa… E quando canta l’acqua, quando scende l’acqua, quando s’illumina l’acqua, è già di per sé poesia. Trovo il “complesso” decoroso e sobrio a un tempo; ovviamente, considero il decoro e la sobrietà come dei valori. Certo, quello che fa un architetto è sempre opinabile; a Venezia ancora storcono il naso per il Ponte di Calatrava o “della Costituzione”. Nessuno, da noi, cita il nome del suo autore (che, per come risulta inciso, insieme al nome del sindaco Bianco e all’anno, è l’architetto Francesco Ugo Mirone). Non mi sembra che sia ridondante o che crei conflitto con il contesto. Sembra sottolineare il proprio stato di cornice e tale funzione, in fondo (è proprio il caso di dirlo, trattandosi del punto terminale di via Etnea) è chiamato a svolgere. Il modello richiama quello del Pincio romano (e non solo quello romano) e a me non sembra meno gradevole, ritenendo il Pincio troppo “caricato” (come capita al barocco). Me lo ricorda anche perché, alla sua sommità, cinto da ringhiere, c’è un camminamento, una terrazza da cui, affacciandosi, si può godere un panorama mozzafiato. Sino alla dirimpettaia Porta Uzeda, che mi sembra (e non sembra solo a me) dovrebbe essere il vero riferimento, ben più pertinente – tra l’altro – rispetto all’“Acqua linzolu” da cui non ha inizio via Etnea, una delle arterie più belle del mondo (e a cui “tal” Giuseppe Villaroel intestò nel 1957 l’omonima raccolta di saggi e racconti). Non condivido, dunque, il riferimento proprio alla fonte che apre alla Pescheria, esplicitato – al Tondo – dall’apposizione dell’unico elemento ornativo, l’ovale con la Minerva armata di lancia e scudo (parente “moderno” di quello che può vedersi sotto la cascata della fontana dell’Amenano) che, peraltro, risulta essere stato lo stemma della città, abolito nel 1928.

Forse dovremo attendere che qualche “forestiero”, magari (secondo il “volgo”) “titolato”, ne parli bene, per accoglierla fra le cose interessanti di questa strana città. O, magari, che nostro cugino, venendo dal Continente per le vacanze estive, se ne incuriosisca, aiutandoci a vincere uno dei maggiori complessi da cui siamo afflitti, oltrepassando quella miscela di disfattismo e supponenza (sta anche per presunzione) che ci rende perdenti. Chissà se anche allora, quando fu costruito il teatro Greco o quando lo stesso fu modificato dai romani o quando ci impiantarono sopra i palazzi che tuttora ne limitano il recupero, qualche manipolo di buontemponi espose cartelli con scritto “grande minchiata”. Chi sono, in realtà, i minchioni?

Il cavallo bronzeo di piazza Galatea

Chi storce il muso, magari, avrà plaudito all’occultamento fra le piante di piazza Galatea del cavallo bronzeo (che era in piazza Majorana, ex V. Emanuele III), reo di mostrare un organo genitale più umano che “scicchigno” (come direbbe Tempio), coperto – anni addietro – di latta per renderlo pudico al passaggio del simulacro di Maria del Carmelo (‘A Maronna ‘o Cammunu). L’“artifex” non è stato uno qualunque ma uno “muntuàto”, urbi et orbi, quel Francesco Messina, linguaglossese, autore – tra l’altro – di un più famoso e gigantesco cavallo (morente) che tutti ammirano davanti al palazzo della RAI di Roma, del monumento a papa Pio XII che fa bella mostra di sé nella Basilica di San Pietro e di una “Romantica” di marmo (la danzatrice di piazza Europa di cui pochi si curano) e di un’altra “Romantica” di bronzo della Fondazione Cariplo (Milano).

Se Catania non sperperasse le proprie energie e i suoi cittadini (specialmente quelli maggiormente esposti) riflettessero con minor passione e maggiore equilibrio, sarebbe una ben più importante città. I Guelfi e i Ghibellini e, poi, i Guelfi bianchi e quelli neri hanno fatto sperimentare “quanto sa di sale il pane altrui” (rendendolo, secondo me, buongustaio) a un tipo importante… E poi, allo stesso personaggio hanno eretto una statua a fianco del Sacrario dei Grandi (Santa Croce) e a incaricare – toh – Benigni di animare serate e serate a Lui dedicate nella piazza antistante. Qui non c’è da scomodare un padre Dante ma “parabula significa tarantula ballarina”…

Salvo Nicotra

Salvo Nicotra si è occupato di così tante cose da sentirsi – talora – come uno che non ha concluso niente (lo diceva anche Luigi Tenco ma lui era un grande!)… Laurea in Lettere all’Università di Torino con tesi in Storia del Teatro (più precisamente, sull’attualità dell’Opera dei Pupi; Antonio Attisani, relatore; Alfonso Cipolla, correlatore), regista teatrale, uomo di cultura e di sport, ha collaborato sin dalla (lontana) giovinezza e collabora – nella “maggiore età” – con varie testate giornalistiche; nella “precedente vita” è stato lavoratore pubblico e dirigente sindacale.

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