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Alla Galleria Verticalista di Catania, in via Suor Maria Mazzarello 12, dal 17 Dicembre al 21 Gennaio 2017 Mostra d’arte e workshop sull’architettura.  Espongono Giovanni Compagnino, Rosario Calì, Rosario Platania, Guglielmo Pepe, Silvio SignorelIi, Rosa Buccheri, Iolanda Taccini, Salvatore Spatola, Filippo D’Angelo, Salvatore Commercio.

Anticipiamo alcune note solo per quanto attiene al workshop sull’architettura. “Diciamo subito che l’architettura verticale (che non sta necessariamente per perpendicolare o ascensionale, bensì a ‘campo di possibilità’)  riguarda prevalentemente il sistema abitativo: l’interno e l’esterno. L’interno è l’utero in cui si dissemina ed espande il nostro io-corpo; l’esterno è la nostra esteriorità. “(…) Intorno alla interdipendenza, ma anche dicotomia, interno-esterno è stato scritto molto. Tutta l’architettura del Movimento Moderno ne è pregna. Gaston Bachelard: “Il dentro e il fuori sono ambedue “intimi”, sono sempre pronti a capovolgersi, a scambiare la loro ostilità. Se vi è una una superficie limite tra un tale dentro e un tale fuori, tale superficie è dolorosa da ambedue le parti”. (…)”Gli edifici non hanno in città che un’altezza esteriore: gli ascensori distruggono gli eroismi della scala, non c’è più merito ad abitare vicino al cielo. Lo “stare a casa” è soltanto una semplice orizzontalità. Ai diversi appartamenti di un palazzo dislocati al piano manca uno dei principi fondamentali per distinguere e classificare i valori di intimità. Alla mancanza dei valori intimi di verticalità, occorre aggiungere la mancanza di cosmicità della casa delle grandi città”.

Brent C. Brolin: “…la forma dell’edifcio deve essere determinata da ciò che accade al suo interno e non dall’arbitrario capriccio dell’architetto”.

Perché tutto questo si realizzi pienamente è necessario che ci si scrolli di dosso la mentalità secondo cui una abitazione altro non è che un insieme di mattoni scientificamente organizzati per fornirci un tetto ed alcune comodità e ornamenti per turisti a passeggio, e si entri nell’ordine di idee che l’architettura è spazio (anche biologico) ed in quanto tale è energia e tempo. E’ in questo campo spazio-temporale che l’utente troverà gli inputs per la sua altezza. Un brillante esempio dello spazio-tempo pluridimensionale ci è dato da Minoru Takeyama nel progetto “Soggiorno: tempo/spazio/partitura per una dimora rivitalizzata”.

Contrariamente a quanto avviene con l’opera d’arte il prodotto architettonico (seppure artistico) già nasce per un destinatario. Non è un type con cui l’emittente-progettista deve dirigere l’orchestra dei sistemi architettonici della storia. E’ piuttosto un token aperto che deve tener conto del divenire dell’essere. L’emittente, inoltre, deve tener conto sia dell’uomo tecnicistico di oggi sia delle decine di miliardi di uomini supertecnicistici del futuro. Significa che oltre al problema dell’habitat c’è quello delle strutture socio-culturali e del verde. Ma nessun progetto verticalista complesso (diverso è il discorso per quello individuale) potrà mai vedere piena luce se i Comuni per primi non metteranno ordine sui Piani Regolatori e sulle concessioni edilizie e non interverranno su vaste zone di verde incolte e abbandonate.

C’è di più. Il concetto di “abitabilità” visto nella sua estrema espansione oltre a considerare lo spazio-espressione include le strutture di connessione (link più o meno elastici), l’arredamento, le luci e varie di natura pragmatica  (con cui esplichiamo talune nostre attività ed esigenze psico-fisiche), altri “significanti”, questi, che si sovrappongono al primo al fine di promuovere “significati” diretti ad indicarci nuovi modi comportamentali all’interno dell’habitat. Di qui la necessità di verticalizzare la rappresentazione dell’abitabilità affinché oltre all’io anche il corpo ne risulti stimolato e rivitalizzato a ogni comando neuronale. Verticalizzare l’abitabilità significa inoltre rompere la determinazione dell’ambiente mediante un processo di disseminazione dei volumi, delle masse-energie e dei vari d’uso e consumo. L’ambiente in cui viviamo deve poter essere un campo di possibilità in cui la nostra drammaticità, la nostra fantasia, il nostro humour, la nostra artisticità, il nostro divenire… possano sempre seguire una “curva aperta”.

Un’abitazione, dunque, che nasce dalla stretta collaborazione tra l’architetto, il designer, l’illuminotecnico, l’artista… per far sì che l’”oggetto” non sia semplicemente “oggetto” bensì un “campo” di possibilità realizzato a misura dell’uomo, inteso come io e come corpo, e volto a favorire oltre che gli inputs gli outputs. Bachelard: “La casa è immaginata come un essere verticale. Si innalza, si differenzia nel senso della sua verticalità, è un richiamo alla nostra coscienza di verticalità”.

In ultimo, viene a determinarsi quel campo di significazione connotativa che manca nei progetti orizzontali basati esclusivamente su pacchetti di significanti denotativi che legano l’utente a una trama anemica, ripetitiva, unidirezionale e impersonale. I patterns che nell’habitat orizzontale condizionano il comportamento del corpo non meno che dell’io, si spezzano sotto l’azione dei campi di possibilità di una poetica poliespressiva autogenerantesi. Ma se la disseminazione delle connotazioni riesce a sciogliere i segni pe dare vita a un impasto accelerato bio-psichico, spaziale e fotonico, l’espansione dei processi connotativi tenderà a spingere l’io oltre la soglia della semiotica dell’architettura, oltre l’intellezione microcosmica… per un più alto e intenso colpo d’ala. Allora, sarà l’universo a entrare in casa. E niente più pareti né cielo di calce. Solo energia pura e luce di spazio nello slancio del nostro divenire”.

(Salvatore Commercio)

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