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Appare subito uno spettacolo sanguigno, cupo, di grande consistenza e di significati profondi e drammaticamente attuale. Stiamo parlando di “Macbeth – Una Magarìa”, adattamento e rilettura dalla celeberrima tragedia di Shakespeare, scritto, diretto e interpretato da Vincenzo Pirrotta, basato sulla traduzione di Carmelo Rapisarda. Lo spettacolo, atto unico di circa 90’, è una coproduzione Teatro Biondo di Palermo e  Stabile di Catania e dopo il debutto palermitano è approdato alla sala Verga di Catania dove è in replica sino al 5 Marzo.

La pièce si lascia seguire ed apprezzare oltre che per l’accattivante e coinvolgente scenografia dello stesso Pirrotta – una grande tela in stile rete neuronale che si illumina di rosso in mille rivoli di sangue – (realizzata con la collaborazione dello scenografo bozzettista Claudio La Fata), per la convincente interpretazione degli otto protagonisti, per gli intriganti costumi di Daniela Cernigliaro (realizzati con la collaborazione degli allievi della sede palermitana dell’Accademia del Lusso di Milano, coordinati da Roberta Barraja e Laura Plaja), per le luci di Gaetano La Mela e soprattutto per le musiche originali di Luca Mauceri.

Pirrotta in una scena (Ph. Angelo Macaluso)

Vincenzo Pirrotta, in scena nei panni di Macbeth, costruisce uno spettacolo aspro, cupo  e la sua personale rilettura parte da uno studio sull’occulto nella tradizione popolare siciliana e la chiave di lettura dell’opera shakespeariana diventano le streghe e la loro “magarìa”. Tutto inizia, infatti, in una sorta di  messa nera, con l’incontro di Macbeth con le streghe che, con un rituale occulto, richiamano gli spiriti che devono “legare” Macbeth. Secondo Pirrotta le streghe, con i loro oscuri presagi, restano attaccate ai personaggi come un cordone ombelicale, condizionandone poi, inevitabilmente, le scelte e i comportamenti. Alcuni dei personaggi riusciranno a liberarsi, recidendo il cordone, ma non sfuggiranno invece il protagonista e Lady Macbeth che, in preda ad una possessione, saranno coinvolti in terribili delitti. Coinvolgente per l’ossessiva percussione vocale in siciliano e  per i gesti ritmici tribali, il prologo della vicenda, intriso di ritualità occulte e arcaiche leggende siciliane, con una danza macabra che presagisce influenze maligne e quel vortice nel quale precipiteranno i protagonisti.

Giovanni Calcagno e Vincenzo Pirrotta (Ph. Angelo Macaluso)

La messa in scena è sempre ambigua, cupa, primitiva ed ogni valore di cui parlano i protagonisti coincide con le leggi del sangue, della guerra, del sacrificio. Dalla morte di Duncan a quella del fido amico Banquo,  il re Macbeth, seduto su un trono insanguinato, costruito su vendette e delitti, solo per una volontaria bramosia di potere, non esita a uccidere chiunque possa essergli di ostacolo. Ed a salvare il protagonista e la stessa Lady Macbeth dall’accecante bramosia di potere, da una insanguinata serie di delitti, annunciati dall’iniziale magarìa, sarà solo la morte che li libererà da un processo altamente distruttivo. E purtroppo la follia sanguinaria di Macbeth, la bramosia di potere che non accetta ostacoli, la ritroviamo anche oggi, ecco perché riteniamo estremamente attuale la rilettura di Vincenzo Pirrotta.

Cinzia Maccagnano e Pirrotta in Macbeth- Una Magarìa (Ph. Angelo Macaluso)

Lo spettacolo è impreziosito da una regia scorrevole e puntuale che non stanca mai, anzi tiene sempre coinvolto e interessato lo spettatore. Il cast è davvero d’alto livello interpretativo, cominciando dall’aspro, forte Macbeth di Vincenzo Pirrotta, accompagnato dal vigoroso e dal forte timbro vocale Giovanni Calcagno (già apprezzato in altri lavori), nei panni di Banquo, mentre di notevole statura, con il suo fare ammaliatore, emozionante e sinuosa, è la Lady Macbeth di Cinzia Maccagnano. Completano poi il cast, negli altri ruoli, disimpegnandosi ottimamente, Marcello Montalto, Alessandro Romano, Giuseppe Sangiorgi, Dario Sulis e Luigi Tabita.

Uno spettacolo, in replica al “Verga” di Catania fino al 5 Marzo, che convince il pubblico in sala, che trascina per la sua “magarìa”, per le sue danze tribali, per il suo dialetto, per il suo spessore di favola nera e cupa e che, facendo riassaporare le vicende, i drammi ed i personaggi di Shakespeare, fa riflettere anche sulla natura oscura e violenta del potere, che proprio oggi sembra quasi aver preso il sopravvento sul ragionamento, sul dialogo e sul buon senso, rifiutando qualsiasi intervento di intermediazione politica e culturale.

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