Catania News

Su delega di questa Procura Distrettuale, alle prime ore del mattino, in Catania, Messina, Palermo, Siracusa e Roma, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania e del Nucleo Operativo Ecologico, hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio del GIP al Tribunale di Catania su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di diciassette persone (7 provvedimenti restrittivi in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 3 misure interdittive) ritenute responsabili, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti, estorsione  e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso, usura, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e traffico di influenze illecite. Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di 6 imprese e dei rispettivi beni aziendali il cui valore complessivo è stimabile in almeno 50 milioni di euro.

Operazione dei Carabinieri

L’attività di indagine, condotta dal 2012 al 2015, ulteriormente riscontrata dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, nasce dall’azione sinergica di tre forze di polizia giudiziaria coordinate da questo Ufficio di Procura ed ha consentito di fare emergere le condotte criminali poste in essere nel settore del traffico dei rifiuti dall’imprenditore Antonino Paratore e dal figlio Carmelo – soggetti peraltro appartenenti a “cosa nostra” catanese e legati direttamente al boss Maurizio Zuccaro per il quale agivano anche quali prestanome – con la conseguente realizzazione di enormi guadagni derivanti  dalla gestione e dal trattamento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti da tutto il territorio nazionale. Nel dicembre 2012, dal monitoraggio del processo di raffinazione e frazionamento del petrolio da parte delle industrie petrolchimiche, si accertava che la principale società nel trattamento e smaltimento dei catalizzatori esausti, e quindi non più rigenerabili, era proprio la Cisma Ambiente SpA, con sede legale ed operativa in Melilli (SR),  i cui titolari di azioni, erano diverse società tutte riconducibili alla famiglia Paratore.

 Vi era quindi un complesso sistema aziendale facente capo a Antonino Paratore e al figlio  Carmelo, che, avendo nella loro disponibilità una discarica per rifiuti pericolosi e non, e un impianto per il loro trattamento, ricondizionamento e recupero, avvalendosi di soggetti di loro fiducia,  quali Agata Distefano, Salvatore D’Amico, Paolo Plescia, Maurizio Cottone e Antonio Di Vincenzo, con la connivenza di pubblici funzionari della Regione Sicilia deputati al rilascio delle autorizzazioni, gestivano  in modo illecito tonnellate di rifiuti realizzando ingenti guadagni ed inquinando gravemente l’ambiente circostante. Emergeva infatti che proprio i suddetti funzionari avevano nel tempo fornito il proprio contributo criminale, omettendo per anni di attivarsi, sebbene informati dagli organi di controllo della condotta della CISMA che, all’interno del sito di discarica operava in assoluto disprezzo dei provvedimenti autorizzativi e della normativa ambientale.

In questo senso significativo si è rivelato l’apporto di un funzionario all’Assessorato Regionale alle Infrastrutture ed alla Mobilità di Palermo che era divenuto lo strumento di Carmelo e Nino Paratore per esercitare la necessaria pressione verso gli apparati della Pubblica Amministrazione per il raggiungimento dei loro fini illeciti. Gli elementi di prova raccolti, suffragati dalle coincidenti dichiarazioni di molteplici collaboratori di giustizia, descrivono in modo chiaro i rapporti ininterrotti, sicuramente sino all’anno 2010, tra le consorterie mafiose e Nino Paratore, il quale unitamente al figlio Carmelo, con il loro gruppo di società, rappresentava e curava anche gli interessi di Cosa Nostra Catanese.

Nell’ambito dell’attività investigativa, inoltre, emergevano condotte usurarie poste in essere da Salvatore Grillo, classe 1970, nei confronti del gestore della trattoria- pizzeria “Al Tubo” di Acicastello. In particolare, il Grillo si faceva promettere e dare dal gestore dell’esercizio interessi usurari in misura superiore al 10% mensile nonché assegni in garanzia dell’importo complessivo di Euro 30.000, quale corrispettivo di una serie di prestiti in denaro contante di ammontare complessivo pari a Euro 23.600 (a fronte della pretesa restituzione del capitale pari ad  Euro 30.000). Al Grillo veniva contestato anche il reato di estorsione a seguito di condotte violente ed intimidatorie compiute in pregiudizio del Grasso per la restituzione del credito. Tale condotta estorsiva aggravata dal metodo mafioso veniva contestata anche nei confronti di Giuseppe Verderame, classe 1954 e Simone Piazza, classe 1986, i quali costringevano Giuseppe Grasso a versare loro Euro 200 al mese al fine di assicurare la “protezione” alla pizzeria “al Tubo”, impedendo a Salvatore Grillo di ripresentarsi per ulteriori richieste di restituzione dei prestiti usurari.

Nel corso dell’operazione, personale del G.I.C.O. della Guardia di Finanza ha curato l’esecuzione delle misure cautelari reali sottoponendo a sequestro preventivo le quote societarie riconducibili a Antonino Paratore e Carmelo Paratore del Lido “Le Piramidi”, delle società “CISMA AMBIENTE spa”, “PARADIVI SERVIZI srl” e “SIRAM srl” e delle quote riconducibili ad AMARA Giuseppe ed AMARA Giovanni della società GESPI SRL  in rapporti di affari con la famiglia PARATORE. L’accesso nelle società in questione è stato effettuato con i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania e del Nucleo Operativo Ecologico.

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