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E’ sicuramente un lavoro di estrema attualità – visto quello che sta succedendo nel mondo – e che sia pur sviluppandosi in oltre due ore, coinvolge il pubblico, facendolo riflettere sul problema dell’accoglienza, dell’identità culturale, della concezione di stato e di libertà, sul rispetto delle regole e sulla violenza. Lo spettacolo in questione, proposto dal collettivo indipendente di teatro contemporaneo Planet Arts, è “Kensington Gardens” scritto e diretto da Giancarlo Nicoletti, messo in scena recentemente al Centro Zo di Catania per la Rassegna teatrale “AltreScene 2017″.

“Kensington Gardens”, reduce da consensi di pubblico e di critica, oltre che dalla prestigiosa segnalazione al premio Hystrio, è l’ultimo capitolo della Trilogia composta da Giancarlo Nicoletti, i cui primi due capitoli sono stati i pluripremiati “#salvobuonfine” e “Festa della Repubblica”.

In merito alla pièce – detto della eccessiva lunghezza dei dialoghi – sottolineiamo come lo spettatore nell’arco dei due corposi atti, si trova immerso, come in un “reality”, nella storia dei protagonisti in scena, quasi vivendo la loro inquietudine, le loro speranze, la loro attesa e la loro accettazione della situazione.

I protagonisti dello spettacolo in scena

La regia di Giancarlo Nicoletti per la durata dello spettacolo non fa altro che assecondare il continuo dialogare dei personaggi che si affrontano, si incontrano, si assistono, ma che sono delle vere e proprie bombe innescate, belve in gabbia, ma rassegnate ormai al loro destino. In una situazione di teatro contemporaneo l’autore impianta contesti e personaggi tratti da Cechov, specificatamente da alcuni caratteri e dall’intreccio de “Il Gabbiano” e quindi si sviluppa una pièce cechoviana su un discorso ampio ed attuale che prende in esame i paradossi dei legami affettivi e di sangue, le speranze insoddisfatte, l’incapacità di ammettere lo stato delle cose.

La vicenda raccontata allo spettatore si svolge a Londra, in un futuro, prossimo o remoto, con al potere un Partito xenofobo e con una legge che espelle tutti i non inglesi dal suolo britannico, con ronde per le strade che sparano a vista sugli immigrati. Tutto si svolge nei due atti (tra un tavolo, un divano, un mobile bar, un pianoforte, bicchieri e bottiglie), in una villa del parco di Kensington dove vivono da segregati ed isolati sei italiani che hanno evitato il rimpatrio e sono in attesa di grazia: il figlio e la sorella di una cantante in conflitto con la crisi di mezza età e col suo compagno più giovane;  un chimico in attesa dell’esame di cittadinanza e sua moglie; un magistrato e una giovane inglese che sogna di fare la cantante. Il pubblico,  dall’inizio alla fine, è coinvolto dalle vicende, dai litigi, dai dialoghi dei sei protagonisti, tra canzoni d’autore, pranzi, bicchieri di alcol, cene, canzoni. Lo spettatore è immerso completamente nel dramma che vivono gli abitanti di quella villa dove la propria identità, il volere andare o restare si intersecano alle storie di popoli senza fissa dimora ed alla ricerca di una collocazione, di un futuro stabile.

In scena l’applaudito cast, guidato da Annalisa Cucchiara, è formato da Eleonora De Luca, Cristina Todaro, Valentina Perrella, Giancarlo Nicoletti, Riccardo Morgante, Alessandro Giova e Francesco Soleti, interpreti che passano dall’ironico al drammatico regalando anche apprezzabili canzoni dal vivo che movimentano e valorizzano lo spettacolo, spesso statico e sovraccarico di dialoghi.

Lavoro che ha riscosso anche a Catania i consensi del pubblico e che risulta – come progetto incentrato sullo smarrimento dell’uomo moderno – intriso di realtà drammatica e tragicomica, affrontando problematiche quali i conflitti generazionali, il rapporto genitori-figli, il successo ad ogni costo e sacralità dell’arte, o ancora tematiche sociali come l’identità territoriale, l’integrazione, la xenofobia, il tradimento, la fragilità dell’animo umano.

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