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L’atto unico, di circa 120 minuti, dei Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello ha inaugurato lo scorso 17 Ottobre al “Verga” di Catania la 60^stagione del Teatro Stabile etneo, per la regia e l’interpretazione di Michele Placido, i costumi di Riccardo Cappello, le musiche di scena di Luca D’Alberto e le luci di Gaetano La Mela.

Michele Placido in scena (Foto Antonio Parrinello)

Il dramma “Sei personaggi in cerca d’autore”, rappresentato per la prima volta  il 9 Maggio del 1921 al Teatro Valle di Roma, rappresenta una pietra miliare nella produzione del grande agrigentino, sia per la struttura, sia per il profondo significato filosofico , sia per il continuo intersecarsi dei piani recitativi.

“Sei personaggi” è la prima opera della trilogia del teatro nel teatro che comprende “Questa sera si recita a soggetto” e “Ciascuno a suo modo” e Luigi Pirandello costruisce una dramma singolare, misterioso, ambiguo in cui senza atti ne scene e con solo due interruzioni che sembrano quasi casuali, interseca tematiche, aspetti, quali la disintegrazione dello spazio teatrale, il passaggio dalla persona al personaggio, dall’avere forma all’essere forma, la creazione di scene traumatiche, i rapporti compromessi sul nascere e quindi la solitudine senza rimedio ed in definitiva  il “teatro nel teatro”. Per Michele Placido si tratta della terza regia pirandelliana – dopo “Così è se vi pare” e i due atti unici “La carriola” e “L’uomo dal fiore in bocca” – e stavolta l’attore e regista pugliese affronta al “Verga” un dramma di grande suggestione e che non manca mai di incuriosire e sorprendere.

Tra il pubblico, si avverte la curiosità per confrontare, per misurare,  l’attuale allestimento dei “Sei personaggi in cerca d’autore”con altre precedenti edizioni e rappresentazioni che, ognuno di noi, ha seguito in passato.

“Sei personaggi” con Enrico Maria Salerno del ’91 (Foto Tommaso Le Pera)

Personalmente ho ancora scolpita in mente l’edizione dei “Sei personaggi” dell’Agosto 1991 – per Taormina Arte – al Teatro Antico, regia di Franco Zeffirelli, compagnia Pro.Sa diretta da Enrico Maria Salerno in scena nei panni del padre. Tra i protagonisti anche Benedetta Buccellato e Regina Bianchi. Una edizione che ricordo con particolare affetto, ricca di suggestioni e con una intensa interpretazione in un luogo magico come il Teatro Antico di Taormina.

 

Lo spettacolo, in scena al “Verga” di Catania, sino al 29 Ottobre, vede il regista Michele Placido anche sulla scena, nei panni – dopo il polemico abbandono di Pippo Pattavina – del padre, a guidare i personaggi della “commedia da fare”. Il dramma rimanda il pubblico alle tematiche dell’incomunicabilità, del conflitto tra vita e forma, dell’impossibilità di esprimersi, di comunicare e di toccare un fondo concreto e vivo delle cose del mondo, che resterà anche nei drammi seguenti una delle caratteristiche dell’arte di Pirandello. I “Sei personaggi” riletti da Placido fanno emergere aspetti legati all’abbandono dell’autore che rifiuta le proprie creature, turbato dal loro sviluppo, dal loro dramma.

Gruppo in scena (Ph. Antonio Parrinello)

In una scena spoglia, in un teatro di oggi, c’è una compagnia, con un dinamico regista (nel copione pirandelliano era il capocomico), che si prepara a mettere in scena non, come da copione, “Il gioco delle parti”, ma le drammaticità della società attuale, ovvero temi come il femminicidio, le morti bianche o l’impossibilità di una storia sentimentale dovuta all’alienazione dell’uomo contemporaneo. All’improvviso appaiono, inquietanti, oscuri, i  sei personaggi della “commedia da fare” guidati da un Michele Placido, nei panni del padre, che introduce la moglie, la figliastra, il figlio, la bambina ed il giovinetto, tutti figli di uno stesso dramma, riconosciuti nel loro essere dall’autore, ma rifiutati per la loro storia scabrosa.

Una scena (Ph. Antonio Parrinello)

Tutti e sei personaggi cercano in ogni modo un loro riconoscimento, sottolineando che il copione è dentro di loro, nel loro dramma, nella storia che si portano dentro. Nel lavoro è presente una forma di violenza molto ambigua, attuata dal padre nei confronti dell’umile moglie che pure ha amato e che gli ha dato un figlio, ma con la quale ha poco da condividere sul piano intellettuale. L’uomo, infatti, deciderà di farla innamorare del suo contabile ed è un piano “diabolico” ma, a suo dire, “a fin di bene”, perché capisce che la donna sarà più felice nel nuovo rapporto sentimentale da cui avrà tre figli. Il contabile poi muore, la madre torna in città con i figli ed il lutto getta la famiglia in gravi ristrettezze. La situazione precipita quando il padre e la figliastra hanno un incontro intimo e molto traumatico in una casa di piacere, da Madama Pace. E poi arriva la tragedia finale, entrambi muoiono violentemente: la bambina annega in una vasca e il giovinetto si spara e giace sopra una scala.

I personaggi (Ph. Antonio Parrinello)

La pièce diretta da Placido, per circa due ore, coinvolge per quell’inaspettato incontro, per quel contrapporsi tra i componenti di una compagnia e quei “Sei personaggi” che cercono che venga rappresentato il loro dramma non accettato dall’autore del quale si avverte il ticchettio di una macchina da scrivere ed è qui che che si realizza quel “teatro nel teatro”, quella forza del testo, dei personaggi quasi effimeri, di fantasia, ma che allo stesso tempo sono reali e che raccontano, con la voce, con il pianto, con il silenzio, con una risata isterica o con una canzone popolareintonata dalla figliastra (“U sciccareddu”) la loro tragedia, il loro voler essere realtà di un dramma, per  far emergere – tra un regista incuriosito ed i suoi attori prima infastiditi e poi coinvolti – verità  profonde e bestiali. Tutto all’insegna di “realtà o finzione”.

Dajana Roncione (Foto Antonio Parrinello)

Seguendo le direttive del regista-interprete Michele Placido, in doppio-petto grigio-scuro e maglia d’identico colore (un padre, a volte, troppo frenetico nella recitazione e con un tono di voce avvertito a stento in sala), l’intera compagnia dei “Sei personaggi” assolve con diligenza e professionalità il proprio compito dinanzi ad una delle opere più alte e significative dell’intera poetica di Pirandello.

La madre interpretata da Guia Jelo (Ph. Antonio Parrinello)

Nell’edizione di Michele Placido si segnalano in scena la figliastra di Dajana Rancione, tra crudezza e risate isteriche ed una impetuosa commistione tra realtà e finzione, l’intensa Guia Jelo nei panni della dolente madre, con il suo pianto e l’emblematico velo nero, un determinato, convulso e frastornato allo stesso tempo, Silvio Laviano nel ruolo del regista (efficace con la sua battuta ”Azione!”, termine proprio del linguaggio cinematografico) della compagnia di attori che provano, in un teatro dei nostri giorni, con il sottofondo dei rumori cittadini.

Il regista Silvio Laviano (Foto Antonio Parrinello)

Oltre ai ruoli già citati, tra i personaggi della “Commedia da fare”, alla ricerca di quell’eternità che è stata loro negata dal proprio autore, agiscono accanto al padre Michele Placido, Luca Iacono, l’isolato e distante figlio, tormentato per quello che è costretto a vivere (da figlio e da fratello), i silenziosi, ma non per questo non intensi nel loro drammatico ruolo e nella tragica fine, Paola Mita (la bambina) e Flavio Palmeri (il giovinetto). Scanzonato, di una eleganza estrosa e con un linguaggio tra l’italiano e lo spagnolo il ruolo di Madama Pace interpretato con padronanza da Luana Toscano.

Gli attori della compagni (Ph. Antonio Parrinello)

Tra gli attori della Compagnia, oltre al gia nominato Silvio Laviano (il regista), Egle Doria (la prima attrice), Luigi Tabita (il primo attore), Ludovica Calabrese (l’attrice giovane), Federico Fiorenza (l’attore giovane), Marina La Placa (la seconda donna). Giorgia Boscarino è l’assistente del regista ed Antonio Ferro il direttore di scena.

Uno spettacolo che, sicuramente, per le sue tematiche, per il suo mistero, intriga, incuriosisce e nell’odierna edizione diretta da Michele Placido, produzione “Stabile” di Catania e Goldenart s.r.l., pur intersecando caratteri, dialetti (romanesco e siciliano – ma solo a tratti), luci e buio, silenzi e pause, raccoglie alla fine i reiterati applausi del pubblico che ha apprezzato la messinscena (sicuramente ancora da rodare e da consolidare) e l’impegno degli attori anche se non sono mancate le perplessità per alcune scelte registiche, per la recitazione sottovoce del padre-Placido o per  quella canzone popolare in dialetto (“U sciccareddu”) cantata dalla figliastra.

La compagnia e gli applausi finali (Ph. Antonio Parrinello)

La rappresentazione in parti è fluida, non c’è – come magari qualcuno si aspetta – la tradizionale divisione in atti e scene, e ci sono solo due interruzioni casuali. I personaggi non si rispecchiano negli attori e nella loro recitazione, tanto da entrare in conflitto con tutti e da sovrapporre realtà e finzione, tanto da creare un senso di straniamento intrigante nello spettatore.

Luigi Pirandello

Ad illuminare questa particolare ed insolita tematica, questa fase cruciale della poetica pirandelliana, è l’autore stesso, con le sue precise parole: “Io ho accolto e realizzato quei sei personaggi: li ho però accolti e realizzati come rifiutati: in cerca d’altro autore. Bisogna ora intendere che cosa ho rifiutato di essi; non essi stessi, evidentemente; bensì il loro dramma, che, senza dubbio, interessa loro sopra tutto, ma non interessava affatto me. E che cos’è il proprio dramma, per un personaggio? […] Il dramma è la ragion d’essere del personaggio; è la sua funzione vitale: necessaria per esistere. Io, di quei sei, ho accolto dunque l’essere, rifiutando la ragion d’essere”.

Per il dramma pirandelliano, in apertura della sessantesima stagione dello “Stabile” di Catania, sono previste repliche al “Verga” fino al 29 Ottobre.

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