Teatro

Uno spettacolo complesso, di parola e di notevole ironia quello proposto al Centro Zo di Catania, nell’ambito della rassegna “Altrescene”,  da Elvira Frosini e Daniele Timpano, nato dalla collaborazione e con la consulenza della scrittrice italiana di orini somale Igiaba Scego. La pièce in questione è “Acqua di Colonia”, testo, regia ed interpretazione di Elvira Frosini e Daniele Timpano e prodotto da Romaeuropa Festival, Teatro della Tosse, Accademia degli Artefatti, con il sostegno di Armunia Festival Inequilibrio. Lo spettacolo in circa due ore, vede la coppia Frosini-Timpano introdurre lo spettatore nel tema del colonialismo nella storia italiana, con le sue conseguenze culturali “imbarazzanti” per il Paese.

La prima parte dello spettacolo è chiaramente introduttiva al tema che si vuole trattare e vede al centro di una scena spoglia, un ragazzo di origine africana reclutato di volta in volta nella città dove si recita, che ascolta in silenzio e incarnando il ruolo di quegli immigrati o figli di immigrati di cui è bene parlare, ma ai quali non è riconosciuto il diritto di esprimere il proprio punto di vista. Lo spettacolo, nella prima parte, è una sorta di preparazione su come affrontare il problema e Frosini e Timpano, con la loro ironia, la loro comicità caustica che fa riflettere, sciorinano fatti storici, documenti e mitologie contemporanee disintegrando l’utopia della società post-razziale. Viene ribadito come noi italiani conosciamo poco del colonialismo e i postumi dell’età coloniale – come sottolineano  Frosini e Timpano dialogando col pubblico – ci appaiono “come un vecchio incubo che ritorna, incomprensibile, che ci piomba addosso come un macigno“.

Frosini-Timpano (Foto Laura Toro)

In una prima parte a tratti stiracchiata, Elvira Frosini e Daniele Timpano, raccontano quindi eventi sopiti che plasmano ancora oggi l’idea comune, insinuandosi in frasi fatte, canzoni, letteratura, perfino fumetti e cartoni animati.

La seconda parte, che si apre con l’africano ospite nello spettacolo (Mansour Gueye) accompagnato a sedersi in sala tra il pubblico, vede la pièce diventare più coinvolgente, più teatrale e propina i soldatini in divisa kaki, Topolino in Abissinia, Stanlio e Ollio e Bob Marley che prende in giro Audrey Hepburn ambasciatrice dell’Unicef. E c’è anche spazio per Mamy di “Via col vento”, per lo sketch di Gianni Agus e Ugo Tognazzi sull’angioleddo negro nel guadro, per l’Aida schiava etiope, “Faccetta nera” e la retorica del film “La mia Africa” o “Tripoli bel suol d’amore”, o ancora Indro Montanelli con la sua moglie abissina dodicenne e Pasolini che cerca di “civilizzare” Ninetto Davoli.

Si susseguono quindi vecchie gag da avanspettacolo e lo spettacolo strizza l’occhio al pregiudizio e agli stereotipi dei nostri giorni ed Elvira Frosini e Daniele Timpano sono abili nel tirare dentro tutti in una trappola spiazzante, che fa emergere dubbi e riflessioni, legate al passato ed al presente.

Lo spettatore – inserito nella categoria “Italiani brava gente” -viene catturato da un’ironia graffiante e messo di fronte ad equivoci e i luoghi comuni frutto dei falsi miti che il colonialismo ha generato attraverso testi letterari, canzoni, fumetti. Il pubblico quindi ride, ma con amarezza e la risata rivela quanto certi cliché siano ormai parte inconsapevole del nostro modo di pensare.

Una scena dello spettacolo (Ph. Laura Toro)

Nel finale poi una dozzina di fari gialli accecano improvvisamente il pubblico ed uno scimpanzé di peluche viene lanciato in scena, con Frosini e Timpano che escono e la scimmia/bambino che parla attraverso la voce di Sandro Lombardi, tirando fuori una sua morale. Poi i due autori ed interpreti, Frosini e Timpano, con in sottofondo le struggenti note di “Addio sogni di gloria” nell’esecuzione di Giuseppe Di Stefano, compaiono indossando  maschere antigas e con le orecchie di Topolino.

Pièce sicuramente interessante per il tema trattato, con i due interpreti – provocatori e indagatori di quelle colpe che risiedono negli angoli della nostra coscienza e cultura progressista e democratica – sempre abili, caustici e che si destreggiano molto bene fra fumetti d’epoca, canzoni, regi decreti, discorsi pubblici di allora e di oggi, evidenziando un significativo lavoro di ricerca, ma mettendo dentro forse troppo materiale. Basterebbe, forse, qualche taglio, perché in alcuni tratti gli argomenti tendono a ripetersi, causando inevitabili cali di ritmo.

Comunque “Acqua di Colonia” è un lavoro di grande ironia e ricerca e che coinvolge il pubblico presente che alla fine applaude  lungamente i due protagonisti e autori.

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