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Continuano a non sentirsi ascoltati. Si arrabbiano, scrivono, imprecano, suggeriscono e danno vita a gruppi sui social, lanciano proposte, provano ad essere un unica voce, ma dopo la chiusura delle loro attività, lo scorso marzo, sembrano dei fantasmi, invisibili e con un futuro costellato da tante incertezze. Eppure sono i rappresentanti di una categoria importante, quella degli artisti, dello spettacolo. Sono coloro che danno vita a quella magia che si manifesta quando i riflettori si accendono. Parliamo di attori, musicisti, danzatori, registi, tecnici del suono, della luce, macchinisti, facchini, sarti, direttori di scena, truccatori, impiegati negli uffici, maschere e altri lavoratori che, con le loro diverse mansioni e professionalità, costituiscono il cuore, l’anima dello spettacolo dal vivo. Un esercito, di volti, di professionalità e di storie sino adesso dimenticato, fragile, composto per la maggior parte da operatori precari che oggi, con il sipario chiuso, non riescono più ad intravedere il proprio futuro o quello del proprio spazio di attività.

Sale ancora chiuse…

La chiusura, lo scorso Marzo, delle sale teatrali, piccole e grandi, per l’emergenza Covid-19, ha determinato uno sconvolgimento nelle abitudini, nelle vite, nel consueto lavoro di tutti questi operatori del settore (gestori delle sale, attori, musicisti, danzatori, registi, tecnici, addetti alla comunicazione ecc.). E sapere che, ancora, la ripresa e quindi la riapertura degli spazi è lontana ed è sempre legata a distanziamento ed uso di mascherine e guanti per artisti e spettatori, ha finito per creare sfiducia ed incertezza in un settore che, già da prima, non navigava certo in acque tranquille, ma che, almeno, era in attività. Proprio per parlare dell’attuale situazione, dei dubbi, delle prospettive di ripresa e di riapertura, ho voluto creare uno spazio libero dove poter dare voce agli operatori dello spettacolo dal vivo. Dopo aver sentito nel primo appuntamento i responsabili di tre sale teatrali catanesi (Teatro Canovaccio, Sala Magma e Fabbricateatro), proseguo con la mia carrellata di opinioni, proponendo le impressioni, le eventuali soluzioni di Valerio Santi del Teatro L’Istrione, via F. De Roberto 11 a Catania, del regista Nicola Alberto Orofino e di Maria Inguscio, direttore generale Compagnia Zappalà DanzaScenario Pubblico in via Teatro Massimo.

Valerio Santi (Ph. Dino Stornello)

“Dal momento in cui non vi sono notizie certe in merito alla riapertura dei Teatri – dichiara Valerio Santima solo ipotesi che prevedono la ripresa di attività come Cinema e Teatri non prima del 2021, pensare di dover affrontare una nuova stagione adottando le giuste misure di sicurezza previste e quindi mantenendo ogni spettatore ad una distanza media di 2 metri dall’altro, sarebbe una mazzata cruciale dopo il danno subito dalla sospensione dell’attività in corso e gli affitti delle strutture da continuare a pagare, poiché significherebbe dimezzare il pubblico ovvero l’unica fonte di guadagno di un privato. Tale problema affligge i gestori e direttori artistici di Teatri ben più grandi, figuriamoci quale danno potrebbe comportare alle piccole realtà. Aumentare il numero delle repliche per poter incrementare l’affluenza di pubblico, se da un lato porterebbe un aumento del guadagno, dall’altro porterebbe un altrettanto, se non più grande, aumento delle spese tra paghe ad attori, maestranze, maschere e tutti coloro che lavorano all’interno della macchina teatrale e spese gestionali come luce, acqua, pulizie ecc ecc. Considerato che non vi è, ad oggi, nessun aiuto economico per i gestori e/o direttori di piccoli/medi/grandi Teatri privati, credo che sarebbe opportuno da parte del Comune di Catania, della Provincia e della Regione Sicilia, mettere a disposizione a partire da quest’estate tutti i siti naturali della città e della provincia in cui è possibile realizzare delle rappresentazioni (come il Castello Ursino, il Cortile Platamone, il Teatro Greco Romano, le Ciminiere ecc.) alle compagnie professioniste a titolo gratuito fornendo la possibilità di uno o più service audio luci in appalto col Comune a disposizione delle compagnie. Ciò servirebbe a far ripartire gradualmente il lavoro di un’intera categoria attualmente in ginocchio, in modo più sicuro per la salute e l’incolumità di ciascuno di noi in quanto all’aperto e secondariamente sarebbe opportuno che gli stessi enti sopracitati mettessero a disposizione per la stagione invernale 2020/2021 con la stessa formula (gratuitamente), i luoghi al chiuso di loro appartenenza superiori a 300 posti (come le sale delle Ciminiere ecc.), a tutti i gestori e/o direttori artistici dei piccoli Teatri della città, al fine di mantenere la normale affluenza di pubblico pur mantenendo le distanze di sicurezza previste dal Ministero della Salute. Questo è solo un mio pensiero che credo possa aiutarci in qualche modo a ripartire e spero che i colleghi e direttori di piccoli spazi come me trovino interessante il mio pensiero e che possa essere preso in considerazione da chi di competenza”.

Nicola Alberto Orofino (Foto Gianluigi Primaverile)

“La clausura domestica obbligata dalla pandemia – aggiunge il regista Nicola Alberto Orofinoè stato un evento, o meglio “esperienza” nel suo senso etimologico… una sperimentazione imprevista, inattesa. Da un giorno all’altro senza lavoro, pochi soldi, futuro incerto. Da un giorno all’altro soli nelle nostre case e confusi nelle nostre teste. Le giornate si allungano, le abitudini si modificano, la gestione del nostro corpo nello spazio cambia, il gusto cambia, l’olfatto cambia, i suoni cambiano. Si apprezzano un silenzio sorprendente, una musica ascoltata senza fretta, una lettura che non avresti mai fatto, un piatto che non avresti mai cucinato, una casa mai così pulita, una riflessione meditata e intensa… E’ stato bello per tanti sperimentare la pandemia, forse non è stato altrettanto sano. Come mangiare un panino del paninaro con tutte le schifezze dentro. Buono per gli amanti del genere, ma sicuramente non sano. Non sano perché al “fermi tutti” siamo stati costretti. Nessuna scelta consapevole, nessuna fermata autoimposta da riflessioni su domande cruciali del nostro vivere (lavorare) (cosa stiamo facendo? Dove stiamo andando? Quali sono i nostri obiettivi?), ma soltanto una forza maggiore esterna e a molti di noi estranea che ci costringe ad una pausa dalla folle corsa verso un “non sappiamo che”. Per queste ragioni una ripartenza (quando sarà possibile) su basi nuove e rinnovate mi pare un’impresa alquanto ardua. Per non restare deluso, mi limito a sperare in una più semplice ripresa della nostra vita. Ripresa artistica, ripresa economica e (spero) ripresa culturale. Troppo poco? No! Sarebbe tantissimo.

La pandemia ha consegnato a me e ai miei colleghi un obiettivo alto, oserei dire clamoroso: la ricerca di una identità lavorativa in grado di farci sentire (valere) in modo chiaro e netto; una identità per essere più forti assieme. E noi, gente del teatro, ci stiamo provando, ce la stiamo mettendo tutta, bisogna riconoscercelo. La solitudine della clausura forzata ci ha probabilmente ricordato quanto vitali alla sopravvivenza siano le comunità. E in particolare le categorie professionali. I lavoratori dello spettacolo non sono mai stati così uniti, si dichiara. Ad essere onesti sarebbe meglio dire “mai così impegnati nel tentativo di riconoscersi come soci di un bene comune”, “mai così impegnati nel tentativo di capire se esistiamo come insieme (assieme)”. Alla ricerca disperata di una identità. Disperata si. Perché se non c’hai pensato per tempo, come è colpevolmente successo a noi, il tentativo identitario è difficile nel tempo del pericolo. Non impossibile, ma difficile. Perché in guerra tutto si mischia, le rivendicazioni della normalità (es. prove pagate, giusta retribuzione, lotta al clientelarismo, distribuzione non equa delle risorse…) si confondono con le rivendicazioni dell’emergenza (es. streaming, sussidi, rischio povertà ecc.) E la confusione genera incontri complicati, rumorosi… difficili. Ma…Per quanto poco fiducioso, cominciare (o tentare di ricominciare) è sempre la scelta più giusta. Tentare di nuovo e meglio di prima, e già una rivoluzione. Anche se con obiettivi non definiti e motivazioni discordanti. Riconoscersi nell’assieme e riconoscere gli altri come soci di quell’assieme sono le uniche imprese (belliche forse) per cui vale la pena ancora continuare il mestiere del teatro. E anche in pandemia, l’incontro (persino quello virtuale, di voci e immagini rappresentative) è l’unica cosa a cui non possiamo abdicare, come uomini e come artisti. E’ la ragione unica che può dare senso profondo alle nostre esistenze”. 

Maria Inguscio

Una cosa è certa, i teatri sono stati i primi a chiudere i primi di marzo, – ribadisce Maria Inguscioe saranno gli ultimi a riaprire. In quanto Centro Nazionale di Produzione della Danza siamo chiamati dal Ministero a ricoprire numerose attività, dalla produzione, all’ospitalità, alle residenze, alla formazione, e tutte contemporaneamente hanno subìto il fermo. Al momento della chiusura eravamo appena rientrati con la Compagnia Zappalà Danza dalla Francia dove avevamo iniziato a lavorare sulla nuova creazione di Roberto Zappalà ‘Rifare Bach’. Abbiamo dovuto annullare il proseguimento delle prove e le numerose tournées programmate in Italia ed all’Estero tra marzo e luglio. ‘Rifare Bach’ avrebbe dovuto debuttare a Singapore e Hong Kong nel mese di giugno, di accordo con le organizzazioni ospitanti abbiamo rimandato le date al 2021. Adesso la prima della creazione è prevista al Teatro Massimo Bellini di Catania e poi al Teatro Comunale di Modena tra fine ottobre e novembre, ma al momento non sappiamo quando potremo tornare in sala a provare e le nostre produzioni richiedono 2-3 mesi di prove. La danza è contatto tra i corpi, per cui, con le misure applicate per il Covid-19, per il nostro settore le tempistiche di ripresa restano del tutto incerte e temo lo saranno ancora per molto. Stesso discorso per la nostra sala teatrale Scenario Pubblico, dove abbiamo annullato il festival FIC previsto a maggio. Eravamo in procinto di lanciare la stagione 20-21 ma anche questa ora è in standby, dovremo valutare le direttive che ci darà il Governo per la riapertura, immaginiamo innanzitutto di dover ripensare il programma che prevede diverse compagnie straniere, le quali probabilmente non potranno entrare nel Paese. Il nostro lavoro, adesso, è pensare l’impossibile, portare i corpi a riconnettersi in sicurezza. Stiamo valutando delle soluzioni di performance in spazi diversi e con modalità alternative, ma né queste né il teatro in streaming e le varie versioni di performance in digitale che tutti noi potremo concepire potranno mai sostituirsi allo spettacolo dal vivo. Inoltre tutte le nostre attività da sempre si rivolgono per buona parte all’Estero, per molto tempo il nostro sguardo dovrà convergere nell’ambito locale e nazionale al massimo, ma questo aspetto potrà anche essere stimolante”.

Ci aspettano mesi molto difficili – conclude -e le nostre priorità resteranno la volontà di mantenere forte il contatto con il nostro pubblico ma soprattutto poter garantire il lavoro a quel nutrito e prezioso mondo fatto di artisti, tecnici, insomma i lavoratori dello spettacolo che ci collaborano da tanti anni e che al momento vivono il dramma di non avere lavoro né prospettive. Il nostro pensiero per l’apertura è fortemente indirizzato a quando la società si sentirà tranquilla e disponibile a frequentare nuovamente gli spazi dell’arte per tornare a sognare con noi, e sarà quello il momento dove lo sforzo delle Istituzioni dovrà essere ancora maggiore per un rilancio efficace del nostro settore”.

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