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Si susseguono le impressioni, i pareri, le visioni degli operatori dello spettacolo dal vivo in merito alla difficile situazione conseguente all’emergenza Covid-19 e sul disagio provocato all’intero settore che attende adesso dal Governo, dalle Istituzioni, delle date precise per la ripresa, nonostante le difficoltà- e tutti lo sanno- saranno tante. Ma sarà l’era del nuovo teatro, della musica, della danza, dei concerti, l’era del post Coronavirus.

Ascoltiamo quindi le opinioni, sul momento difficile e sulle speranze di ripresa, di Filippo Luna, attore palermitano di teatro, cinema e tv, Antonio Carnevale, attore e regista della Compagnia Carnevale con sede a Milano ed Elena Rosa, performer e sperimentatrice nel campo del teatro e del teatro-danza, regista della Compagnia Cuori Rivelati e co-fondatrice di Spazio Oscena, in via via G. Macherione 21, a Catania.

“Quali siano le conseguenze della Pandemia, – spiega Filippo Luna – orami sono chiarissime a tutti,  quali le conseguenze sul mondo dei teatri  e del cinema  e del comparto culturale in genere oramai sono tristemente note.  Questa situazione a detta di molti, rappresenta un’opportunità per rivedere e mettere in discussione le cattive pratiche divenute negli anni, soprattutto da noi qui al sud,  delle regole. Ma sarà veramente cosi? Qualche giorno fa Natalia Aspesi in una intervista affermava che non credeva al cambiamento indotto dal corona virus e che alla fine di tutto questo, saremmo tornati ad essere più cattivi di prima. Mi sono trovato in accordo con la sua riflessione.

Filippo Luna

In questi mesi di fermo totale abbiamo finalmente dovuto fare i conti con la fragilità del nostro sistema culturale e nella solitudine delle nostre quarantene, abbiamo forse riflettuto sul fatto che siamo stati conniventi del malcostume e che mai ci siamo ribellati all’ingiustizia in nome del mors tua vita mea. E mentre in tutta Italia si assiste ad un fiorire di gruppi, associazioni di categoria, tavoli di confronto in difesa della categoria degli artisti,  in Sicilia, nessuna voce si alza, tutto rimane fermo nella sua immobilità, in attesa che sbloccandosi la situazione ognuno possa correre a riprendersi il proprio posto nell’orticello. Io credo sia arrivato il momento di essere categoria, di ritrovare fiducia nell’unico strumento che ci permette di sederci ai tavoli e dialogare con i legislatori. Il sindacato, verso cui in passato io stesso ho nutrito scarsa fiducia, ma che oggi più che mai mi rendo conto essere l’unica strada da perseguire. Certo il percorso  è lungo ma se non saremo uniti come potremo combattere la mafiosità e il clientelismo che ancora vige nella nostra terra? Siamo chiamati a riflettere e a prendere posizione, siamo chiamati a riunirci per confrontarci  e approfondire la conoscenza normativa che ci riguarda.Siamo chiamati a rendere fruttuoso questo periodo di fermo, per non soccombere alla cattiveria, quando torneremo alla vita che sappiamo bene non sarà quella del pre-covid”.

“Non solo ci vorrà tempo per riaprire i teatri, – dichiara Antonio Carnevalenon solo bisognerà attendere e aiutare il pubblico a non aver paura di condividere con altre persone uno spettacolo. L’ostacolo più duro sarà dialogare con gli organizzatori di eventi nelle sale da concerto, nelle biblioteche, nelle scuole, in piccole sale di aggregazione. Saranno nuovamente capaci? Vorranno prendersi la responsabilità, saranno aperti a organizzare eventi per la collettività? Verranno soprattutto messi in condizione di farlo?

Antonio Carnevale

La sensazione è che verranno salvate le grandi strutture cittadine, mentre le piccole energie periferiche, che costituiscono il grande motore degli eventi culturali in Italia, spesso affidate ai singoli privati o alle piccole amministrazioni locali, naturalmente si spegneranno. Col risultato di aumentare il solito divario culturale centro-periferie e nord-sud Italia. Ricalca un pensiero che nel calcio è promosso dai ricchi proprietari di club: una sola superlega europea, solo l’élite. Basta campionati nazionali, basta affrontare squadrette su campi di città con poche migliaia di abitanti, basta sporcarsi le mani in provincia. Lo spettacolo, quello vero, il migliore, va offerto altrove e lo possono creare e fruirne solo in pochi. Come sempre i più ricchi. Sono in una posizione di ascolto, e purtroppo non riesco a formulare una mia ricetta credibile che sia veramente funzionante. Ho una serie di timori, che spero non travolgono soprattutto chi promuove la cultura in situazioni decentrate, o quelle che con poche energie fanno salti mortali a programmare eventi culturali – un po’ la regola nel nostro Meridione”.

Iniziamo col dire della condizione in cui Spazio Oscena – aggiunge Elena Rosasi trovava: la precarietà, l’instabilità come status doloroso e paradossalmente gioioso di libertà. Ci siamo sempre chiamati fuori da procedure di partecipazione istituzionale…dove si fa di tutto per escludere le realtà più piccole (che poi sono in maggioranza). Abbiamo autonomamente avviato progetti e tracciato sentieri alternativi che ci portassero dentro le pratiche a cui fortemente crediamo, tutto un fare di amore e dolore, gioia e completa dedizione per un lavoro che non ci ha mai realmente ripagato, almeno materialmente. D’un tratto una sospensione delle attività in fretta e furia.

Elena Rosa

Tutti noi stiamo vivendo una esperienza fortissima, di fragilità, isolamento, smarrimento. Questo momento non ci rende molto loquaci, l’isolamento non ci fa impazzire dalla voglia di essere presenti a tutti i costi sui social, accettiamo questo vuoto, silenziosamente in ascolto, in un necessario momento di respiro e nodo in gola, nel rispetto di questo tempo. Non siamo speciali noi, non è speciale nessuno adesso, noi siamo solo i soliti maledetti (fra molte altre categorie) di cui si conferma l’eslusione ai diritti, senza citare tutto ciò che ci riguarda e non da decreto, perché lo conosciamo tutti”.

Quali sono le prospettive? Drammaticamente non abbiamo parole – continua -per fare ipotesi, abbiamo i nostri gruppi di lavoro in sospeso, il laboratorio “Cuori Rivelati” di teatro, canto e arti visive dedicato alle diverse abilità, “Ninfa moderna” un percorso di ricerca teatrale dedicato al femminile, la nostra Scuola Oscena che avrebbe dovuto ospitare Marcello Sambati e Alessandra Cristiani, laboratori di danza contemporanea e un laboratorio di teatro antropologico… insomma in attesa di riprendere tutte le nostre attività che si basano sul processo creativo, sulla condivisione, sul contatto tra sguardi, calore, energia e presenza. Senza mezze misure ci auguriamo che questo sistema che non ci ha mai tutelato (figuriamoci adesso), questo grosso macigno si sgretoli, si proprio così…è necessario riconsiderare tutto, anzi, guardare a un tempo nuovo, fare delle domande necessarie. Sarebbe il caso di chiedersi di cosa è fatta questa arte, questi artisti. Quali sono le loro reali condizioni? Possiamo ancora resistere/esistere in questa nostra forma aleatoria, o siamo visibili solo come giullari a corte? Dare alle piccole realtà, la possibilità del fare (e non la possibilità di cavarsela sempre da soli) sotto tutti gli aspetti, considerare gli artisti lavoratori, lavoratori dell’anima, dunque non produttori di utilità, di pil…e per questo sostenuti tutti e a tutti i livelli, non solo quelli più scaltri nelle lunghe peripezie burocratico-avvilenti. 

Attività 19/20 Spazio Oscena

La natura dell’arte è ineffabile, indescrivibile, indicibile. Detto questo è inutile pensare di quantificare le giornate lavorative per avere la dignità basica, noi non siamo lavoratori dipendenti a orario, noi produciamo fantasmi, sogni, utopie, immaginazione. Produciamo il nutrimento dello spirito di cui un corpo, se ne avesse fatto magazzino, in questo periodo ne avrebbe trovato forza e nutrimento per potere disegnare, immaginare, sognare questo futuro senza calendario”.

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