SpettacoloTeatro

Proseguono, dopo il lockdown imposto dal Covid19, le proposte, i “sentito dire”, i desideri, la forte voglia di riprendere la proprie attività inerenti al settore dello spettacolo dal vivo. A poco a poco, dopo il blocco, le paure, pian piano le varie attività lavorative stanno riprendendo, anche se con appositi limiti e regolamentazioni per evitare rischi di contagio. Con pareri, soluzioni, proposte legate a comitati o gruppi nati  sul web, sull’onda dello streaming o degli inviti, si accenna anche a svariate soluzioni per gli spazi dove tenere spettacoli o concerti e quindi alla nuova frontiera del concerto o del teatro in tv, on line. Ma ancora, nell’ormai avviata Fase 2. Dal lockdown, siamo quindi passati – per il settore dello spettacolo dal vivo – all’attesa, all’organizzazione di un nuovo modo di proporre l’evento e di come mantenere la sicurezza soprattutto in presenza del pubblico.

Poltrone vuote…

Ad esprimere la loro opinione, a dare una particolare interpretazione del momento e delle sue preoccupazioni o speranze, a raccontare il proprio stato d’animo e le difficoltà di chi lavora nel mondo dello spettacolo sono Franco Di Corcia jr (anima eclettica dei Pensieri di Bo’, Centro Culturale e direttore artistico del Teatro di Bo’, in provincia di Pisa) e Tindaro Granata, attore, autore e regista nato a Tindari, in Sicilia.

“Su questo periodo, così strano e sospeso e come vedo io il futuro del Teatro, – spiega Franco Di Corcia jr -ho fatto fatica a scrivere. E ho sospeso l’invito in attesa che i miei pensieri prendessero forma e corpo in maniera ordinata. Che dire? In tanti parlano. Io ascolto. Credo di aver ascoltato tante cose in questi lunghi e brevi mesi di pandemia. Ascoltare e ascoltarsi è un grande dono. E va saputo usare con molta cura. Ho ascoltato la mia rabbia iniziale, ad esempio. Questo è stato il mio primo esercizio.

Franco Di Corcia jr

Noi dei Pensieri e Teatro di Bo’ – come tutti del resto – abbiamo chiuso: scuola di teatro, formazione dei formatori, attività con i disabili e la salute mentale, progetti nelle scuole, stagione teatrale. Ho assistito – impotente come tutti – alla cancellazione, per noi,  di vent’anni di sacrifici. Perchè ci sono voluti vent’anni per costruire il ‘Mondo di Bo’: un mondo dove la persona è messa al centro delle nostre azioni (da buon studente e uomo di sinistra ho cercato di trasferire nella costruzione del mio ‘lavoro artistico’ la cura della Persona)”.

Quell’umanità, di cui a volte ho denunciato l’assenza, – continua – costruita con tante strette di mano, di lacrime asciugate, di abbracci silenziosi (che sapevano gridare tante cose), adesso quell’umanità chiamata TEATRO è “un esercizio da non fare”! Questo imperativo è stato difficile da metabolizzare! Ho ascoltato i ricordi ed ho capito che per uscire fuori dall’emergenza  e vedere la luce in fondo al tunnel dovevo spogliare e rendere priva di vita la parola NOSTALGIA del “come eravamo prima” e di adoperarsi per “tornare come prima!”: mai fare questo errore. E’ buon esercizio pensare cosa costruire di nuovo mantenendo sempre al centro di tutto il concetto di TEATRO fatto da persone (e non da app o piattaforme digitali). Ho ascoltato e partecipo con fervore al dibattito su di noi: ecco – forse – qualcosa di buono questa emergenza ha scatenato. Artisti che parlano di Artisti. E nella parola ‘artista’ io comprendo tutti i mestieri dell’Arte! Artisti che mentre si prendono a cuore delle proprie sorti personali si adoperano anche per gli altri, utopia?”.

Il Teatro di Bo’

“Poi, penso che il ‘malessere’ che emerge nel nostro settore ce lo siamo, in parte,  cercato  e voluto: nessuno, ad esempio, prima denunciava il lavoro a nero a cui alcuni del nostro settore erano costretti; facevamo orecchie da mercante a degli appelli di denuncia (ci siamo dimenticati la lettera di denuncia di alcuni artisti a fine spettacolo con due o tre attori ‘principali’ che si defilavano dal coro?). Trovo molto interessante invece questi ‘focolai’ di discussione e  (lo spero tanto) di unità: da Zo-Na Rossa a Facciamolaconta a Professionisti dello Spettacolo a Lavoratori e Lavoratrici dello spettacolo dal vivo, al Cresco ecc.: troppi gruppi? Forse! Ma pensare a un Cartello Unitario degli Artisti (lavoratori) è interessante come interessante è stato ascoltare tutte queste ‘voci’! Io sono con loro. Io sono una di loro.

Trailer “Filumè- Una Voce e mille Pensieri”

Amarezza nel constatare che non abbiamo nessun interlocutore politico! In Francia – ad esempio – il presidente Macron ha sottolineato (nell’elencare le misure della fase 2) che il Paese rinasce partendo dalla Cultura! In Italia – in questi lunghi due mesi – ad ogni ‘diretta’ del Presidente Conte mai una menzione al nostro settore o a noi come lavoratori. Se non il 13 maggio con quella battuta infelice degli “Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare”.

Teatri chiusi o aperti? Sembra una frase shakesperiana ‘essere o non essere’! Qui è stato difficile capirci qualcosa! Credo che la sfida non sia tanto  “apertura o chiusura dei teatri”  ma interrogarsi  se esiste ancora un pubblico. In queste settimane mi sono spesso chiesto: a chi manchiamo? Ci aspettano giorni impegnativi e a volte forse scoraggianti’, ma non dobbiamo mai perdere la bussola: il nostro Teatro.

Leo De Berardinis

Mi permetto, infine, di citare uno stralcio della Lezione dottorale di Leo De Berardinis (4 maggio 2001) dopo il conferimento della Laura ad Honorem, che possano essere queste parole di buon auspicio per tutti noi, oggi soprattutto: “Il Teatro è libertà. Il Teatro non deve essere come alcuni vogliono un’azienda che offre merce ad una collettività di consumatori: merce indotta, accettata criticamente dal pubblico, merce vampira e stregata. Il Teatro deve costruirsi una sua autonomia e liberarsi dall’economicismo riaffermando con vigore che l’economia è un mezzo e non un fine. Il Teatro deve rivendicare il suo diritto alla diversità ed irriducibilità a schemi, mode, etichette, deve ridare valore alla sua intrinseca minoranza e al suo diritto all’opposizione come garanzia di uno stato democratico. Il Teatro deve essere libero ma la libertà non si conquista una volta per tutte, è una cosa preziosa che va difesa quotidianamente con grande responsabilità e senza tentennamenti: non si puo’ partecipare a lugubri festivi pretendendo di essere anche liberi. Il lugubre infetta“.

“Ecco, io penso – conclude Di Corcia jr – che dobbiamo attuare questo esercizio di libertà per non lasciarsi infettare dal lugubre”.

Il secondo intervento di oggi – che è poi una metafora sul lavoro degli artisti, ovvero che senza economia non si può fare “arte” – è quello di Tindaro Granata, 41 anni, attore, autore e regista, nato a Tindari, in Sicilia. Ha iniziato il suo percorso artistico nel 2002 con Massimo Ranieri in occasione della messa in scena dello spettacolo “Pulcinella” diretto da Maurizio Scaparro. In veste di drammaturgo/regista/attore ha esordito nel 2011 con “Antropolaroid”, uno spettacolo sulla storia della sua famiglia, prodotto da Proxima Res, in cui recita da solo interpretando tutti i personaggi della storia. Con questo spettacolo, recitato in buona parte in dialetto siciliano, ha ricevuto la “Menzione speciale” al concorso “Borsa Teatrale Anna Pancirolli”, ha vinto il Premio “ANCT 2011” dell’ Associazione Nazionale dei Critici di Teatro come “Miglior spettacolo d’ innovazione” e il premio “FERSEN” in qualità di “Attore creativo”. Dal 2009 è socio fondatore della Proxima Res – a Milano – e dal 2017 ne è il direttore artistico.

Tindaro Granata in “Antropolaroid”

Queste le osservazioni, la metafora, il racconto, che ci regala Tindaro Granata.

“Una vecchia storia di Giufà (antico personaggio, il cui nome ha origini turche e che grazie agli “Arabi” è arrivato da noi in Sicilia) racconta, metaforicamente, che senza economia non si può fare “arte”; se il committente non paga, non può pretendere di suonare. Questa storia la riporto – aggiunge l’attore siciliano Tindaro Granatacome me la ricordo dai racconti dei vecchi siciliani, quelli che hanno fatto grande la nostra terra e la nostra Italia. 

Quei vecchi che lavoravano per niente, per poco più di una manciata di grano (raccolto il giorno stesso, sotto il sole), sfruttati e senza diritti! Quei vecchi, che mi hanno raccontato questa storia, hanno lasciato a terra il  loro sudore e se i nostri campi sono ancora fertili, lo dobbiamo alle loro faticose sudate! E se la mia mente è ancora fertile lo devo a loro e alle loro meravigliose parole! Che sia di lieta lettura, grazie alla traduzione di Marinella Guidara, anche per i non siciliani”. 

Tindaro Granata

Lo Zufolo

C’era una volta un ragazzino di nome Giufà. Questo ragazzino accompagnava lo zio alle fiere e feste padronali,  si divertiva ad osservare le persone e le bancarelle allestite. Lo zio gli voleva talmente bene che lo portava per mari e monti senza mai badare all’orario di ritorno. 

Si divertivano a raccontare tutto ciò che trovavano in giro: stranezze e bellezze, cose dolci e cose assurde. Il paese li attendeva per ascoltare i racconti che Giufà faceva. Quanto gli piaceva parlare e narrare sia dei fatti veri e sia quelli fantasiosi.

Tutti gli dicevano: “Giufà, quando tornerai alla prossima fiera, dovrai portarmi una cosa bella.” Lui rispondeva: “Se mi darai qualcosa io ti porterò una bella cosa”.

Il ragazzino era furbo e campagnolo tanto da non farsi raggirare! Giunse una donna anziana con in mano cinque lire e gli disse: “Mi porti uno zufolo per mio nipote? Giufà rispose: “Signora Carmela aspetti qualche sera che suo nipote le suonerà una serenata! Arrivò un poveraccio e gli portò un pezzo di pane: “Mi piacerebbe suonare per il mio fratellino”. Giufà rispose: “Stai tranquillo compare che per domani avrai uno zufolo! 

Giunse il Dottore del Paese (denominato “corna tese”): “Giufà,  portami un flauto, ma lo voglio bello!”. Giufà: “Come glielo posso portare se non ho soldi”. Il Dottore: “Lo voglio bello!”.

Tutti i cittadini rimasero alle finestre ad ascoltare e guardare, Giufà incamminandosi sulla strada verso la fiera a voce alta disse allo zio: “Corna tese non vuole pagare?” ….senza zufolo dovrà suonare!”.

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