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Il 22 gennaio la Chiesa celebra la memoria di san Vincenzo di Saragozza, diacono e martire che, secondo la tradizione, nacque a Huesca, alle pendici dei Pirinei. A Valencia la festa di san Vincenzo è celebrata con particolare solennità poiché è il patrono principale dell’arcidiocesi e della città, in quanto in essa subì il martirio. Vincenzo vi fu sepolto e vi si conservano i luoghi dove egli fu processato, sottoposto a torture e al glorioso martirio, che avvenne durante la persecuzione di Diocleziano, probabilmente fra gli anni 304 e 306, il quale aveva emesso quattro editti contro i cristiani.

La fama di Vincenzo, che è considerato il più insigne dei martiri spagnoli, si diffuse molto presto in tutta la Chiesa; Agostino d’Ippona (354 – 430), che  gli dedicò diversi  Discorsi tra il 410 e il 413 (274-275-276-277), ci ha lasciato una vasta testimonianza sulla venerazione di cui godeva il diacono Vincenzo, il più celebre dei martiri di Spagna, tanto da dire: <<fin dove giunge l’impero romano o la denominazione di cristiano, si celebra il natale di Vincenzo>> (Serm., 276,4), e il poeta Aurelio Prudenzio Clemente, il più importante poeta cristiano della Chiesa antica, nato in Spagna nel 348,  nel 405 raccontò la sua passione, ricca di lirismo e di colore, nella sua opera principale, il Peristephanon (Le Corone dei martiri).

Prudenzio, cantore ispirato del martirio cristiano, esaltò nei suoi inni le prodezze di diversi testimoni della fede e cantò le persecuzioni non come erano avvenute, ma come se le figurava l’immaginazione popolare, supplendo così alla mancanza di documenti, in quanto la maggior parte di essi non si era salvata poiché era apparsa prima della fine delle persecuzioni. Durante l’ultima di queste persecuzioni gli editti imperiali ordinarono l’annientamento delle Sacre Scritture, la distruzione degli archivi delle chiese e dell’immensa maggioranza degli acta dei martiri. Lo stesso Prudenzio, nel primo inno del Peristephanon, dedicato ai santi Emeterio e Celedonio, deplora la scarsità di fonti storiche, di cui la primitiva Chiesa ispana disponeva per dimostrare l’eroismo dei suoi martiri: <<Ahimè, negligente oblio di una antichità che rimane muta! Di questi fatti sappiamo ben poco, perfino la tradizione si è perduta, perché una volta un impiegato sacrilego ha fatto sparire i documenti>> (Peristephanon, Inno in onore dei martiri: Emeterio e Chelidonio di Calahorra,  I,25).

L’arcidiacono Vincenzo e Valerio vescovo di Saragozza, furono entrambi condotti come prigionieri a Valencia, antica colonia romana, dove si stava recando Daziano, il giudice incaricato che si distinse per fanatismo e crudeltà nel mettere in atto gli editti persecutori dell’imperatore Diocleziano miranti a distruggere gli edifici e i libri dei cristiani, mentre coloro che ricoprivano cariche pubbliche, se dichiarati cristiani, venivano esonerati dai loro incarichi. Daziano, che si accontentò di esiliare il vescovo Valerio, si accanì contro il diacono Vincenzo per la sua eloquenza intrepida, ordinando che fosse torturato per provocare la sua abiura, ma Vincenzo rifiutò più volte le offerte del giudice senza emettere un lamento. Prudenzio fa pronunciare a Vincenzo un coraggioso discorso, effusione sublime dello stoicismo cristiano, e descrive le diverse torture a cui fu sottoposto, dopo essere stato messo su un letto di ferro incandescente, sommo grado della tortura.

San Vincenzo Martire sul fercolo a Valencia per la solenne festa

Prudenzio presenta l’arcidiacono Vincenzo come il martire intrepido che replica alle accuse di Daziano con il coraggio e la forza d’animo che gli derivano da una fede profonda e vissuta; Vincenzo è il martire che confessa le sue convinzioni e assume una posizione non di difesa, ma di superiorità e di sfida, fino all’ironia e al sarcasmo nei confronti dell’accusatore: <<Coraggio, allora, sfoggia tutta la tua forza, tutto il tuo potere io mi oppongo davanti a tutti>> (14). Vincenzo, che prosegue addentrandosi nel cuore della fede, dice: <<Ascolta cosa abbiamo da dire: Dio è Cristo e il Padre, noi siamo suoi servi e testimoni. Strappaci via la fede, se puoi! Le torture, il carcere, gli unghioni, il soffio delle lame roventi e anche l’ultimo dei supplizi, la morte, sono uno scherzo per i cristiani>> (15-16).Più avanti sembra di ascoltare attraverso le parole di Vincenzo il Prudenzio polemista antipagano che dice: <<Com’è vana la vostra perfidia, e com’è ottuso il decreto di Cesare! E anche gli dèi che ci ordinate di adorare son degni della vostra intelligenza: intagliati dalla mano di un operaio, cotti con mantici cavi (Sl 115,4-8), sono privi di voce, incapaci di camminare, immobili, ciechi e muti. Per questi si innalzano templi sontuosi di marmo splendente, per costoro si sgozzano e si uccidono tori muggenti! . <<Ma in queste statue ci sono anche degli spiriti>>. <<Si, ma sono maestri di crimini, insidiatori della vostra salvezza: (spiriti) erranti, prepotenti abietti, che di nascosto vi incitano e vi spingono ad ogni infamia a sterminare i giusti con gli omicidi, a perseguitare il popolo santo. Anche loro sanno che Cristo è vivo e potente, e anche il suo regno è ormai vicino, terribile per i perfidi>> (17-22). Prudenzio continua l’inno con una lunga e minuziosa descrizione dei tormenti inflitti a Vincenzo, dilaniato dalle lame dei carnefici, arso e, infine, gettato in una sordida prigione con un ceppo ai piedi e su un giaciglio cosparso di <<di cocci appuntiti… e aculei dolorosi perché premendo contro i fianchi gli impediscano di dormire>> (65).

Daziano, stanco dell’ostinazione di Vincenzo, ordinò che fosse riportato in carcere per subire altre torture. Prudenzio descrive il carcere come se lo avesse visto: un luogo più oscuro delle stesse tenebre, chiuso e soffocato dalle pietre di una volta bassa e stretta. In questo luogo sotterraneo giaceva Vincenzo con i piedi imprigionati da ceppi.  All’improvviso il carcere s’illumina; strani profumi sostituiscono i fetidi vapori; il suolo si ricopre di fiori; si spezzano i ceppi e le catene; si ode il battito di ali angeliche, e il martire riceve le liete ambasciate dei beati. Il più bello di tutti canta: <<Alzati martire insigne; alzati senza timore per quanto ti accadrà; alzati, compagno nostro, e unisciti all’alma schiera. Hai sopportato abbastanza lo spaventoso supplizio: l’avvento di una morte gloriosa porrà fine a tutta la (tua) passione.  Oh soldato del tutto invincibile, più valoroso dei più valorosi, i tormenti furiosi e violenti già tremano perfino loro davanti alla tua vittoria. Il Cristo Dio ne è stato spettatore, e ti ricompensa con l’eternità; hai condiviso la sua croce, ed egli ti incorona con la sua mano generosa. Deponi questo misero fragile vaso, fatto di terra impastata che si disperde e perisce, e vieni libero al cielo!>> (72-76).   

Reliquia del braccio incorrotto di san Vincenzo martire – Cattedrale di Valencia

A questo punto il poeta racconta il momento in cui sopraggiunge per il diacono la morte liberatrice annunciata da una <<luce splendente>> soprannaturale che irrompe <<nell’oscurità del carcere>> a portare la salvezza divina: <<In quel momento Vincenzo comprende che è giunto il premio sperato dopo tanta pena, il Cristo datore di luce … E c’è anche una schiera di angeli, e gli parlano da vicino. Uno di loro dal volto più ieratico si rivolge all’eroe con queste parole: Alzati, martire insigne, alzati senza timore per quanto ti accadrà, alzati compagno nostro e unisciti all’alma schiera. Hai sopportato lo spaventoso supplizio: l’avvento di una morte gloriosa porrà fine a tutta la tua passione. O soldato del tutto invincibile, più valoroso dei valorosi, i tormenti furiosi e violenti già tremano perfino davanti la tua vittoria>> (68-74).

San Vincenzo e Sant’Atanasio Chiesa omonima – Piazza Trevi, Roma

Questo prodigio, che giunge alle orecchie di Daziano, commuove la città e lo stesso <<pretore, che è fuori di sé, piange perché si vede vinto, e fra i gemiti rimesta la sua collera, il rammarico e la vergogna>> (82), Dalla profondità di quell’antro lo spirito di Vincenzo ritorna a Cristo, autore della luce, per ricevere il premio per la sua battaglia. Prudenzio descrive in dolcissimi versi la morte, o meglio la vittoria, di Vincenzo: <<Così, dopo aver lasciato ricadere la testa sulle morbide coltri, il suo spirito abbandona le membra e si innalza vittorioso verso il cielo>> (92)). Questo brillante finale contrasta con i due ultimi versi dell’Eneide, in cui Virgilio descrive la morte di un eroe, Turno, come un commiato senza speranza, senza una parola di trionfo, né di luce, né di gioia:  <<Ast illi solvuntur frigore membra / vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras>> (Eneide, XII, 951-952) (Ma a lui si disfanno le membra con il freddo (della morte) e la vita miserabile fugge fra gemiti in mezzo alle ombre). I poeti pagani quando raccontano la morte di un eroe suscitano un’impressione dolorosa perché i loro versi, intrisi di un dolore indefinibile, sono segnati dal disincanto. Questa è la morte della poesia pagana: lacrime senza consolazione e notte di perpetue tenebre. Prudenzio invece esalta la morte come “ingresso nell’eternità”; per questo i martiri l’attendono con il sorriso sulle labbra:  Lorenzo (Inno II),  Eulalia (Inno III), Vincenzo (Inno V) e molti altri furono esaltati dal più sublime dei poeti latini della Chiesa occidentale, il quale, nelle strofe finali di ogni inno del suo Peristephanon sembra indicare la vita sul punto di spegnersi o pronta per l’ultimo istante, e cerca di conquistarsi l’intercessione dei martiri, facendosi eco ufficiale di una tradizione popolare che li venera come tali.

L’inno termina con una invocazione rivolta a Vincenzo come eroe vittorioso, che nella carne <<ha mostrato un valore pari a quello dello spirito, e come patrono e potente intercessore, affinché il Cristo placato… non ci imputi tutte le nostre colpe >> (139).

Desidero concludere questa breve ricerca sul diacono Vincenzo di Saragozza con la preghiera con cui Prudenzio chiude questi versi, in cui nelle parole di Vincenzo emerge a volte la polemica e l’ironia antipagana alternata ad ardenti professioni di fede e a slanci mistici: <<Tu solo, due volte glorioso, tu solo hai ottenuto la palma di una doppia vittoria (il martirio e poi la salvezza del corpo dalla scomparsa in mare), perché hai conquistato nello stesso tempo due allori.

Vincitore nella dolorosa morte, e dopo la morte ancora vincitore, con uguale trionfo schiacci il brigante (il demonio o Daziano che ne è lo strumento) con il solo corpo.

Soccorrici adesso, e accogli le supplici preghiere di quanti ti invocano, o valido avvocato dei nostri peccati davanti al trono del Padre.

San Vincenzo di Saragozza in prigione. Autore anonimo, scuola di Francisco Ribalta1565 – 1628

Nel tuo nome, nel nome di quel carcere che accresce il tuo onore; in nome di quelle catene, delle fiamme, delle unghie di ferro, in nome del ceppo dei prigionieri; in nome di quei rottami di coccio che hanno reso più grande la tua gloria, e di quel giaciglio che tremando noi posteri baciamo, abbi pietà delle nostre preghiere, affinché Cristo placato volga l’orecchio benigno verso i tuoi  e non ci imputi tutte le nostre colpe!

Se veneriamo com’è giusto il giorno solenne con la bocca e con il cuore, se ci prostriamo con gioia davanti alle tue reliquie, scendi qui un attimo e portaci la benevolenza di Cristo affinché la nostra umanità affannata senta il sollievo dell’indulgenza.

Senza ritardi il tuo nobile spirito possa riprendere possesso della carne, una volta risorta, carne che ha dato prova di un valore pari a quello dello spirito. Così, dopo aver condiviso le sue pene e corso lo stesso pericolo, essa diventerà coerede della sua gloria per tutti i secoli, in eterno>> (134-143).

Nel Martirologio Romano del 22 gennaio è scritto: <<San Vincenzo, diacono di Saragozza e martire, che dopo aver patito nella persecuzione dell’imperatore Diocleziano il carcere, la fame, il cavalletto e le lame incandescenti, a Valenzia in Spagna volò   invitto in cielo al premio del suo martirio>>.

San Vincenzo martire è venerato dalla Chiesa Cattolica e da quella Anglicana. Il monastero di São Vicente de Fora, di Lisbona, fondato nel 1147 dal primo re del Portogallo, Alfonso I, per l’Ordine di Sant’Agostino, era dedicato a san Vincenzo di Saragozza, santo patrono di Lisbona, le cui reliquie vi furono trasportate  dall’Algarve (Portogallo) nel XII secolo. Reliquie di san Vincenzo sono custodite anche nella Cattedrale di Valencia, a Carmona (Siviglia), in Africa e, in modo particolare a Tamalla, oggi Tocqueville, in Algeria.  La tradizione vuole che anche ad Acate, in Provincia di Ragusa, e nella Basilica di San Paolo alle Tre Fontane di Roma, si venerano reliquie di san Vincenzo di Saragozza.

 Diac. Dott. Sebastiano Mangano

Già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’’Università di Catania

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