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Dopo l’anteprima dello scorso agosto al Castello Ursino di Catania, l’atto unico “La musica dei ciechi” di Raffaele Viviani, nell’adattamento e traduzione in siciliano e con la regia di Valerio Santi, ha aperto dal 21 al 23 ottobre, la stagione “Aria Nuova” del Teatro L’Istrione di via Federico De Roberto, a Catania.

La pièce, in una intrigante scenografia, che fotografa con reti e cestini di pesce un angolo della pescheria di Catania, nella trasposizione di Valerio Santi vede al centro della vicenda poetica-musical-teatrale una dignitosa orchestrina di ciechi che cerca di sbarcare il lunario per le vie del centro, guidata da don Alfonso che, con un solo occhio funzionante, indirizza l’ensemble a raccogliere le elemosine e pensa a ridistribuire le poche monete guadagnate.

Una scena – Foto Dino Stornello

A tormentare il povero gruppo di ciechi, a seminare zizzanie tra loro, ci pensa però un dispettoso “piscialoru” (pescivendolo) che instaura quindi una sorta di guerra tra poveri, suscitando l’ira e la reazione di don Alfonso, soprattutto quando insinua un vergognoso dubbio, ovvero che Nannina, la moglie di Ferdinando, uno dei musicanti, abbia una relazione con don Alfonso, suscitando un vero e proprio parapiglia nel gruppo. Don Ferdinando se la prende con don Alfonso e con la povera Nannina e vuole lasciare l’orchestrina e c’è una scazzottata tra il pescivendolo calunniatore e don Alfonso. In realtà Nannina ha avvicinato don Alfonso solo per chiedergli aiuto per pagare un debito con il padrone di casa ma il povero non vedente Ferdinando si è fatto prendere dalla gelosia. In un finale intriso di poesia e commozione comunque Ferdinando e Nannina si ritrovano da soli in strada e si chiariscono: lei confessa al marito (che invece non vuole più tornare a casa) che l’ama tanto e di essere troppo brutta per attirare un uomo e che gli ha sempre fatto credere di essere bella per non essere respinta, approfittando proprio della sua cecità.

Cinzia Caminiti e Concetto Venti – Foto Dino Stornello

Valerio Santi ha avuto l’abilitò, di costruire uno spettacolo con notevoli potenzialità ed armonia, davvero coinvolgente, un dramma sempre attuale e radicato nel nostro territorio. L’abile regista, traduttore ed adattatore, oltre che convincente interprete, fonde brillantemente la tradizione napoletana della musica dei ciechi a quella dei nanareddi siciliani, operanti sin dalla seconda metà del Seicento e ancora vivi sino a oggi nella memoria di molti anziani. Inoltre l’adattamento di Valerio Santi da il meritato spazio anche alla tradizione dei pupi, riservando una parte della pièce alla nota maschera popolare catanese di Peppininu do’ Furtinu, con la sua allegria ed ironia, regalando davvero l’ennesima sorpresa e gioia all’interessato pubblico.Molto apprezzate le musiche dal vivo in parte recuperate dal repertorio dei nanareddi, con interessanti canzoni di Francesco Paolo Frontini, compositore e direttore d’orchestra catanese, oggi dimenticato, ma nel Novecento molto conosciuto.

I ringraziamenti finali-Foto Dino Stornello

Spettacolo molto gradito ed applaudito dagli spettatori e che ha mantenuto l’originalità dell’opera di Raffaele Viviani, senza lasciarsi andare a facili battute comiche per catturare – come capita spesso oggi a teatro- la benevolenza del pubblico. L’atto unico, invece, nella sua linearità, non ha sbavature, cadute di stile o momenti di cedimento, raccontando un dramma della povertà di ieri come di oggi, quella tristezza esistenziale e sociale che troviamo anche nel mondo attuale, il tutto visto dalla prospettiva dei non vedenti. In sala quindi una musica che ammalia, delle canzoni piacevoli e degli interpreti che danno il meglio per la riuscita del lavoro, grazie alla regia essenziale, che cura tutto nei minimi particolari, di Valerio Santi. Un adattamento de “La musica dei ciechi”, quindi, di notevole qualità, che  mantiene la sua amarezza di fondo, la sua capacità di far sorridere ma con l’amaro in bocca. Tutti ben delineati i personaggi in scena: dal triste e confuso Ferdinando di Concetto Venti all’antipatico e calunniatore “piscialoru” di Salvo Scuderi,  dal commovente e melodioso don Lorenzo di Melo Zuccaro alla dolcezza disarmante e smarrita della Nannina di Cinzia Caminiti, dall’umanissimo don Alfonso che esalta le capacità vocali e attorali, la mimica di Valerio Santi all’esuberante don Antonio di Marco Napoli con il suo Peppininu. Completano l’assortito cast il polistrumentista Giorgio Maltese con il suo Gennarino, il maestro Mimmo Aiola con il suo don Vincenzo ed il giovanotto di Manfredi Rondine. Toccante, alla fine, l’uscita di tutti i musicanti appoggiati alla loro guida don Alfonso e poi dei due sposi, Nannina e Ferdinando, che si sorreggono e consolano a vicenda, in nome di una povertà e semplicità che li accomuna.

Sorrisi, musica e tanti applausi alla fine per tutti gli interpreti dell’affiatato gruppo e soprattutto consensi per un lavoro che coinvolge e che commuove, rimanendo sospeso tra il passato ed il presente, considerando che la miseria, le difficoltà della vita, così come la musica e la poesia non hanno tempo.

Scheda spettacolo

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