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Un lavoro sicuramente straniante e con una comicità tutta basata sul ritmo e che mette a dura prova le capacità del regista e dell’intero cast, regalando una gradevole serata al pubblico in sala. Parliamo della commedia surreale e dell’assurdo “Funerale d’inverno” dell’israeliano Hanoch Levin, in prima nazionale, fino al 26 febbraio, al Teatro Brancati di Catania, produzione del Teatro della Città e diretta con mano felice dal maestro Armando Pugliese alle prese con un testo particolare, intrigante e con un drammaturgo dalla scrittura anticonvenzionale, con un umorismo di matrice ebraica e che strizza l’occhio a diversi generi quali il teatro yiddish, il cabaret, Brecht, il teatro dell’assurdo, offrendo, però, una rielaborazione originale.

Puglia, Zumbo e Coltraro in scena – Foto Dino Stornello

La pièce nei due atti si caratterizza per una serie di paradossi, dalla prima all’ultima scena, con un susseguirsi di azioni grottesche, esilaranti e che richiamano il teatro dell’assurdo con ritmi forsennati che mettono in evidenza le capacità e l’abilità del corposo ed affiatato cast.

Sulla scena, con diversi elementi mobili, curata da Andrea Taddei, con i costumi colorati di Dora Argento e col disegno luci di Gaetano La Mela, il tutto orchestrato dal regista Armando Pugliese che, con sapiente maestria, cerca di mantenere sempre alti i ritmi della recitazione, si agitano ben quattordici personaggi ben tratteggiati da una scatenata compagnia di dodici attori guidati dal protagonista, il convincente Angelo Tosto (nei panni di Laccio) ed affiancato poi dalle travolgenti Margherita Mignemi e Olivia Spigarelli (nei panni rispettivamente di Gingiova e Sarzia).

Una scena di gruppo – Foto Dino Stornello

Nel loro continuo agitarsi i quattordici personaggi raccontano in modo surreale il dramma umano della assurdità della vita. Ognuno dei protagonisti, disadattato, diverso, con le proprie fissazioni, mira a raggiungere egoisticamente il proprio obiettivo quotidiano e, con un preciso rituale, passa dal funerale al matrimonio, dal mangiare al viaggiare, sino al morire, nel modo più grottesco possibile, con l’aiuto di un puntuale ed ambiguo Angelo della Morte.

Angelo Tosto in scena- Ph. Dino Stornello

Tutto inizia con la morte di Alfea (interpretata da Elisabetta Alma), madre di Laccio, (reso con estrema abilità da Angelo Tosto) e con quest’ultimo che si ritrova a cercare i parenti, persino in Tibet, per comunicare loro il giorno della data dei funerali. Purtroppo nello stesso giorno del funerali è previsto il matrimonio tra i due rampolli Velvezia (Aurora Cimino) e Poposki (Dario Magnano San Lio) e le famiglie dei consuoceri, con a capo Sarzia (l’irresistibile Olivia Spigarelli) e Gingiova (la travolgente, per mimica e linguaggio, Margherita Mignemi) non vogliono apprendere la notizia del  funerale che li porterebbe a dover spostare la data del matrimonio già organizzato, con ben 400 invitati e 800 polli arrosto che andrebbero buttati. Le due famiglie con il povero inseguitore Laccio ed il prof. Kipernai – vicino di casa – (reso divertente e sfacciato da Agostino Zumbo), viaggeranno così, armati di ombrelli, fino in Tibet, tra buddisti, morti improvvise e incontri con i fissati del jogging, Rosenzweig e Lichtenstein (Emanuele Puglia e Cosimo Coltraro), fino alla festa del matrimonio ed al triste rituale del funerale con il povero e solo Laccio che accompagna la madre Altea. In scena anche il Rasciu di Vincenzo Volo, il Bargonzo e Shahmandrina di Giovanni Rizzuti e Claudio Zappalà nei panni di Samuelov.

Si assiste quindi ad uno spettacolo complesso, ricco di trovate – a volte surreali – e battute folgoranti che diverte e sorpende il pubblico avvicinandolo all’approccio dell’autore, chiaramente dissacratorio, alla vita e alla morte. L’israeliano Hanoch Levin si incammina sulla strada tracciata da Jarry, Ionesco, Beckett, Pinter con un linguaggio funzionale a quel tipo di gioco teatrale, fatto di ripetizioni ossessive, di esplosioni verbali, di forme retoriche paradossali e di satira feroce delle liturgie della famiglia tradizionale, ebraica, ma non solo, con il rito stereotipato del matrimonio, del funerale, del mangiare, della salute, frutto di una visione nichilista del percorso umano.

Gli applausi finali – Foto Dino Stornello

Alla fine dello spettacolo – in scena al “Brancati” sino a domenica 26 febbraio – applausi convinti del pubblico per l’affiatata compagnia e per una commedia dal testo surreale e grottesco e che con lue trovate regala una serata folle e di notevole divertimento.

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