Cultura

La vita di Cirillo, che nacque intorno al 370, probabilmente ad Alessandria, prima dell’episcopato, ci è quasi totalmente sconosciuta; ci è noto soltanto che era nipote del potente Teofilo, patriarca di Alessandria dal 385 al 412, che lo accompagnò nel luglio del 403 al <<Conciliabolo della Quercia>> presso Calcedonia, dove venne condannato e deposto dalla sede patriarcale di Costantinopoli Giovanni Crisostomo, per iniziativa di suo zio Teofilo, allora patriarca di Alessandria. Cirillo succedette allo zio nella sede patriarcale di Alessandria il 18 ottobre 412, dopo essersi dedicato per qualche alla vita monastica. Il suo episcopato ad Alessandria fu travagliato da lotte incessanti sostenute da Cirillo con durezza e con aggressività, in cui non è sempre facile distinguere ciò che è ispirato dall’indubbio zelo per l’ortodossia e dalla coscienza del dovere pastorale o da ciò che è dovuto ad orgoglio passionale e alla tradizionale rivalità tra la sede patriarcale di Alessandria di Antiochia  e di Costantinopoli.

Cirillo di Alessandria

Gli scismatici seguaci dell’eresia novanziana, che professavano un rigorismo estremo, negando alla Chiesa il diritto di riaccettare alla sua comunione i lapsi o gli apostati e più tardi, anche i colpevoli di qualsiasi peccato mortale, e gli Ebrei, lo sperimentarono come avversario duro e implacabile. Invece non si hanno argomenti che provino una responsabilità di Cirillo nella tragica fine di Ipazia, la filosofa pagana neo-platonica, che fu uccisa barbaramente nel 415 da una folla di cristiani in tumulto, anzi il silenzio dei suoi accaniti avversari sembra escluderla.

 Nel 429 ebbe inizio la polemica con Nestorio (381-451), patriarca di Costantinopoli, che si svolse con omelie, lettere, trattati, appelli a Roma e incontri sinodali. Nel Sinodo di Alessandria del 430 Cirillo lanciò contro Nestorio dodici <<anatematismi>>. Il Concilio ecumenico di Efeso nel 431 proclamò Maria Theotókos (Θεοτόκος), cioè Madre di Dio, e condannò Nestorio. Poco dopo un conciliabolo presieduto dal patriarca Giovanni di Antiochia (+441), condannò e depose Cirillo, che fu imprigionato per ordine dell’imperatore Teodosio II (401-450), che però ben presto lo restituì alla sua sede patriarcale, deponendo invece Nestorio dalla sede di Costantinopoli. Si venne allora alla riconciliazione con i nestoriani, che sottoscrissero una professione di fede ortodossa: Cirillo continuò la sua lotta combattendo specialmente gli antiocheni Diodoro di Tarso (330 ca. – 394 ca.). e Teodoro di Mopsuestia  (350 ca – 428),, nei quali ravvisava i presupposti dell’eresia nestoriana.

Dopo Giovanni Crisostomo, Cirillo d’Alessandria è il Padre della Chiesa greca che ha lasciato la maggiore eredità letteraria. I suoi scritti, che occupano non meno di 10 volumi della Patrologia greca (PG 68-77), si suddividono in esegetici, dogmatici ed apologetici, omelie e lettere. Molte di queste opere ci sono pervenute incomplete e altre, purtroppo, sono andate perdute.

Per le opere esegetiche, per la maggior parte anteriori alla controversia nestoriana, quindi scritti prima del 429, menzioniamo i 17 libri Sull’adorazione e il culto di Dio in spirito e verità (PG 68,133-1126), che è una spiegazione allegorica delle norme cultuali imposte dal Pentateuco. Cirillo, in quest’opera scritta prima del 429, si propone di dimostrare che l’Antico Testamento, riferendosi in modo particolare al Pentateuco,  è preparazione e figura del Nuovo, e perciò già quello, quando sia rettamente inteso, proclama l’adorazione di Dio in spirito e verità.

Ascensione del Signore – Incontro tra cielo e terra. Giotto – Cappella degli Scrovegni – 1303-1305 – Padova

Poco dopo, Cirillo scrive i Glapyira in 13 libri, cioè dei componimenti eleganti, dove riprende il tema dell’opera precedente, con l’intento di interpretare altri passi del Pentateuco in senso propriamente tipologico.

Nell’esteso Commento a Isaia profeta (PG 70,9-1450), in 5 libri, e nel Commento ai profeti minori (PG 71,9-328), Cirillo si propone di cercare sia il senso letterale sia quello spirituale. Di altri commenti all’Antico Testamento ci rimangono esigui frammenti, ma del Commento ai Salmi e al Cantico dei Cantici (PG 69,717-1276) i frammenti sono più abbondanti

Delle opere esegetiche sul Nuovo Testamento abbiamo quasi completo l’ampio Commento a Giovanni (PG 72,365-474), d’intento prevalentemente teologico in polemica contro gli Ariani; il Commento a Luca (PG 72,475-850) ci è pervenuto in frammenti greci e quasi per intero in versione siriaca; qui domina lo scopo pratico di edificazione. Del Commento a Matteo e delle Lettere ai Romani (PG 74,773-856) , ai Corinti (PG 74, 855-916) e agli Ebrei (PG 74,953-1006), ci restano solo scarsi frammenti.

Delle opere dogmatico-polemiche tre sono rivolte contro gli Ariani: Il libro del Tesoro sulla santa e consostanziale Trinità (PG 75,9-656), che intende controbattere alle obiezioni degli ariani e degli eunomiani contro la dottrina trinitaria, servendosi di prove scritturistiche e razionali;  I sette dialoghi su La santa e consostanziale Trinità (PG 75,657-1124), che è invece una esposizione positiva della dottrina trinitaria; una trattazione Sul Santo Simbolo, in cui Cirillo spiega brevemente la professione di fede del Concilio di Nicea (325).

Molto più numerosi sono gli scritti di Cirillo contro una serie di omelie pubblicate dall’eresiarca Nestorio: Polemica contro la bestemmia di Nestorio in cinque libri (PG 76,9-248)), in cui Nestorio non viene espressamente nominato. Anche nell’Allocuzione sulla retta fede (PG 75,1132-1200), in dirizzata a Teodosio II la polemica è larvata. E’ dovere dell’imperatore procedere contro le eresie nelle quali viene soprattutto è sposta a fondo l’opinione di Nestorio. Ma il nome dell’eresiarca neanche qui viene nominato.

Altri due scritti della stessa indole sono indirizzati Ad reginas (PG 76,1201-1420), rispettivamente ad Arcadia, Marina e Pulcheria, sorelle di Teodosio II, e all’imperatrice Eudossia. Il fatto che Cirillo spedì separatamente questi scritti, dall’imperatore fu considerato come mancanza all’etichetta, e in realtà lo era. Teodoro rimproverò il vescovo di avere espresso in tal modo la sua opinione che nella corte imperiale regnasse la discordia. Cirillo cercò di giustificare il suo comportamento al concilio con una Apologia all’imperatore Teodosio (PG 76,453-488).

Gerusalemme – Monte degli Ulivi – La cappella dell’Ascensione – L’edicola è sotto la giurisdizione musulmana

Le dodici condanne, formulate ad Efeso da Cirillo insieme con i suoi aderenti, furono da lui spiegate in diversi scritti: l’Apologia delle dodici tesi contrarie ai vescovi orientali (PG 76,313-316) e la Lettera a Evopzio contro la polemica pubblica da Teodoreto sulle dodici tesi (PG 75, 295-312). Queste due opere corrispondevano a scritti duramente critici: il primo scritto era stato composto da Andrea di Samosata (+ prima del 449) a nome dei vescovi siriaci, il secondo da Teodoreto di Cirro (393 ca. – 458 ca.),  spedito a Cirillo dal vescovo Evopzio di Tolemaide (attuale città di Tolmeita) sita nella Pentapoli libica, menzionato nel 431. Cirillo aveva prima pubblicato una Spiegazione dei dodici capitoli pronunciati a Efeso (PG 75, 295-312), in cui gli “anatematismi” venivano sostenuti da dicta probantia. Con il suo esempio Cirillo ha fatto entrare nell’uso ecclesiastico la prova patristica, cioè che l’ortodossia di una dottrina fosse fondata su citazioni dei Padri della Chiesa. Del Commento sull’incarnazione dell’unigenito (PG 77,1189-1254), ci sono stati conservati solo frammenti dell’originale. Abbiamo però tradotte in latino, siriaco ed armeno le opere: Contro coloro che non riconoscono che Maria è la Madre di Dio (omelia tenuta nel concilio di Efeso PG 77, 991.995-996) e Contro Diodoro (di Tarso) e Teodoro (di Mopsuestia) (PG 76,1437-1452). Quest’ultimo scritto ci è pervenuto solo parzialmente.

Gode a buon diritto una certa celebrità il trattato Poiché Cristo è uno solo (PG 77,1253-1302) perché propone la cristologia di Cirillo, in contrapposizione all’apollinarismo e al nestorianesimo, con una certa chiarezza e perspicuità.

Alcuni brevi scritti pervenutici solo in frammenti si oppongono ad altre eresie cristologiche o rispondono a problemi di cristologia.

Vangeli di Rabbula Folio 13v con miniature dell’Ascensione– testo siriaco – VI sec. Biblioteca Medicea Laurenziana

Lo zelo di Cirillo si manifestò anche nella risposta polemica allo scritto Contro i Galilei dell’imperatore Giuliano.  Nei 10 libri Contro i libri dell’empio Giuliano (PG 76,503-1064), Cirillo confutava quanto l’imperatore apostata aveva scritto contro i cristiani, noto a noi dall’opera di Cirillo, dove è ampiamente riportato. Probabilmente quest’opera dell’Alessandrino comprendeva non meno di 30 libri, dieci contro ognuno dei tre libri di Giuliano. Ci è pervenuta completa la prima decade, frammenti della seconda e quasi nulla della terza, che è dunque una ipotesi. La mole gigantesca si spiega con il tipo di polemica, già instaurato da Origene contro gli scritti di Celso: trascrizione, spiegazione e confutazione di ogni singola frase; è quasi la redazione di un commento negativo. Procedimento, questo, che non è molto convincente, ma per noi vantaggioso, perché in questo modo ci sono state conservate gli scritti combattuti.

Nelle 30 Lettere festali, chiamate spesso Homiliae paschales (PG 77,401-982) per il loro carattere omiletico, prevale l’intento pratico nell’esortazione al digiuno del corpo e dello spirito.

Dalle 88 lettere (PG 77,9-390), che si contano nell’epistolario cirilliano, 17 sono indirizzate a Cirillo e alcune non sono autentiche.  La maggior parte si riferisce alla controversia cristologica, con l’intento dottrinale o storico. Alcune lettere trattano questioni di disciplina ecclesiastica.

Ci sono state tramandate anche 20 sue omelie, non tutte complete; la più importante è quella sulla Madre di Dio, tenuta ad Efeso nel 431.

La più antica rappresentazione dell’Ascensione del Signore III/IV. sec. ca. – Catacombe di san Sebastiano. Roma

Cirillo, nel Commento al Vangelo di Giovanni dimostra che con l’Ascensione al cielo nostro Signore Gesù Cristo ha inaugurato per noi una via nuova e vivente: <<Se presso il Padre – diceva il Signore – non vi fossero molte dimore, sarei andato molto prima a preparare le abitazioni ai santi. Ma sapendo che ve ne sono già molte preparate, che attendono l’arrivo di coloro che amano Dio, non è per questa ragione – disse – che mi allontanerò, ma perché il vostro ritorno sulla via del cielo è qualcosa che va preparato, in un luogo un tempo inaccessibile, da spianare. Il cielo infatti era assolutamente irraggiungibile per gli uomini, e mai prima di allora la natura umana era penetrata nel puro e santissimo luogo degli angeli. Cristo per primo ha inaugurato per noi quella via di accesso e ha dato all’uomo il modo di ascendervi, offrendo se stesso a Dio Padre quale primizia dei morti e di quelli che giacciono nella terra, e manifestandosi primo uomo agli spiriti celesti. Per questo gli angeli del cielo, ignorando il grande e augusto mistero di quella venuta in carne umana, attoniti, guardavano con meraviglia colui che ascendeva, e turbati dal nuovo e inaudito spettacolo, stavano per dire: «Chi è costui che viene da Edom?» (Is 63,1), cioè dalla terra. Ma lo Spirito non permise che quella celeste moltitudine restasse ignara della meravigliosa sapienza di Dio Padre; comandò, anzi, di aprire le porte del cielo al Re e Signore dell’universo, esclamando: «Alzate, o principi, le vostre porte, alzatevi, porte eterne, ed entri il re della gloria» (Sal 23,7 Volg.). Dunque, il Signore nostro Gesù Cristo ha inaugurato per noi la via nuova e vivente, come dice Paolo: «Non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). In realtà Cristo non è asceso per manifestare se stesso davanti a Dio Padre: egli era, è e sarà sempre nel Padre, e sotto lo sguardo di Colui che l’ha generato; è sempre l’oggetto della sua compiacenza. Ma ora il Verbo è asceso come uomo dandosi a vedere in una maniera nuova e inusitata, poiché prima era privo dell’umanità. E questo per causa nostra e per nostro vantaggio, per cui, divenuto simile agli uomini, udì in tutta realtà, nella sua potenza di Figlio e come uomo: «Siedi alla mia destra» (Sal 109,1), onde trasmettere a tutto il genere umano, adottato in lui, la gloria della filiazione. È davvero uno di noi, in quanto è apparso alla destra di Dio e Padre come uomo, benché sia al di sopra di ogni creatura e consustanziale al Padre, essendo lo splendore di lui, Dio da Dio e luce da luce vera. È apparso dunque per noi davanti al Padre come uomo, per ripresentare a lui noi, che per l’antica prevaricazione eravamo stati allontanati dal suo volto. Si è assiso come Figlio, affinché noi pure sedessimo come figli e, in lui, fossimo chiamati figli di Dio. Per ciò Paolo, il quale afferma di avere in sé Cristo che parla per suo mezzo, insegna che le cose avvenute a titolo speciale nei riguardi di Cristo sono comuni alla natura umana, dicendo: «Con lui ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo» (Ef 2,6). A Cristo spetta propriamente, e a lui solo in quanto Figlio per natura, la dignità e la gloria di sedere insieme a Dio Padre. Ma poiché colui che siede è nostro simile essendo apparso come uomo, e contemporaneamente è riconosciuto Dio da Dio, perciò trasmette in qualche modo anche a noi la grazia della sua dignità>> (Cirillo d’Alessandria, dal Commento a Giovanni, 6,8)

Gerusalemme, all’interno della Cappella, secondo un’antica tradizione, è conservata la Pietra dell’Ascensione

Cirillo, il Dottore dell’Incarnazione e della Theothokos, morto il 27 giugno del 444 è venerato dalla Chiesa cattolica e da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi il 27 giugno.

Cirillo di Alessandria nel Martirologio romano è così ricordato: <<San Cirillo, vescovo e dottore della Chiesa, che, eletto alla sede di Alessandria d’Egitto, mosso da singolare sollecitudine per l’integrità della fede cattolica, sostenne nel Concilio di Efeso i dogmi dell’umiltà e unicità della persona di Cristo e della divina maternità della Vergine Maria>>.

La Chiesa ha sempre considerato Cirillo di Alessandria come uno dei suoi maggiori Dottori. Papa Leone XIII nel 1882 lo proclamò Doctor Incarnationis e Pio XII, in occasione del XV centenario della morte, ha reso omaggio alla sua memoria con l’enciclica Orientalis Ecclesiae del 20 maggio 1944.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post