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Fabbricateatro nacque nel novembre del 1992 soprattutto per impulso di Elena Fava e di un gruppo di “rifiutati” con il vizio della militanza teatrale: Cinzia Finocchiaro, Marco Marano, Bruno Torrisi, Giacinto Ferro, Giusi Gizzo, Fabio Grasso ed anche io; i fondatori eravamo soprattutto giovani usciti dalla scuola teatrale dello Stabile ma sostanzialmente in bilico nella vita, e con la sensazione incombente del “rifiuto” ad ogni progetto d’impiego da parte della stessa casa madre”. A parlare è il regista catanese Elio Gimbo che così racconta l’esperienza, la nascita, il cammino di “Fabbricateatro”.

“L’idea fu quellaspiega Gimbo – di aprirsi ad altre storie personali con provenienze diverse – attori, scenografi, musicisti, giornalisti – ma visioni comuni. Per necessità dovetti inventarmi regista e pedagogo”.

Uno spettacolo di "Fabbricateatro"

Uno spettacolo di “Fabbricateatro”

Parlaci dei primi passi di “Fabbricateatro”….

“Quando un giovane si sente insicuro tenta di appoggiarsi ad una autorità, cercai dei Maestri; la storia della città ne imponeva uno: Pippo Fava. Proprio attorno ai suoi testi, che sotto l’impulso di Marco Marano letteralmente divorai come un Vangelo maledetto dal Potere, nacque la prima Fabbricateatro; con i miei compagni cominciai a parlare anche di Stanislavskij, Mejerchol’d e, soprattutto, Grotowski; di tecniche e di biografie personali, di relazioni tra l’oppressione del Potere e la pratica teatrale. Capii che il teatro è una forma di attivismo ma in un senso più laterale della politica pura: politica sì con altri mezzi.

In una Catania confusa, ma con molte più certezze dell’attuale, attraverso spettacoli come “Sud”, liberammo piazze dal traffico, celebrammo Fava al carcere minorile di Bicocca, mettemmo insieme giovani delle scuole di recitazione con i pupi dei Fratelli Napoli, ritualizzammo la vita e l’antropologia dei pescatori sullo specchio d’acqua del porto di Acitrezza, e anche proponemmo drammaturgia contemporanea al Piscator e al Teatro Club; la stella polare era sempre il mescolamento delle forme e l’attaccamento alla realtà”.

Da quel 1992 ad oggi cosa è cambiato in Fabbricateatro?

“Tante onde hanno solcato il mare della città da allora; come l’equipaggio di un peschereccio Fabbricateatro ha visto cambiare negli anni i propri marinai, alcuni sono scesi mentre altri s’imbarcavano – sarebbero tante le storie da raccontare in proposito – però non è mai cambiata la rotta e il senso della navigazione. Il mio gruppo teatrale è la storia di un continua interpretazione delle mutazioni della società, perché è nella società che sta il pubblico del teatro, qualsiasi società muta le proprie direzioni e abitudini a secondo delle esigenze del pascolo, uomini e pesci.
Questa esperienza acquisita mi permette di raccontare oggi che il teatro di gruppo porta con sé una doppia necessità ed una doppia ossessione: da un lato come definire costantemente i propri valori, la propria identità rinnovando le forme e i campi dell’azione, dall’altro come non ridurre l’attività ad una routine commerciale e omologante, trasformare l’impegno in una costante occasione per imparare a imparare”.

In quali ambiti si è mossa negli anni Fabbricateatro?

“E’ innumerevole l’ambito dei campi in cui chi sta in un gruppo teatrale deve imparare a cimentarsi: quello performativo è primario con lo sviluppo di un training, ma amministrazione, comunicazione, gestione della leadership, divisione equa dei compiti non sono da meno. E’ come inventare e gestire un microcosmo indipendente dall’esterno lottando con la faccia scura di chi sta dentro e l’indifferenza di chi sta fuori, e al tempo stesso rifiutando la corrente forma di autorità. Questa esperienza mi ha reso pian piano indifferente al resto del sistema teatrale contemporaneo; non mi interessa distruggerlo, non dipende certo da me, mi basta non commettere gli stessi errori; ho imparato dal Primo Teatro quanto sia enorme la tentazione della ripetizione: ripercorrere quello che fanno tutti ti rende sicuro, perché in definitiva non è facile esporsi, è più facile rinunciare ad ogni sorpresa e scoperta sulla propria arte trincerandosi dietro al mito della professione”.

 

Ancora in scena

Ancora in scena

Il vostro gruppo e le Scuole di Teatro…

“Trovo pericoloso intraprendere oggi una scuola di teatro tradizionale se in quel luogo sarà impossibile nutrire visioni e acquisire tecniche che consentano di realizzare nuove relazioni attraverso il teatro. Le scuole attuali per essere utili al rinnovamento dovrebbero condurre i loro Saggi per strada o all’aperto, sui trampoli e con strumenti musicali, al porto quando arrivano le navi dei sopravvissuti alla mattanza del Mediterraneo come nel quartiere d’appartenenza. Bisognerebbe che queste scuole formassero dei ribelli anziché degli aspiranti salariati”.

Il futuro e la strada da percorrere per quelli di Fabbricateatro…

“Abbiamo davanti, noi del Secondo Teatro, un disordine sociale e politico consapevole e costante che per di più si propone come ordine e buon senso. Dobbiamo ripartire da modelli, certo; nel mio caso Eugenio Barba e l’Odin Teatret come la Marionettistica fratelli Napoli, in altri casi può essere perfino il Teatro Stabile; però l’importante è se alla fine della tua strada tu non incontri il modello, ma te stesso”.

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