Intervista con...

“Il teatro sopravviverà a tutti i cambiamenti e non morirà mai. Si evolverà e si modificherà, come è giusto che accada, ma resisterà come resistono tutte le discipline antiche con radici profonde. Non riconosco la denominazione di nuova drammaturgia perché il grande teatro è sempre nuovo. Euripide, Shakespeare, Molière attraversano i secoli, senza mai risultare datati o sorpassati. Bisogna spostare la questione alla ridefinizione dell’attore che deve ritrovare centralità nel mondo del teatro. I nuovi autori, così come i grandi vecchi facevano, si devono confrontare con gli attori che sono i veri poeti della scena. Dalla sinergia attore-autore nascerà, forse, la nuova drammaturgia che è scrittura di scena e non scrittura sul foglio”.

L’attore Carlo Ferreri

A parlare di teatro, autori e nuova drammaturgia è Carlo Ferreri, attore ragusano, regista, speaker trainer e insegnante di recitazione, che lavora professionalmente dal 1990 per teatro cinema e televisione. In circa trent’anni di carriera si è cimentato in ruoli comici e drammatici, lavorando accanto a registi ed attori di notevole spessore e recentemente lo abbiamo visto in tv nella serie di Rai 1 “La mafia uccide solo d’estate” ed a teatro, al “Piccolo” di Catania, con Aldo Toscano in “Totò e Vicè” di Franco Scaldati e al Monastero dei Benedettini, protagonista di “Bemporad. La Carta del cielo” accanto a Pamela Toscano.

Eclettico, solare, positivo, attento alle sfumature di ogni personaggio che interpreta, Carlo Ferreri ci ha raccontato il suo percorso artistico, ci ha parlato di se stesso, dei suoi inizi, dei maestri incontrati, della passione per il teatro e per il cinema, dei suoi progetti lavorativi.

“Nel 1989, quasi per caso – ma qualcuno sostiene che le cose non avvengano mai per caso – mi presento ad un provino – racconta Carlo Ferreri -per entrare a far parte di una scuola di teatro. Avevo 15 anni e il mio abbigliamento si conformava alla cultura che abbracciavo in quel periodo (dark punk, capelli lunghi, orecchino, pullover nero, pantaloni strappati ad arte, con un pizzico di necessaria presunzione e molto coraggio). Portai un brano scritto da me, una poesia in prosa e superai l’esame.

Ho iniziato a 15 anni  frequentando una scuola di teatro, CTS (Centro Teatro Studi) ed ho avuto la fortuna di incontrare da subito i giusti maestri, adeguati, preparati, stimolanti. Il richiamo vero del teatro, però, credo di averlo sentito durante uno spettacolo a cui assistetti nel 1990, con protagonista la grande Valentina Fortunato che interpretava madre concezione in “Conversazione in Sicilia” di Elio Vittorini. Quella sera ebbi una folgorazione, un incanto, non riuscivo a staccare gli occhi dalle mani di quell’attrice che con grande disinvoltura e forza emotiva conduceva gli spettatori dentro il suo mondo interiore e immaginifico, con un perfetto equilibrio tra voce-corpo-movimento. Uscito dal teatro provai delle sensazioni di ubriachezza senza avere quella sera bevuto un goccio di vino. Da li nacque la dipendenza!”.

Carlo Ferreri e Gianrico Tedeschi in “La rigenerazione”

I maestri che ti hanno formato ed i primi passi nel tuo percorso artistico…

“Riconosco due maestri che mi hanno formato nei primi anni di apprendistato: Gianni Salvo, anima del Piccolo Teatro di Catania che non ha bisogno di presentazioni e la Scuola internazionale di commedia dell’arte a Reggio Emilia, diretta da Antonio Fava, uno dei maestri di commedia  più importanti al mondo. Altri incontri importanti durante il percorso sono stati con Antonio Calenda, Armando Pugliese, Lamberto Puggelli e Gianrico Tedeschi su tutti, con il quale ho avuto il piacere di condividere la scena per due anni interpretando suo nipote ne “La rigenerazione” di Svevo per lo Stabile di Trieste. All’inizio di un percorso, ma non solo all’inizio, bisogna interrogare se stessi ed il mondo che ci circonda attraverso molteplici letture ed esperienze di vita. Il teatro è cambiato radicalmente e non è concepibile oggi un artista ignorante. Oggi bisogna essere colti e studiare continuamente per mantenere un buon livello. In quei primi anni di lavoro ho letto e studiato moltissimo confrontandomi con diverse discipline e tecniche che riguardano l’aspetto gestuale, fisico, recitativo, espressivo”.

Quale genere di teatro o di cinema prediligi e qual è il tuo modi di raccontare e comunicare a chi ti vede in scena?

“Il teatro ed il cinema devono comunicare e trasferire emozioni indipendentemente dal genere attraverso cui si esprimono. In questo senso amo tutti i film e gli spettacoli che esercitano su di me questa magia. Quando lavoro da semplice scritturato alle dipendenze di una produzione cerco di interpretare al meglio l’intenzione del regista in modo propositivo e non passivo proponendo sempre il mio punto di vista confrontandolo con tutti i componenti della compagnia. Chi mi vede in scena deve capire quello che dico ed essere affascinato da come lo dico. Se non accade quest’alchimia vuol dire che una delle parti in questione (attore, spettatore, regista, autore) ha sbagliato qualcosa”.

Ferreri in “Bemporad. La Carta del cielo” (Ph. Salvo Puccio)

Che sensazioni hai provato nell’interpretare, ancora una volta, a Catania il matematico e astronomo Azeglio Bemporad, nel lavoro scritto dalla collega Pamela Toscano?

“E’ stato bellissimo riprendere questo spettacolo per la terza volta ritrovando Pamela Toscano, valida attrice e autrice e tutto il gruppo di Officine Culturali, sempre attento a intercettare storie poco conosciute e importanti del nostro patrimonio artistico culturale. Di Bemporad sono rimasto colpito dalla inesauribile voglia di conoscenza umanistica e scientifica e dalla sofferenza di questo scienziato dovuta alla mortificazione subita dopo le leggi razziali. Nel finale abbiamo inserito una breve poesia di Montale straordinaria e in quel momento anche io convinto attore straniato cedo alla commozione.

“Spenta l’identità si può essere vivi nella neutralità della pigna svuotata dei pinoli e ignara che l’attende il forno. Attenderà forse giorno dopo giorno senza sapere di essere se stessa”.

Quali sono oggi le difficoltà, i limiti del teatro e dell’offerta lavorativa per chi vuole fare l’attore, per chi vuole produrre un nuovo spettacolo, a Catania ed in Sicilia?

“In Sicilia, come nel resto d’Italia, c’è un abbassamento della qualità e dell’offerta lavorativa. I teatri stabili che ho frequentato da attore per molti anni sono morti e sepolti e da un punto di vista organizzativo e artistico non sono riusciti ad adeguarsi alle nuove esigenze di una società profondamente cambiata. Negli ultimi anni di deambulazione questi teatri sono  diventati dei lavorifici per raccomandati dalla politica, mediocri, ambiziosi senza qualità e cortigiane di paese. Il pubblico se ne è accorto, ha capito il trucco ed ha abbandonato questi luoghi preferendo frequentare spazi alternativi, abbracciando la qualità e l’onestà intellettuale”.

Alessandro Di Robilant e Carlo Ferreri in “Mauro c’ha da fare”

Cosa diresti oggi ad un giovane che vuole fare l’attore?

“Oggi sconsiglierei ai giovani di fare l’attore perché i riferimenti sono televisivi ed il successo è effimero, passeggero e non privo di conseguenze negative. Quando ho cominciato io, nel 1989, la recitazione era un percorso “sacro”, come un’arte marziale ed occorrevano anni di studio e allenamento prima di calcare un palcoscenico, ma una volta arrivati a pestare quelle tavole eri meravigliosamente adeguato ad affrontare tutti gli ostacoli che un arte complessa come la nostra ti presenta”.

Le tue sensazioni in scena e le impressioni sul pubblico…

“In scena devi “fare” e non provare. In questo senso ci viene in aiuto Diderot nel “paradosso sull’attore” mettendo in guardia gli artisti da certa immedesimazione o partecipazione esagerata e Von Kleist nel suo saggio sul teatro delle marionette o ancora certe discipline orientali e soprattutto Mejerchol’d e la biomeccanica. La ripetizione e l’allenamento ci abituano ad una certa naturalezza che non ha niente a che vedere con il naturalismo o la vita reale. In scena spesso il massimo della finzione rivela la verità. È attraverso una  guerra tra la razionalità e l’irrazionale che ogni attore trova, se ci riesce, una sua identità ma per tentare questa strada non si possono fare sconti a se stessi. Lo spettatore o il cosiddetto pubblico varia sempre e tende alla passività e non vuole nulla dall’attore. Qualche volta accade questo miracoloso incontro tra la concentrazione di uno spettatore o di una massa di spettatori che sposano un evento, un gesto, un racconto e gli artisti in scena”.

Carlo Ferreri nel film “I cento passi”

L’essere siciliano ti ha aiutato, condizionato o ti ha dato una spinta per fare sempre meglio nel tuo lavoro?

“Essere siciliano mi ha aiutato perché le storie importanti non avvengono quasi mai nelle capitali o nelle metropoli ma in provincia dove ci sono le condizioni ideali per la concentrazione, per il riscatto, per quell’atavica condizione di svantaggio che ci stimola al miglioramento. In generale nelle grandi città del nord è sparito il senso dello stupore e dell’evento. Da noi ancora pratichiamo con sana ingenuità la meraviglia…per uno spettacolo in esclusiva…per un grande artista…per una mostra di un pittore mai ospitata prima in Sicilia….

Un altro vantaggio è la quantità di dialetti diversi tra loro che possiamo ascoltare: il palermitano, il ragusano, il catanese. Un patrimonio di suoni di una ricchezza straordinaria, una babele di culture di usanze di memorie. In questo senso andrebbe studiata tutta l’opera del Pitrè e proposta nelle scuole.

Amo naturalmente gli autori siciliani, su tutti Consolo, Pizzuto, Bonaviri, Bufalino…non rispondo a  domande su Camilleri perché risulterei scortese ed in generale prendo le distanze dall’appropriazione televisiva indebita dei nostri luoghi banalizzati e mortificati e dagli attori che recitano un “sicilianese” con sfumature romane”.

Con quale regista o attore ti piacerebbe lavorare e quale personaggio ti piacerebbe portare in scena?

“Sono molto contento del percorso che ho fatto con grandissimi registi e attori ai quali ho cercato di rubare qualcosa. In Italia oggi ritengo che Franco Maresco sia il più grande regista in circolazione, ma apprezzo molto anche Gianni Di Gregorio, Paolo Virzì, Matteo Garrone e pochi altri. All’estero l’elenco di registi validi è molto lungo e non basterebbe una pagina per citarli tutti. In teatro mi posso permettere di scegliere con chi lavorare e rifiuto diverse proposte. In cinema e tv accetto quasi tutte le proposte”.

Carlo Ferreri in tv ne “Il capo dei capi”

Un tuo giudizio sulla Catania sociale, culturale, teatrale…

“Catania è la città migliore tra tutte quelle in cui ho vissuto e lavorato in questi anni. Conserva una dimensione umana molto forte ed un fascino architettonico che non mi stanca mai. Amo il cibo, il dialetto e ultimamente sto apprezzando anche i piccoli paesi etnei. Culturalmente rimane una città viva, dove tra cinema, teatro, concerti, eventi  hai una grande varietà e possibilità di intrattenimento. Gli artisti catanesi ultimamente soffrono molto per la mancanza di lavoro e si incattiviscono non riuscendo sempre a rispettare se stessi e continuare ad evolversi e crescere. Negli ultimi anni sto collaborando con dei giovani virtuosi e impegnati che fanno parte dell’associazione Officine Culturali che si occupa della gestione e valorizzazione di splendidi siti come il Monastero dei Benedettini , il Castello Ursino e altre meraviglie etnee. Questi ragazzi mi danno ottimismo e la certezza che esiste una parte di Catanesi onesti, competenti, propositivi”.

Il “Verga” di Catania

Crisi e rinascita dello “Stabile” di Catania…

“Il Teatro Stabile di Catania è una grande ferita per come si è ridotto negli ultimi dieci anni e non starò ad elencare responsabilità e cause di questo crollo non solo di abbonati, ma soprattutto di qualità artistica ed organizzazione manageriale fondamentale nel teatro odierno. Questo teatro mi ha visto impegnato come attore per ben otto spettacoli con ruoli da protagonista e comprimario incontrando grandi artisti, scenografi, registi, tecnici e non posso che essere dispiaciuto per la deriva attuale. Le residue forze sane di questo monumento ai caduti dovrebbero prendere coscienza della fine di un epoca e cercare di rinascere con altre modalità lavorative, con nuovi linguaggi abbandonando per sempre il sistema perverso dei contributi e delle sponsorizzazioni politiche .

Una scena di “Vizio di famiglia”

Negli ultimi mesi ho osservato qualche piccolissimo segnale di ripresa, con alcuni spettacoli di qualità come “Vizio di famiglia “ con la regia di Saro Minardi, ma la guarigione dell’ente è ancora complessa. Non amo autocitarmi ma gli ultimi lavori teatrali cui ho partecipato, costruiti con questi nuovi presupposti, hanno trovato un grande riscontro di pubblico, riempiendo i teatri e un gradimento di critica. Dunque bisogna osare!”.

Hai alle spalle parecchia esperienza nel mondo teatrale, quale personaggio o spettacolo ricordi con particolare piacere in questi anni d’attività?

Ferreri ed Aldo Toscano in “Totò e Vicè”

“Trent’anni di lavoro e più di 70 spettacoli non si possono riassumere in poche righe, ma proverò a fare una selezione spietata. Ricordo con piacere Belluca ne “Il treno ha fischiato” di Pirandello, Il finto Hitler accanto a Pambieri nel “To be or not to be”,  Guido ne “La Rigenerazione” di Svevo e poi spettacoli importanti come “Romeo e Giulietta”, “Totò e Vicè”, “Opera Comique”, “Tingel Tangel”…autori poco frequentati come Kohout, Camus, Stratiev, Leopardi, Boal mi hanno formato e forgiato. Ricordo con piacere Bonaviri in sala al teatro Verga emozionato ad assistere al suo “Gesù e Giufà” in cui facevo il protagonista e la lettera di complimenti e ringraziamento che mi fece recapitare il grande autore di Mineo (quell’anno candidato al Nobel) che incorniciai e ancora capeggia sul muro della mia stanza”.

Carlo Ferreri nella vita di tutti i giorni. Cosa fai nel tempo libero, quali sono i tuoi hobbies?

“Mi piace molto lo sport, mi piace vedere sport ed anche praticarlo. Da poco ho riscoperto una mia vecchia passione, il tennistavolo volgarmente conosciuto come ping- pong e lo pratico in una società sportiva, il circolo Etneo, con grande impegno. Su questa disciplina meravigliosa occorrerebbe un intervista intera, quindi meglio non andare oltre. Ascolto molta musica che per me è importante, quasi come l’ossigeno e quando posso leggo libri rigorosamente cartacei”.

In tv con “Paolo Borsellino”

In cosa sei impegnato attualmente e quali sono i tuoi progetti?

“Adesso sto lavorando con Pippo Pattavina nello spettacolo “L’eredità dello zio canonico” ed a Marzo riprendo uno spettacolo con Mita Medici, “Matrimoni e altri effetti collaterali” con la regia di Manuel Giliberti che l’anno prossimo sarà in tournèe nazionale. Ho poi diversi progetti di teatro, cinema e tv che sono in fase di gestazione”.

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