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Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, la Polizia di Stato ha arrestato Angelo Fabio Matà (cl.1974), in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa in data 20.5.2017 dal G.I.P. del Tribunale di Catania, in quanto ritenuto responsabile di omicidio commesso ai danni della madre Maria Concetta Velardi (cl.1955), con l’aggravante di aver commesso il fatto contro l’ascendente. Alle ore 16.20 circa del 7 gennaio 2014, personale dell’U.P.G.S.P. della Questura di Catania interveniva al cimitero, a seguito della richiesta di intervento formulata da  Angelo Fabio Matà il quale aveva riferito di avere rinvenuto il cadavere insanguinato della madre.

Giunto sul posto, personale dell’U.P.G.S.P. e della Squadra Mobile constatava la presenza del cadavere di Maria Concetta Velardi giacere a terra su alcune macchie di sangue, in un corridoio tra due cappelle, a pochi metri di distanza dalla cappella della famiglia Matà. In sede di sopralluogo, eseguito in presenza del P.M. di turno nella Procura Distrettuale della Repubblica di Catania che si era recato sul posto per coordinare le indagini, personale del locale Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica rinveniva, tra la cappella della famiglia Matà ed il cadavere della donna, un sasso intriso di sostanza ematica, compatibile per forma e dimensioni con una prima aggressione che la vittima avrebbe subito, mediante uno o più colpi alla nuca e che ne avrebbe provocato la caduta a terra.

Accanto al cadavere venivano rinvenuti – come se fossero stati deposti e abbandonati dopo la selvaggia aggressione,  –  due pesanti sassi di grandi dimensioni, intrisi su un lato di sostanza ematica.  Sulle pareti del corridoio veniva riscontrata la presenza di tracce ematiche compatibili per forma ed ubicazione con l’ipotesi che nel punto in cui era ubicato il cadavere vi fosse stata una seconda violentissima aggressione consistita in una serie di colpi inferti al capo ed altre parti del corpo della vittima, che si trovava già stesa per terra, mediante i due pesanti sassi rinvenuti accanto.

Sul viale antistante dove era ubicata la cappella Matà, era posteggiata l’autovettura appartenente a Angelo Fabio Matà con la parte anteriore rivolta in direzione di via Acquicella. Su di essa, precisamente vicino alla maniglia di aperura dalla portiera posteriore destra, veniva rinvenuta una goccia di piccole dimensioni di sostanza ematica.

Da una prima ricostruzione effettuata dagli investigatori, la vittima appariva essere stata trascinata nel corridoio, essendo stata constatata dal medico legale la presenza di abrasioni nella parte inferiore della schiena; la maglia indossata dalla vittima, strappata in corrispondenza del punto in cui vi erano le abrasioni, lasciava ipotizzare che la donna fosse stata trascinata dall’aggressore per ripararsi da sguardi indiscreti, mentre infliggeva i colpi di grazia.

Ciò che emergeva in maniera incontrovertibile era che l’autore del turpe delitto doveva essere dotato di notevole forza fisica. Sulla base di tali iniziali risultanze, veniva avviata una complessa ed articolata indagine, anche di tipo tecnico, coordinata dalla Procura della Repubblica di Catania, che si avvaleva del contributo di personale dei Gabinetti Regionali di Polizia Scientifica di Catania e di Palermo (specie per ciò che concerne la ricerca e la catalogazione di tracce di sostanza biologica) che consentivano di acquisire univoci e concordanti indizi di colpevolezza nei confronti di  Angelo Fabio Matà evidenziando, quale movente del delitto, il rapporto conflittuale esistente tra quest’ultimo e la madre.

Le circostanziate dichiarazioni rese da Angelo Fabio Matà in ripetute occasioni, a partire dal 7 gennaio 2014, giorno del ritrovamento del cadavere della signora Velardi, erano oggetto di un’accurata verifica da parte degli investigatori della Sezione “Reati contro la Persona” della Squadra Mobile che riuscivano ad individuare progressivamente numerose persone presenti al cimitero di Catania  il giorno dell’omicidio.

Dall’escussione testimoniale di tre diverse persone che si trovavano in altrettanti distinti luoghi del cimitero, non lontani dalla cappella Mata’, emergeva che costoro avevano avuto modo di udire le urla della donna nel corso dell’accesa discussione con il figlio.

Il combinato delle dichiarazioni con i dati offerti dal medico legale consentivano di affermare che l’aggressione alla Velardi, a seguito della quale costei decedeva (dopo circa trenta-quaranta minuti di agonia) andava collocata tra le ore 15.30 e le ore 15.45 circa del 7 gennaio 2017.

Perpetrata l’aggressione, Matà si precostituiva un alibi, cercando di simulare che l’aggressione alla madre fosse avvenuta durante la sua assenza dal cimitero ed effettuando con la propria autovettura un giro che creasse un lasso di tempo sufficiente a tale scopo. Invero, l’analisi dei tabulati non disgiunte dalle dichiarazioni rese dalle persone presenti al cimitero, consentiva di affermare che la Velardi era stata aggredita in un lasso di tempo nel quale il figlio si trovava all’interno del cimitero.

Al ritorno al cimitero (documentato dai ponti di aggancio del telefono cellulare), Matà metteva in piedi la messinscena del disperato rinvenimento con le mani piene di sangue, in modo da giustificare ogni eventuale traccia ematica della madre si di sé come frutto di contaminazione derivante dal rinvenimento e dalla manovre effettuate.

Gli esiti degli accurati esami svolti dalla Polizia Scientifica consentivano di affermare che, mentre subiva l’aggressione, la Velardi graffiava con la mano destra il figlio, fatto dimostrato sia dalla presenza di materiale genetico riconducibile al Mata’ sotto due unghie della mano destra della vittima, sia dalla presenza di sostanza ematica dell’indagato (anche mista a sangue della madre) sugli abiti e sullo sportello dell’autovettura del Mata’.

In ordine al movente del delitto, veniva accertato che Mata’, a seguito di un’accesa lite con la madre, aveva avuto una violentissima reazione, frutto del rancore a lungo covato nei confronti del genitore, ritenuta ostacolo alla realizzazione di progetti di vita personale.  Espletate le formalità di rito, Matà è stato associato nella casa circondariale di piazza Lanza a disposizione dell’Autorità giudiziaria.

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