Cultura

Cecilio Cipriano, chiamato anche Tascio, nacque in Africa, probabilmente intorno al 210. I genitori pagani gli procurarono un’accurata formazione letteraria; insegnò retorica e si lasciò contaminare dai vizi del paganesimo. Aiutato dal presbitero cartaginese Ceciliano, si convertì al cristianesimo, incominciando già da catecumeno una nuova vita, nella pratica della continenza e della carità, tanto da distribuire i suoi beni ai poveri. Poco dopo il battesimo, avvenuto verso il 245, fu ordinato presbitero e poco dopo, nel 248 o 249, vescovo di Cartagine per acclamazione popolare. Scoppiata la persecuzione di Decio e Valeriano, Cipriano ritenne suo dovere nascondersi per non privare la sua Chiesa di una guida più che mai necessaria; dal suo ritiro non lontano da Cartagine, Cipriano la governò dal principio del 250 alla primavera del 251, mantenendo un intenso rapporto epistolare. All’interno doveva sostenere la controversia sui lapsi, cioè la riammissione nel seno della comunità di quei cristiani che, durante la persecuzione, avevano ceduto, sacrificando agli idoli o procurandosi un certificato di sacrificio.

A Cartagine si formò una fazione lassista, capeggiata dal presbitero Novato e dal ricchissimo laico Felicissimo, propensi ad una indiscriminata riammissione dei lapsi. Dal suo rifugio Cipriano, in attesa delle decisioni di un concilio che si doveva radunare a Cartagine, diede alcune disposizioni intese a rafforzare l’autorità del vescovo, al quale avocò ogni decisione in merito alla riammissione dei lapsi, classificando poi questi in due categorie: sacrificati e thurificati da una parte, che dovevano essere ammessi soltanto in punto di morte, e i libellatici dall’altra, che potevano essere ammessi dopo un periodo di prova. Il concilio di Cartagine del 251 confermò queste disposizioni, che ebbero pure l’appoggio di papa Cornelio (180 ca – 253). Cipriano, tornato a Cartagine, si adoperò per riportare la pace nella comunità, alleviare le sofferenze della peste abbattutasi sull’Africa e a combattere il partito dello scismatico Novanziano, avversario di Cornelio, che fu eletto papa a 14 mesi dal martirio di papa Fabiano. Cornelio ora si trova di fronte a uno scisma provocato dal dotto e dinamico prete Novaziano, che ha retto la Chiesa romana in tempo di sede vacante. Novaziano accusa di debolezza Cornelio, che è sulla linea di Cipriano, e dà vita a una comunità dissidente che durerà fino al V secolo. Papa Cornelio muore in esilio nel 253 a Centumcellae (antico nome di Civitavecchia), e viene definito “martire” da Cipriano, che appoggia il suo successore Lucio I contro lo scisma di Novaziano. Lucio muore dopo un anno (254).  Verso il 254 si riaccese la controversia sulla validità del battesimo amministrato dagli eretici. Come già Tertulliano (160-220), Firmiliano di Cesarea (230-268) e altri, Cipriano appoggiato dai vescovi dell’Africa e da alcuni dell’Asia Minore, riteneva che tale battesimo non fosse valido e fece approvare questa tesi in tre sinodi a Cartagine tra il 255 e il 256, prendendo posizione anche contro papa Stefano (254-257), che affermava, con gli altri che il battesimo celebrato dagli eretici non andava rinnovato. Le relazione si erano guastate a tal punto che uno scisma pareva imminente, ma i buoni uffici di Dionigi d’Alessandia (90 – 265) presso papa Stefano e soprattutto lo scoppio della persecuzione di Valeriano scongiurarono questo pericolo. Papa Stefano morì il 30 agosto del 257. Cipriano allora veniva tradotto davanti al proconsole Paterno e, avendo confessato la sua fede, fu esiliato a Curubis dove apprende che il nuovo papa Sisto II è morto martire a Roma, con il diacono Lorenzo. All’ordine del nuovo proconsole, Galerio Massimo, di costituirsi a ad Utica, residenza del magistrato, Cipriano si rifiuta e si nasconde, perché vuol morire in mezzo al suo popolo: ritornò a Cartagine quando vi rientrò il proconsole, dal quale il 13 settembre 258 fu condannato a morte; il giorno dopo, davanti ad una folla di cristiani, venne decapitato.

 

Cipriano e Cornelio.
Ricostruzione di un affresco dalle Catacombe di Callisto a Roma. Inizi del III secolo d.C.

Nella vasta e molteplice opera dottrinale e pastorale di Cipriano, due elementi di particolare rilievo appaiono diffusamente presenti e sviluppati con singolare vigore: la lotta contro gli scismi, che Cipriano conduce con passione, sostenendo con forza l’unità della Chiesa (De Ecclesiae catholicae unitate), e la prova e la gloria del martirio. Cipriano visse tutto il dramma delle persecuzioni, e seppe prepararsi e preparare alla testimonianza suprema del martirio (Epistola ad Fortunatum de exhortatione martyrii).

Per l’uno e l’altro tema il punto di riferimento fondamentale del pensiero e del discorso di Cipriano, è l’Eucaristia che è, nella sua forma sacramentale, grazia e impegno dell’unità della Chiesa: <<Che l’unanimità dei cristiani debba essere salda e strettamente congiunta in carità inseparabile, lo mostra anche il sacrificio del Signore. Poiché, quando il Signore chiama suo corpo il pane, fatto dalla fusione di molti grani raccolti, con ciò indica il nostro popolo raccolto, che egli portava in sé; e quando chiama suo sangue il vino, spremuto da molti grappoli e acini e reso una cosa sola, di nuovo vuole significare il nostro gregge, congiunto nella fusione di una moltitudine raccolta>> (Ep. 69,5).

Oltre al pane e al vino, l’unità della Chiesa  è prefigurata dal massimo <<tipo profetico>> dell’eucaristia: l’agnello pasquale: <<Che la Chiesa non è ‘fuori’, e che non si può scindere e dividere in parti contrapposte, ma deve conservare l’unità di una casa inseparabile e indivisibile, lo mostra la fede della divina Scrittura, poiché del sacramento della pasqua e dell’agnello – quell’agnello che era la figura di Cristo – sta scritto: In una sola casa si mangerà:  e non ne porterai  la carne fuori di casa (Es 12,46)>> (Ep. 69,5).

Dal momento che non si può partecipare dell’Eucaristia  se non nell’unità e nella comunione della Chiesa, l’Eucaristia – bene supremo offerto al popolo dei credenti – è per Cipriano il supremo motivo per restare nell’unità della Chiesa, senza separarsene né per scelta scismatica né per una vita di peccato:<<Poiché il Signore dice che vive in eterno chi mangia del suo pane (Cfr. Gv 6,51.58), è chiaro che hanno la vita quanti si nutrono del suo corpo partecipando all’Eucaristia nella comunione della Chiesa. Bisogna dunque molto temere, e molto pregare, di non essere privati della salvezza astenendosi e separandosi dal Corpo di Cristo; è Gesù stesso, infatti ad ammonire: Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita (Gv 6,53). Proprio per questo, nel ‘Padre nostro’ noi chiediamo che ogni giorno ci sia dato il nostro pane (Cfr. Mt 6,11), che è il Cristo: chiediamo cioè che non accada, a noi che vogliamo rimanere a vivere in lui, di allontanarci dalla celebrazione dei suoi misteri (dalla sua santificazione) e dal suo corpo>> (De dominica oratione, 18). Quest’ultimo insegnamento ha avuto molto rilievo nella tradizione cristiana, anche grazie ad Agostino d’Ippona, che l’ha più volte ripreso nei Discorsi 58,4, 59,3 e nel De dono perseverantie, 4.

Il martirio – puro dono di Dio, che solo non può renderne capaci dando ai suoi fedeli la forza di confessarlo a costo della vita – è reso possibile unicamente dall’Eucaristia , che infonde energie divine in fragili creature; per Cipriano è particolarmente alla comunione al sangue di Cristo – cioè al calice – che sgorga la forza di versare il proprio sangue: <<Non abbandoniamo inermi e indifesi sul campo coloro che con incitamenti esortiamo al combattimento, ma muniamoli della protezione del sangue e del corpo di Cristo; e dal momento che l’Eucaristia si celebra per questo appunto, perché sia difesa a chi la riceve, se a loro,  che stanno a combattere, neghiamo il sangue di Cristo?O come potremo renderli capaci di bere la coppa del Signore… Non può essere capace del martirio colui che dalla Chiesa non è armato al combattimento, e viene meno un animo che non sia sorretto e acceso dall’Eucaristia ricevuta>> (Ep. 57.2.4). Per la sua opera pastorale e letteraria, Cipriano e una delle più grandi e complesse figure della storia della Chiesa antica e senza dubbio il più grande teologo dell’Occidente prima di Agostino (+430), Girolamo (+420) e Gregorio Magno (+604).

Sebastiano Mangano

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