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L’olandese Dylan Groenewegen sul traguardo degli Champs Elysees

Calato il sipario sulla 104^ edizione del Tour. Sugli Champs Elysées vittoria a Groenevegen, velocista olandese in crescita, che batte un lotto di velocisti assai decimato. Sul traguardo secondo è Greipel, terzo Boasson Hagen. L’olandese partito lungo vince abbastanza bene resistendo alla rimonta del Gorilla che ci ha pensato tardi a cercare di non interrompere il suo filotto di successi in edizioni consecutive iniziato nel lontano 2011. La sua rimonta bellissima resta un’incompiuta come del resto tutto il suo Tour.
In quanto a filotti, ovviamente, tiene banco quello di Froome, al terzo successo finale consecutivo, quarto in totale contando l’edizione del 2013.

Froome ha iniziato la costruzione del successo mettendo il primo mattone nella crono iniziale di Dusseldorf, dominata dal connazionale Thomas, l’ha ultimata collocando l’ultimo ieri nella crono di Marsiglia. In mezzo un controllo totale della corsa con pochissime sbavature. I francesi avevano confezionato un prodotto che, per quanto possibile, calzasse a pennello al loro uomo di più sicuro affidamento, Bardet. Pochi chilometri contro il tempo, con l’ultima crono al penultimo giorno a forze livellate, poi i due tapponi più ostici che prevedevano l’arrivo a Chambery ed a Serre Chevalier al termine di lunghe discese dove si pensava che il francese potesse mettere in atto le sue indubbie capacità, infine pochi arrivi in salita e mai alla fine di tappe impossibili. Insomma tutto per mettere quanto più a suo agio il beniamino di casa. L’avevano capito tutti, anche il suo nemico numero uno, Pinot che già molto tempo prima aveva fatto la sua scelta blasfema sacrificando la classifica del Tour a favore di quella del Giro. Tutto perfetto. Solo un dettaglio si è messo di traverso nella linearità del piano transalpino. Un dettaglio di nome Froome. Se sei il migliore a cronometro, se sei fra i migliori in salita, se disponi del team nettamente più forte qualsiasi tracciato ti va bene.

Quinto posto finale per il campione d’Italia, Fabio Aru

Nelle diciotto tappe fra le due crono la Sky, malgrado l’abbandono di Thomas, con una spina dorsale fortissima formata da Kiryenka, Kwiatkowski, Landa e Froome, ha sempre avuto il polso della situazione. Imponendo la sua legge e rischiando poco e nulla. Froome, dal canto suo, è stato sempre puntuale ed a Marsiglia ha definitivamente finalizzato l’immane mole di lavoro di squadra. Tutto come prestabilito in casa Sky.

Se gli ideatori del Tour non sono riusciti in quanto speravano, quanto meno hanno ottenuto che la corsa fosse equilibrata sino a ventiquattro ore dal termine. Equilibrio non significa spettacolo ma serve a mantenere vivo l’interesse, quindi obiettivo conseguito.
Gli avversari in questa sorta di esercizio matematico hanno spesso recitato un ruolo marginale. Persi subito per strada Valverde e Porte, due che avrebbero potuto dire la loro, l’attenzione si è concentrata su Uran, Bardet e Aru. Il primo ha puntato il podio come suo massimo obiettivo neanche sognando manco per un solo istante di andare un po’ più in là. Risultato centrato, impreziosito da una bella tappa, ma spettacolo zero. Bardet era l’unico uomo di classifica oltre Froome, a disporre di una squadra degna di questo nome. Ha corso bene, ma mai benissimo ed il superlativo era quello che gli serviva per battere Froome. Gli AG2R si son mossi poco e sempre accanto a lui, quasi a coccolarlo. La Sky una volta si è forse infastidita, poi nulla più. Il podio, salvato miracolosamente, ed una bella tappa sono un risultato positivo, ma la distanza dall’inglese appare ancora tanta. Sotto sotto chi ha spaventato più di tutti è stato Aru. L’unica volta nella quale Froome ha dovuto rendere onore ad un avversario più forte, e non per una sua parziale defaillance, è stato a La Planche des Belles Filles. La vittoria di Aru , ottenuta in modo perentorio, è stata la cosa più interessante vista al Tour ed il punto più alto della condizione del sardo nella corsa francese raggiunto forse troppo presto. Dall’indomani, una serie di vicende non proprio favorevoli, dalla perdita di pezzi importanti in casa Astana, all’insufficienza palese del team, alla bronchite finale passando probabilmente anche per una condizione calante, hanno determinato il piazzamento finale. Detto questo, il quinto posto resta un ottimo risultato e le prospettive future del sardo, in ragione di quanto a dimostrato di saper fare, sono assai interessanti. In quanto al fortissimo Landa, è stato meglio non averlo come avversario.

Buon piazzamento per il siciliano Damiano Caruso

Altri avversari veri non se ne son visti. Quintana è stata la più grossa delusione, Contador subito fuori dai giochi, ha tenuto botta sostenuto da una classe immensa. Martin, gran combattente e poco altro. Yates e Mentijes hanno corso per il piazzamento mettendo poco e niente il naso fuori dalla fila. Barguil, due centri e decimo assoluto, è stata la più bella sorpresa del Tour. In futuro è atteso a recite nella veste di primo attore assoluto. Un cenno dovuto al primo fuori dalla top ten, Damiano Caruso. Partito con il ruolo di luogotenente, il ragusano diventato capitano a metà Tour ha dovuto rivedere i suoi piani. Vicenda facile a dirsi un po’ meno da affrontare. Sorretto da una buona condizione, il siciliano scegliendo la via impervia delle fughe a lunga gittata e rischiando di saltare per aria, è risalito sino all’undicesima posizione finale. Per lui comunque un buon Tour.
Degli altri protagonisti Kittel, cinque vittorie, ha dominato le volate che presto hanno perso Cavendish, Sagan e Demare e che non hanno mai visto al top Greipel e Kristoff. Il tedesco ha poi evidenziato le solite imperdonabili debolezze in alta quota. Un ritiro a seguito di caduta gli ha evitato l’onta di perdere una maglia verde in pratica già vinta. Maglia andata ad un Matthews a tutto campo, capace anche di due successi parziali, che ha recitato la parte di Sagan, quest’ultimo fin troppo presto liquidato da una giuria che con lui ha usato una fiscalità risparmiata ad altri.

Un breve cenno anche agli altri vincitori di tappa e a chi mi ha lasciato con un punto di domanda.
Di forza i successi di Calmejane, Roglic, Mollema e Boasson Hagen, piratesca la vittoria di Demare, surreale quella di Sagan, di giustezza Thomas e Bodnar, per stanchezza Groenevegen a Parigi.

Chiudo con un riflessione personale: ma che forza hanno Vermote, De Gendt, Kiryenka e Kwiatkowski?

Turi Barbagallo (Il salotto del Ciclismo)

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