Catania News

La notizia riportata nell’articolo pubblicato venerdì 1 settembre sul quotidiano “La Sicilia” a pag. 26 dal titolo “Al posto di tre ospedali campus universitario, verde ma anche nuove abitazioni/ In Consiglio comunale lo studio sulla destinazione delle aree del Vittorio Emanuele, del Santo Bambino e del Santa Marta”, preoccupa perché non fa alcun riferimento alla sorte delle relative storiche chiese ospedaliere dell’Antico Corso -San Marco e Santo Bambino su via Plebiscito e Santa Marta su via Montevergine- due delle quali aperte quotidiane al culto pubblico, ad eccezione dell’elegante chiesa del Santo Bambino chiusa al culto da molti anni, abbandonata al degrado e agli atti vandalici, transennata,  inaccessibile e bisognevole di radicali lavori di recupero e di restauro conservativo.

   In attesa di conoscere se le due artistiche chiese ancora aperte rimarranno integre ed agibili per il culto, forti dubbi si addensano sulla sorte di quella intitolata al Santo Bambino anche dal punto di vista sociale, culturale ed architettonico tanto legata alla storia della filantropia e della carità cristiana della nostra città. Risale al 1782 l’Opera Pia laicale del Santo Bambino, voluta dal giovane canonico della Collegiata, Francesco Giuffrida Nicotra, con l’apporto dei canonici Giuseppe Florio, cofondatore e benefattore, e Pietro Paolo Mazza, del sacerdote Vincenzo Scammacca Paternò Castello della Bruca e di altri benefattori per accogliere “le donne catanesi ed estere furtivamente incinte ed i loro parti”.

  La fondazione di tale <Asilo di Maternità>, la cui costruzione risale al 1776, si ispirava direttamente ai modelli di due grandi santi “sociali” Francesco di Sales e Vincenzo de’ Paoli sulla protezione del nascituro, tendenti a prevenire l’aborto e l’infanticidio e ad assicurare, nel contesto della problematica allora emergente nel Meridione d’Italia sulla prostituzione e sulla riforma dei costumi, ai figli delle <pericolate> la salvezza spirituale mediante il sacramento del Battesimo.

   Secondo le “Istruzioni” predisposte dal civico Senato con approvazione regia (real dispaccio) del 1785 nel Reclusorio del Santo Bambino -come ricorda Mario Alberghina in “Catania degli ospedali” (“Medici e Medicina a Catania dal Quattrocento ai primi del Novecento”, Giuseppe Maimone editore, Catania, 2001)- venivano ospitate donne di ogni ceto sociale non legate in matrimonio, né vedove né maritate povere o carcerate od imputate di delitti, che intendevano portare a termine una gravidanza.

  Il Conservatorio, intitolato al Santo Bambino Gesù, aveva il preciso compito di “ricoverare le donne nubili (giovani o provette) che per miseria o colpevole errore, trovansi a divenire madri, ed hanno necessità di essere accolte, e di aiutare, secondo le possibilità di bilancio, coloro che dopo il parto volessero temporaneamente rimanere nell’istituto per non abbandonare la propria creatura e allontanarsi dalle successive seduzioni, siano esse nubili o coniugate ma prive di ogni sostegno materiale e morale”.

   “I nati, dopo il battesimo, erano avviati alla casa dei Proietti poco distante. Le puerpere potevano soggiornare nel reclusorio soltanto per altri 8 giorni dopo il parto…Nella Casa esistevano due appartamenti separati e senza comunicazione tra loro, uno per le donne <civili> o di rango sociale elevato, che avrebbero potuto pagare una elemosina per il loro mantenimento, e l’altro per la bassa gente”.

   Il Reclusorio donava ospitalità ed assistenza alle <ragazze madri>, rifugio per le partorienti e le puerpere. Le ricoverate, circa 20, potevano rimanere nel più assoluto anonimato dal 7° mese di gravidanza fino ad 8 giorni dopo il parto, congedandosi o ricoverandosi nell’attiguo conservatorio delle “repentite”.

   Con l’aggregazione dell’eredità del barone Francesco Paternò Castello di Bicocca, il Conservatorio incorporò la Pia Opera delle Ree pentire, “cioè l’istituzione assistenziale per quelle donne che, dopo il parto, intendevano rimanervi a servizio”. Il Reclusorio venne aggregato all’Ospedale Vittorio Emanuele II a seguito della legge del 17.07.1890, conservando un’amministrazione separata.

   La chiesa del Reclusorio fu fondata nel 1776 col prospetto rivolto a nord-est. Alla fine dell’Ottocento Giuseppe Rasà Napoli così descrive la chiesa: “ad unica navata, si vede a destra un bel tavolino di marmo intarsiato, con due puttini dorati in vicinanza, e più in là ancora un battistero per i neonati dati alla luce dalle gestanti illegittime accolte dentro il Conservatorio cui la chiesa appartiene. Gli altari laterali sono due, ognuno dei quali ospita due grandi tele del pittore Antonio Zacco, rappresentanti la Natività del Santo Bambino ed il Buon Pastore. Sulle pareti della chiesa si osservano 8 grandi e pregevolissimi altorilievi in gesso datati 1812 raffiguranti episodi biblici ( Il giudizio di Salomone; Il profeta Eliseo consegna alla Sunamitide il figlio risuscitato; Gesù benedicente i bambini; L’apparizione dell’angelo a Giuseppe per la fuga in Egitto; L’adorazione dei Magi; l’istituzione del Battesimo; Mosè salvato dalle acque del Nilo; Agar ed Ismaele nel deserto) di Giuseppe Gianforma quello stesso che eseguì i rilievi esistenti nello scalone dell’ex monastero dei Benedettini di questa città.”

  Alcune iscrizioni in latino su lapidi chiariscono le finalità del luogo di culto: “Refugium puerperis”, “Tegmen partituris”, “Deo Infanti catinensium pietas”. Le Quarantore venivano celebrate dall’11 al 13 maggio. Dal 21 al 23 luglio si celebrava la festa di Santa Maria Maddalena Penitente.

 Antonino Blandini

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