Cultura

All’Istituto “Maria Ausiliatrice” al Borgo, sede dell’Ispettoria Sicula “Madre Maddalena Morano”, si è tenuta l’inaugurazione dell’anno sociale delle Associazioni-Unioni Ex Allieve/i salesiane della Sicilia Orientale, con un’assemblea degli iscritti promossa dalla Federazione Ispettoriale ex allieve guidata dalla presidente Maria Donato e dalla delegata suor Carmelina Coniglione, le quali hanno introdotto i lavori e chiamato al tavolo della presidenza suor Maria Trigila, direttrice della “Casa Don Bosco” di Barriera nonché giornalista professionista per meriti eccezionali e studiosa della comunicazione e del carisma di San Giovanni Bosco e Santa Maria Domenica Mazzarello. Suor Trigila ha tenuto un’autentica <lectio magistralis> su “L’ex allieva oggi per una presenza inclusiva nel territorio e nella comunità educante” e ha spiegato il significato della parola <inclusione> alla maniera di Papa Francesco come “espressione della misericordia” che si manifesta “nello spalancare le braccia per accogliere senza escludere, senza classificare in base alle condizioni sociali, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione. Davanti a noi c’è solo una persona da amare come la ama Dio». Se si accetta questa definizione propria del V Convegno Ecclesiale Nazionale -ha precisato suor Trigila- il verbo “annunciare”, significa avere la coscienza di appartenere ad una Chiesa di inclusione dove la famiglia diventa il primo ambito dell’accoglienza e dell’accompagnamento del vissuto delle persone. Papa Francesco ricorda che «Dio nel suo disegno d’amore […] vuole includere tutti. Ad esempio, mediante il Battesimo, ci fa suoi figli in Cristo, membra del suo corpo che è la Chiesa. E noi cristiani siamo invitati a usare lo stesso criterio: la misericordia è quel modo di agire con cui cerchiamo di includere nella nostra vita gli altri, evitando di chiuderci nelle nostre sicurezze egoistiche».

suor Maria Trigila

 “Per generare e gestire con efficacia un cambio di mentalità incisivo sui comportamenti – ha continuato- occorre partire dalla cima di una piramide ipotetica al cui vertice vi è la mission dell’Associazione e via via scendendo, l’identità, i suoi valori guida, fino ad arrivare a tutte quelle azioni che sono il motore e il fine ultimo dell’Associazione”. Vivere l’inclusione come espressione di misericordia è condividere accanto alle scelte operative anche le ragioni di fondo che le motivano. Si tratta di “annunciare” un look ed un menù andando quotidianamente alle ragioni di una scelta>. La conversazione è stata articolata attorno a tre immagini. Le prime due, la tavola simbolo di accoglienza/convivialità ed i vasi comunicanti simbolo di una Chiesa di famiglie, aiutano a determinare un look e la terza, l’albero El Ombù simbolo di inclusione, un menù.

La tavola simbolo di accoglienza/convivialità

 L’icona del simbolo della convivialità, dice Papa Francesco, è la famiglia riunita intorno alla mensa domestica. “Abbiamo sempre inteso la Tavola come un luogo in cui si sa condividere – ha proseguito- e la convivialità ne è il termometro per misurare la salute delle relazioni. Per esempio, in famiglia se c’è qualcosa che non va, o qualche ferita nascosta, a tavola si capisce subito. Così come una famiglia che per scelta non mangia quasi mai insieme, o i cui membri si mostrano indifferenti, è “poco famiglia”. E’ proprio dallo stare insieme a Tavola che possono emergere alcuni elementi, come la saggezza, la sobrietà, la discrezione e l’umiltà tali da aiutarci a tessere il look dell’Inclusione “come espressione della misericordia” e propedeutica all’”Annunciare” Gesù. Il termine sapiens viene da sapere, ossia gustare, avere sapore. Chi gusta le cose così come sono, chi le sa percepire con i propri sensi, costui diventa sapiente.

“La sobrietà -ha aggiunto la relatrice- è importante per il suo significato antropologico. Nella sobrietà si manifesta tutta la “premura per l’altro” perché si parte da un “io” consapevolmente sobrio, un “io” che si impegna a “condividere” e a rispettare il “limite”. Sobrio è chi vive in modo in-nocente, cioè entro i limiti. Per questo la sobrietà è uno stile di vita “sostenibile”. Lo stile di vita improntato alla sobrietà restituisce all’uomo «quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create». La discrezione è fatta di intelligenza, di capacità di cogliere gli aspetti peculiari dei fatti e di seguire lo sviluppo degli avvenimenti e il modificarsi delle situazioni. La discrezione consiste nell’avere un «buono e perspicace occhio». Infine l’umiltà che deriva dal latino humus: l’umiltà è il coraggio di calarsi nella propria umanità, nella propria ombra. L’umiltà è “un’esigenza costituzionale per un vero cristiano”.

Saggezza, sobrietà, discrezione ed umiltà sono tra gli elementi che tessono il look di coloro che in una Chiesa di inclusione, interpretando i segni dei tempi, annunciano Cristo. E possono essere queste le condizioni di base per attivare processi di pedagogia sociale e di agire in maniera trasversale con le agenzie formative quali la famiglia, la scuola, l’associazionismo, le istituzioni locali, il villaggio globale dei media, così come si fa intorno alla Tavola quando si vuole comunicare in maniera affettuosa ed efficace. Questi costituiscono un ampio sistema formativo, una rete di interventi sulla formazione della persona. In tale situazione policentrica l’associazione delle Exallieve può contrapporre un “sistema formativo integrato”, attraverso un “patto” in cui le diverse agenzie dotate di un ruolo riconosciuto di educazione, in modo particolare la famiglia e la scuola, agiscono in modo diversificato ma coerente alla propria mission per il raggiungimento di fini comuni. Questa è una delle ragioni che determina l’importanza della presenza dell’Associazione delle Exallieve, per esempio, all’interno di una comunità educante.

In tal modo “Annunciare” la Buona Novella per l’Exallieva ha come metafora quella di un ideogramma cinese che dice apparentemente due cose opposte: da una parte descrive il concetto di crisi e dall’altra quello di opportunità. Due situazioni in cui l’uno è il preludio dell’altro. Dietro a ogni cambiamento profondo si nasconde sempre un momento di crisi che diventa spesso il trampolino di lancio verso nuove opportunità. Per l’Exallieva essere umile significa mantenere vivo un atteggiamento mentale propositivo che diventa un supporto continuo alla necessità di individuare ogni giorno le scelte più adeguate. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium riprende la Prima Lettera di Pietro: «É vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: sia fatto con dolcezza e rispetto». A volte il rischio è di annunciare un cristianesimo “aggressivo”. È il rischio che ha portato i discepoli a litigare per scoprire chi fosse fra di loro “il più grande”.

   <Gesù segue una via differente: non fa del Suo “ministero” un posto di potere umano -ha affermato la studiosa- Servire è regnare. Annunciare il Vangelo non è ricercare ricchezze o posti di preminenza. Gesù dimostra che il Vangelo è per tutti gli uomini di buona volontà>. La Sua pedagogia con gli stessi dodici non ha il tono del richiamo continuo ma lascia che – ciascuno secondo i suoi tempi – passi dalla “durezza e stoltezza di cuore” -alla piena adesione al progetto divino. L’inclusione allora come espressione di misericordia è comprendere che ciascuno ha i suoi tempi e che ciò che per un credente avviene nell’arco di pochi mesi, per altri può richiedere anni, a volte anche una vita intera. «Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità». Così papa Francesco ha detto durante l’omelia all’Air Defense Stadium de Il Cairo il 29 aprile 2017.

   Il tempo dell’altro nel cambiare richiede tempo anche all’annunciatore nell’evangelizzare e, a volte, anche la necessità di lasciare che siano altri a raccogliere: “uno semina e uno miete”. Le tempistiche della conversione altrui vanno “accompagnate” con la pazienza di una mamma che non forza il proprio figlio a camminare prima del momento adatto, ma lo accompagna mano nella mano finché non giunge il momento di lasciarlo andare da solo. Possiamo avere però, dice Papa Francesco, «la tentazione di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore». L’essere “miti ed umili di cuore” è la regola d’oro nell’annunciare il Vangelo. Gesù molti insegnamenti li ha effettuati a tavola: pensiamo alla corsa di Zaccheo, alla comunità della cena pasquale, alla chiamata di Levi.  Gesù non disdegna l’invito a tavola neppure dai farisei perché il suo annuncio di salvezza è la proposta di uno stile di vita.

I vasi comunicanti simbolo di una Chiesa di famiglie, scuola di inclusione umana

  A Firenze, al Convegno ecclesiale nazionale, Papa Francesco ha detto che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca».  Viviamo in una società che corre un «grande rischio»: quello di essere caratterizzata da «una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata». L’uomo si aggrappa a chiunque sia in grado di fornire un significato alla vita. E respira l’aria di una nuova questione sociale: l’introduzione della robotica nell’industria, le applicazioni biomediche sul corpo umano, l’impatto ambientale delle grandi città, le nuove forme di comunicazione e gli sviluppi dell’intelligenza artificiale. Si tratta di una nuova questione sociale caratterizzata da almeno tre fattori: lo sviluppo pervasivo di un nuovo potere tecnico; la crisi dell’umano e dell’umanesimo che è il fondamento della nostra civiltà; la manipolazione sempre più profonda della nostra casa comune, della Terra. <In questo “cambiamento d’epoca” -ha sottolineato la studiosa- il Papa chiama ciascuno di noi a fare la propria parte perché ogni persona possa avere spazio in una Chiesa autenticamente sinodale dove la relazione con Dio, che è verticale, dipende dalla relazione con il prossimo, che è orizzontale. Si tratta del cosiddetto “principio dei vasi comunicanti”. La Chiesa italiana, come scuola di inclusione umana, per portare la luce di Cristo in questo mondo nuovo, dichiara il Card. Gualtiero Bassetti nella Prolusione ai Vescovi d’Italia, «deve fare affidamento su alcune preziose bussole di orientamento: lo spirito missionario; la spiritualità dell’unità; e la cultura della carità»>.

   “La cultura della carità” -ha continuato- è la cultura dell’incontro e della vita, che si contrappone alla cultura della paura, dello scarto e della divisione. È l’incarnazione della parabola del samaritano. Chi meglio di una Chiesa di famiglie può incarnare la cultura della carità? All’Associazione delle exallieve compete questa missione: guardare alla famiglia scorgendo nelle fragilità della famiglia “il luogo della carità”. Se la Chiesa è una Chiesa di famiglie, per il principio dei vasi comunicanti, sono almeno tre le sfide individuate dalla CEI che oggi vanno affrontate insieme: la prima è di tipo esistenziale e risiede nelle difficoltà di essere una famiglia; la seconda è di tipo sociale e consiste nel riuscire a rendere più a misura di famiglia la nostra società complessa; la terza sfida si riferisce alla questione antropologica>.

  Queste tre sfide chiedono alle famiglie di percorrere due strade: quella pastorale in cui l’Associazione delle exallieve potrebbe dare il suo contributo nelle Diocesi, nella comunità educante per diffondere lo spirito dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia; quella sociale in cui rispondere agli appelli dei Vescovi che chiedono di elaborare politiche concrete. Ad esempio abbracciare la causa del «fattore famiglia» nel sistema educativo italiano. Abbiamo così aggiunto ulteriori elementi al look dell’inclusione come espressione di misericordia. In cui certamente non può mancare l’esperienza eucaristica. «L’Eucaristia di una Chiesa di famiglie, capaci di restituire alla comunità il lievito operoso della convivialità e dell’ospitalità reciproca, è una scuola di inclusione umana che non teme confronti. Non ci sono piccoli, orfani, deboli, indifesi, feriti e delusi, disperati e abbandonati, che la convivialità eucaristica delle famiglie non possa nutrire, rifocillare, proteggere e ospitare».

   <L’invito di Papa Francesco> -ha aggiunto la giornalista- è di lasciarsi coinvolgere in questo movimento di inclusione degli altri, per essere testimoni della misericordia con la quale Dio accoglie ciascuno di noi. La sfida che la Chiesa lancia ai cristiani impegnati è quella di rendere i contesti inclusivi. E questo per l’Associazione potrebbe essere un impegno a sollecitare il primato educativo della famiglia>.

Nell’orizzonte della comunità cristiana, la famiglia resta la prima e indispensabile comunità educante. Per i genitori, l’educazione è connessa alla trasmissione della vita. Si è passati da uno stile educativo autoritario che imponeva e svalutava, ad uno stile senza confini e senza autorità, ad un terzo stile educativo conciliante, dove i genitori evitano di scontrarsi e di polemizzare con i figli. È diminuita la conflittualità ma è anche diminuita la responsabilizzazione dei figli, per esempio, in ordine ai doveri familiari. È vero –come scrive S.Paolo ai Colossesi- che bisogna “non esasperare i figli, perché non si scoraggino”; ma è anche vero che bisogna insegnar loro a “ubbidire ai genitori” perché “ciò è gradito al Signore”. Questa dinamica risulta impossibile se i genitori litigano continuamente davanti ai figli, se usano i figli per riempire i vuoti di comunicazione tra loro, per accusarsi a vicenda, mettendo i figli contro l’altro coniuge.

La famiglia si scontra oggi con una cultura che rifiuta i pilastri dell’educazione umana. Si è sfaldato il triangolo classico di quelli che erano i grandi soggetti educativi: scuola, famiglia, chiesa. Si aggiunga il clima generale dominato dal soggettivismo dei valori, dal permissivismo, dalla poca sensibilità al bene comune, dalla chiusura al Trascendente, dalla carenza di relazionalità. La prima educazione in famiglia è quella che scaturisce da uno sguardo attento, fiducioso e non ingenuo, comprensivo ma non complice, rassicurante e non deresponsabilizzante. È necessario ascoltare. Ma non c’è autentico ascolto se manca la disponibilità interiore ad accogliere le ragioni dell’altro; se mentre l’altro parla penso a preparare la risposta, tale atteggiamento genera nei figli frustrazione e risentimento. Nell’educazione le parole dovrebbero essere pronunciate con calma e con affetto perché non c’è niente di più diseducativo di un genitore arrabbiato, che poi magari ha sensi di colpa.

   L’albero “El Ombù” simbolo di inclusione

   <Esiste un interessante racconto scritto nel 1902 da William Henry Hudson -ha ricordato suor Trigilia- in cui s’immagina di vivere nelle pampas meridionali di Buenos Aires, in compagnia di Nicandro, un vecchio pastore. È un giorno d’estate ed entrambi siedono all’ombra protettrice di un ombù. E proprio l’anziano pastore, vissuto per anni all’ombra de l’Ombù, è testimone di molte storie di vita, tra cui quella di un proprietario terriero, don Santos Ugarte, detto Cavallo bianco, per tre volte vedovo e con molti figli sparsi nel territorio. Le disgrazie di quest’uomo, coraggioso ma impulsivo, iniziarono quando uccise Melitón, il suo giovane schiavo di colore, per aver trasgredito un suo ordine. Per sottrarsi alla giustizia fuggì e trovò riparo sotto El Ombù, luogo da cui attenderà, fino alla morte, una grazia che non giungerà mai>. Si tratta di esistenze gioiose e dolenti che nel volgere delle stagioni il grande albero ha accolto sotto la sua chioma misericordiosa.

<L’interpretazione simbolica di questo racconto -chiarisce la relatrice- ci permette di curare il menù dell’inclusione. Innanzitutto indica lo stato di appartenenza a qualcosa o a qualcuno dal momento che ci si sente accolti. L’inclusione sociale, espressa dalla metafora della chioma de El Ombù, rappresenta la condizione in cui tutte le persone vivevano insieme in uno stato di equità, in cui s’intrecciavano intelligenza ed affettività. Nella cultura del nostro tempo, intelligenza e affettività sono scisse ed è ricorrente la separazione tra razionalità calcolante e vissuto emotivo. Vanno allora cambiati i contesti sociali per realizzare l’inclusione sociale, quale espressione di misericordia>. In questo menù, a parere dell’educatrice, <l’Associazione delle exallieve è chiamata ad inserirsi nel tessuto socio-culturale con una prospettiva inclusiva. Sia per eredità del carisma salesiano sia per la consegna di una spiritualità del quotidiano avete in mano gli strumenti per incarnare l’inclusione intesa come promozione della cultura delle differenze e del rispetto. Occorre di conseguenza essere presenti nel territorio per educare ai diritti e alle libertà fondamentali in modo da favorire la rimozione delle cause della discriminazione, della violenza e della intolleranza che non agevolano lo sviluppo di una cittadinanza consapevole, a partire dalla propria famiglia e dalle giovani generazioni>.

   <Il vostro menù per cambiare il contesto -ha esortato suor Trigila- corra sul filo rosso che coniuga interazione, cittadinanza globale e nuove generazioni. Se ci riflettete già il nostro presente è plurale negli stili di vita, norme morali, preferenze estetiche, questioni di fede, abitudini e bisogni. L’inclusione, come espressione di misericordia, richiede dialogo ed umanizzazione, perché il processo di cambiamento possa essere bidirezionale. Occorre ripartire dallo stare assieme “per” e non “contro” per ricreare sentimenti di appartenenza di senso comunitario con una promozione “nosotros” come insegna la filosofia Ubuntu: io sono perché noi siamo>. <Per una presenza inclusiva nel territorio e nella comunità educante -in sintesi secondo la relatrice- bisogna aprire l’orizzonte: passare dall’integrazione alla interazione all’inclusione, dove questa diventa lo sfondo culturale e operativo, per inserire i criteri dell’accoglienza, della partecipazione e dell’appartenenza. Solo in questa prospettiva si potrà dare un significato davvero inclusivo alla vostra mission ed identità di laici cristiani salesiani perché il vostro apporto è unicamente rivolto a far sì che nessuno sia e si senta escluso dalla misericordia>.

Antonino Blandini

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