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Si sono concluse al Teatro Verga di Catania, nell’ambito della stagione di prosa 2017-2018 dello Stabile etneo, le repliche dello spettacolo, diretto ed assemblato da Roberto Andò, che accomuna, in un atto unico di circa 90’, due testi: “E’ una commedia? E’ una tragedia? di Thomas Bernhard ed “In attesa di giudizio” di Roberto Andò da “Il mistero del processo” di Salvatore Satta.  Prodotto dal Teatro Stabile di Catania, in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival, Napoli teatro Festival Italia e Nuovo Teatro di Marco Balsamo, è una interessante operazione drammaturgica che sollecita il pubblico sia dal punto di vista del contenuto e degli argomenti trattati che come impianto scenografico, imponente e ben costruito e con un cast di interpreti tutti all’altezza nei loro ruoli.

Lo spettatore – che appena entrato in sala si ritrova attorno un curioso gorilla -assiste a due spettacoli diversi ma consequenziali, dove oltre all’avvocato difensore, al giudice, al pubblico ministero che celebrano il processo, ritrova vittime e carnefici e figure quali Gesù Cristo, Pilato, Barabba e la voce di un assassino si alterna a quella di un giurista, indagando nelle pieghe dell’esistenza come forma giuridica.

Giuseppe Orto e Fausto Russo Alesi (Ph. Antonio Parrinello)

La prima parte dell’atto unico propone “È una commedia? È una tragedia?” di Thomas Bernhard, dove in un affollato impianto scenografico, con ben 15 toghe appese, una scrivania, due panchine e diverse situazioni delittuose coperte inizialmente da un naylon trasparente, si ritrovano un giurista – saggista, impegnato nella stesura di un trattato sul processo ed un curioso individuo vestito da donna che ripete frasi ed  atteggiamenti strani. Vengono poi rivelati i contorni di una vicenda singolare e complessa, infatti anni prima l’uomo, che adesso gira con abbigliamento femminile, ha ucciso la sua donna, spogliandola delle vesti e gettando il corpo in un lago. Dopo essere  stato arrestato, condannato e rinchiuso in galera, adesso l’uomo è redento per la giustizia degli uomini, ma alla sua coscienza questo non basta e quindi è preda e succube di un’espiazione irrisolvibile e continua a ripetersi ed a ripetere agli altri: “Il mondo intero è un’unica giurisprudenza, il mondo intero è una galera”.

Dopo il testo di Bernhard segue quello di Roberto Andò, “In attesa di giudizio”, tratto da “Il mistero del processo”, di Salvatore Satta, che mette in contatto vittime e carnefici nel rapporto, mai risolto né risolvibile, con la propria ed intima necessità di giustizia. Dal singolare episodio raccontato da Bernhard il pubblico passa quindi, nella seconda parte (più  affollata, movimentata, a volte caotica)  dell’atto unico, ad un’universale galleria, di vittime e di carnefici che, come dei fantasmi, popolano la mente del giurista – saggista. Il pubblico li vede sul palco nel momento fatale in cui si incontrano facendo succedere tante cose, in quello che si rappresenta come teatro della mente. Tante sono le scene del crimine rappresentate, con coppie facilmente riconoscibili come il prigioniero ed il suo torturatore ISIS, l’infermiera killer e la sua anziana da eliminare, il prete ed il suo ragazzo, la donna ed il suo femminicida. Tutti questi personaggi, nei loro precisi ruoli, si muovono nell’imponente installazione di Gianni Carluccio, rappresentando le azioni legate alla scena delittuosa interpretata e interrompendosi solo per ascoltare le parole di un pubblico ministero e di un avvocato difensore. Alla fine si concretizza un processo al processo giuridico e ci si chiede “Che cos’è la verità?” ed anche la figura di Gesù Cristo, storica vittima di un processo ingiusto, si unisce agli altri.

Fausto Russo Alesi e Filippo Luna (Ph. Antonio Parrinello)

Un lavoro che, nei due testi, fa riflettere sul mistero del processo e della vita vincolata all’idea che qualcuno un giorno darà un giudizio di noi uomini che, ogni giorno, abbiamo l’abitudine di cercare colpevoli e disseminare condanne.

Uno spettacolo di parola che si rivela al pubblico come una riflessione tragica e amara, ma che lascia spazio alla pietà, alla speranza. Con la lineare ed azzeccata regia di Roberto Andò, i costumi di Gianni Carluccio e Antonella D’Orsi, le musiche di Marco Betta, la pièce intriga e convince sia per l’impianto scenografico che per il corposo cast dove spiccano sicuramente per la loro interpretazione Fausto Russo Alesi nei panni del giurista, Filippo Luna nel ruolo dell’uomo vestito da donna, la vocalist Simona Severini, il pianista cameriere di Vincenzo Pasquariello, la donna nuda di una sinuosa Ramona Polizzi, il gorilla del dinamico Giuseppe Orto, il PM di Enzo Campailla, l’avvocato difensore di Massimo Cimaglia, il giudice di Antonio Alveario, il Gesù di Giovanni Piscitelli, il Pilato di Donatello Nicosia ed il particolare Barabba di Carmelo Finocchiaro. Negli altri ruoli citiamo poi Luciano Fioretto, Viviana Militello, Niall Dowling, Salvatore Tornitore, Massimo Giustolisi, Irene Sposito, Susanna Basile, Carmen Bottari, Sergio Trefiletti, Rita Abela, Oliver Petriglieri, Flora Rossitto. Le due voci di Pilato e di Gesù sono rispettivamente di Renato Scarpa e Paolo Briguglia.

Alla fine pubblico convinto e che ha tributato, ad una interessante operazione culturale e di acuta riflessione, i meritati applausi.

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