CulturaUltima Cena – Mosaico XII sec. Duomo di Monreale

Giulio Firmico Materno, nato probabilmente nel 300 a Siracusa, apparteneva all’ordine senatorio e visse e operò a Roma esercitando per qualche tempo l’avvocatura.

Dopo aver abbandonato la carriera forense divenne scrittore, compilando  tra il 334 e il 337, per suggerimento del console pagano della Campania Lolliano Mavorzio  un vasto trattato sulla scienza astrologica, Matheseos Libri VIII nel quale espone tutto il proprio sapere sulla astrologia greca ed asiatica, derivandolo principalmente dall’astrologo Marco Manilio, che visse sotto gli imperatori Ottaviano Augusto  (63 a.C.- 14 d.C.) e Tiberio (42 a. C. – 37 d. C.). Degli otto libri del trattato, il primo fa da introduzione; nel porre i fondamenti della scienza, Firmico si sforza, pur sentendone le difficoltà, di dare più sicuro significato umano all’astrologia, collegandola con la morale. Con l’estinzione della scienza astrologica è cessato l’interesse pratico che per molti secoli, e specialmente nel medioevo, aveva fatto ricercare il trattato, il quale resta solo interessante per gli accenni che vi si ritrovano alla morale del tempo e come documento storico.


Nella Basilica di S. Cristina – Bolsena (VT) – si conservano le quattro lastre di marmo macchiate di sangue del miracolo eucaristico del 1263 – Dal 1704, esse si trovano esposte nella cappella nuova del miracolo a Bolsena

Convertitosi al cristianesimo, Firmico pubblicò il trattato De errore profanarum religionum (PL 12,892-1050) dal contenuto cristiano, ma giunto a noi mutilo nella introduzione. Esso è tutto una violenta requisitoria contro il paganesimo che attinge ai luoghi comuni della polemica anti-politeistica.    Nel De errore, composto tra il 346 e il 350, gli argomenti consueti dell’apologetica non si accrescono di motivi polemici originali, ma si accendono di un tono violento fino allora inusitato. Firmico non cerca l’estinzione del paganesimo attraverso l’insegnamento e la conversazione, ma con l’intervento delle forze secolari, degli imperatori Costanzo (250-306) e Costante (320-350), ai quali l’opera è dedicata, in nome della missione loro affidata da Dio, che sarà ricompensata da benedizioni celesti e dalla confisca dei preziosi simulacri pagani. Il trattato De errore si divide in due parti: nell’una si combattono le religioni della natura e i misteri, nell’altra, più particolarmente, i symbola, cioè i segni nei quali si riconoscevano i partecipanti ai misteri di Dioniso, Mithra ed altri.

La polemica è quindi diretta piuttosto contro gli Egiziani e gli altri popoli orientali che contro i Romani, forse per i maggiori pericoli che presentava la possibile confusione tra  le pratiche cristiane e quelle dai Testimonia dei misteri. L’erudizione trae dall’opera utili cognizioni circa gli antichi misteri. Le fonti del trattato De errore profanarum religionum  sono il De natura deorum di Marco Tullio Cicerone (106 a,C.-43 a.C.), gli apologisti cristiani, Clemente di Alessandria (150 ca. – 215 ca.) ed altri. Le citazioni bibliche sembrano attinte   dall’Epistola ad  Fortunatum de exhortatione martyrii  (PL 4,654-676) scritta nel 257 dal vescovo martire Cipriano di Cartagine (210-258) per confortare i cristiani intimiditi dalla persecuzione dell’imperatore Valeriano  (200 ca. – dopo il 260).

L’anfiteatro romano, I/III sec. d.C. – Siracusa

Firmico Materno, esortando gli uomini e le donne di tutti i tempi ad accostarsi alla comunione eucaristica, scrive: <<Un altro (non quello delle celebrazioni misteriche pagane) è il cibo che elargisce la salvezza e la vita, un altro è il cibo che sommamente raccomanda a Dio l’uomo e a lui lo riconcilia; un altro è il cibo che ristora i languenti, richiama gli erranti, solleva i caduti , che dona ai moribondi le insegne della eterna immortalità. Cerca il pane di Cristo  brama il calice di Cristo, perché, disprezzando la fragilità  terrena, l’essenza dell’uomo si sazi di cibo immortale. Qual è il pane, qual è il calice  che, nei libri di Salomone, la sapienza solennemente annuncia a gran voce? Dice infatti: <<Venite e mangiate dei miei pani e bevete il vino che per voi ho preparato>> (Prov 9,5). E Melchisedec, re di Salem e sacerdote del sommo Dio, con pane e vino offrì ad Abramo che tornava la grazia della benedizione (Gen 14,18)… Ma perché  fosse più apertamente compreso qual è il pane per cui si vince la rovina della morte miseranda, lo stesso Signore lo contrassegnò, affinché la speranza degli uomini non venisse  ingannata e tratta in direzioni diverse da false interpretazioni. Egli dice infatti nel Vangelo di Giovanni: <<Io sono il pane della vita; chi verrà da me, non avrà fame, e chi crederà in me non avrà mai sete>> (Gv 6,35). Anche in seguito ribadisce ciò nello stesso modo, dicendo: <<Se qualcuno ha sete, venga da me, e beva colui che crede in me>> (Gv 7,37-38). E ancora, per comunicare ai credenti l’essenza della sua maestà, dice: <<Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo  e non berrete il suo sangue, non avrete la mia vita in voi>> (Gv 6,53). Non abbiate perciò parte alcuna  con i timpani e con il cibo odioso, o miseri mortali, cercate la grazia del cibo di salvezza e bevete il calice immortale. Con il suo banchetto, Cristo vi richiama alla luce e vivifica gli atti putridi e le membra intorpiditi per il grave veleno. Rinnovate con il cibo celeste l’uomo perduto, affinché tutto ciò che in voi è morto, rinasca per i benefici divini! Sapete quel che vi conviene fare, scegliete quel che volete: là nasce la morte, qui viene donata la vita immortale>> (Firmico Materno, L’errore delle religioni profane, 18: PL 12,982-1050).

Giulio Firmico Materno morì nel 360 circa.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

 

Solennità del Corpus Domini – domenica 19 giugno 2022 –
Mons. Luigi Renna, Arcivescovo Metropolita di Catania, imparte la solenne Benedizione Eucaristica
sul sagrato della chiesa parrocchiale SS. Crocifisso della Buona Morte – Piazza Giovanni Falcone, Catania

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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