E’ andato via un grande artista ed amico, un sostenitore del sorriso, della spontaneità, un vero personaggio, artista straordinario, eclettico, originale, autentico e divertente. Uno di quelli che ti conquistava con la sua bravura, con i suoi mirabolanti numeri, con il suo sorriso che ti accompagnava anche dopo la sua esibizione. Lo scorso venerdì 4 agosto, a Barcellona, ci ha lasciati a 73 anni Jango Edwards, personaggio unico, clown, mimo, sostenitore del riso universale.
Nato nel 1950, a Detroit, Jango, al secolo Stanley Ted Edwards scoprì il clown negli anni Settanta, iniziò ad esibirsi in Europa e trionfò in Francia dove recitò a “Le Splendid” per nove mesi tra il 1987 e il 1988. Ha studiato il teatro e l’arte del clown, non un lavoro ma uno stile di vita, una scelta di vita. Inizialmente si stabilì a Londra dove iniziò a studiare da solo e ad esibirsi in strada come buskers. Con Nola Rae ha formato la sua prima compagnia, “The London Mime Company”, più tardi divennero famosi con il nome di “The London Black Theater Company” ed un giovane trio di studenti della Scuola dell’Arte e del Disegno di Londra “The Friends Roadshow” tutto ciò esplose in una comunità teatrale con sede a Londra, Amsterdam e Detroit.
Noto anche per le sue folli apparizioni nel programma cult del canale francese Canal+ Nulle partailleurs, al fianco di Antoine de Caunes. Fondatore del movimento “New clown” e nel 2009 ha creato un istituto dedicato a questa pratica a Barcellona, dove viveva da qualche anno con la moglie, Cristi Garbo. Jango ha inciso quattro dischi, due video con Sony, pubblicato due libri, ed inoltre ha fatto apparizioni in molti film, nella figura di co – produttore a realizzato il proprio. Ha scritto, diretto ed interpretato svariati spettacoli live incluso musical, rappresentazioni teatrali, TV shows ed animazione da strada. Ha diretto il Balletto Nazionale Olandese in uno spettacolo per la corona e spesso è stato coinvolto come consulente artistico.
L’ho incontrato e subito apprezzato, per la prima volta, nel febbraio del 1990, al Nuovo Teatro di Catania, in via Re Martino, nell’ambito della rassegna “Manycomics 2” e già da allora le sue performances mi hanno impressionato, poi l’ho rivisto , qualche anno dopo, invitato dall’assessorato alla Cultura, per tenere un ciclo di cinque lezioni di “Clown Theory” al Teatro Club, in occasione del suo ultimo spettacolo dal titolo “Classics 2” ed infine, dopo oltre 10 anni, l’ho ancora applaudito nello spettacolo “Classics Duo”, presentato per “Gesti”, all’ex Monastero dei Benedettini, in compagnia di un altro mattacchione.
Che dire di Jango? Uno spettacolo nello spettacolo, un pò mimo, un pò clown, un pò cantante, un personaggio pirotecnico, che non si fermava davanti a nessuno, baciava e leccava i giornalisti, abbracciava e provocava con affetto il pubblico e con la sua eterna maschera di gomma lasciava sempre il segno. E quello che colpiva era sempre la sua spontaneità nell’incunearsi nei terreni più difficili, senza remore e tabù. Bisognava vederlo in azione in quanto davanti al pubblico si superava, offriva numeri irripetibili e si concedeva, tra risate e stupore al pubblico, senza censure, sfruttando il suo corpo per far ridere la gente.
Adesso starà sicuramente entusiasmando, starà facendo ridere il grande pubblico della “stanza accanto”, noi tutti lo salutiamo e lo ricordiamo con grande affetto e a tal proposito riporto uno stralcio di una mia intervista realizzata durante uno dei suoi spettacoli a Catania.
“La mia faccia è quella di un clown – spiega Jango – il mio corpo ha 57 anni, il mio cervello è quello di un bambino di 7 anni. Posso travestirmi e mettermi il classico naso rosso da buffone, oppure indossare degli abiti normali. L’importante è riuscire a coinvolgere il pubblico, renderlo partecipe, fargli ricordare tutto ciò che si faceva da piccoli”.
Cosa significa per Jango essere clown in un periodo difficile come quello attuale ?
“Oggi c’è molto bisogno dell’allegria dei clown. L’arte del clown è quella di saper ribaltare il dolore in risata ed in 35 anni di carriera, in cui ancora la gente scioccamente mi chiede qual è il mio lavoro, ho imparato ad aiutare gli altri, ho aiutato me stesso e soprattutto ho cercato di far capire a tutti che il clown è una figura sociale, uno specchio che riflette la realtà umana, il bene, il male, la poesia, la crudeltà, la volgarità, i sentimenti. Il vero clown deve prima di tutto conoscere a fondo se stesso. Questo gli permette di osservarsi dal di fuori in maniera distaccata così come deve essere capace di osservare distaccatamente la società che lo circonda e mettere a fuoco i problemi sociali per poterli rispecchiare sdrammatizzandoli attraverso la sua arte comica, aiutando e curando il suo prossimo con la medicina della risata. Il clown esagera e distorce le situazioni reali che lo circondano, creando una parodia della società e delle relazioni umane”.
Le capita di essere triste e qual è il rimedio?
“Anche a me capita di essere triste, ma non dura più di 5-6 secondi. Il rimedio? Cerco di inculcare agli altri il modo per riappropriarsi di quell’infanzia ormai dimenticata”.
Quali sono i suoi passatempi preferiti ed i sogni come uomo-clown?
“I miei passatempi preferiti, che poi si integrano a vicenda, sono fare l’amore e recitare con tanta gente, divertendomi. Anch’io ho un sogno, ma non è un incubo, cioè quello di vivere ogni giorno intensamente senza perdere nemmeno un attimo. Federico Fellini con il suo film sui clown ha cambiato la mia vita, mi ha fatto abbandonare il mio lavoro a Detroit nel 1970 per andare in Europa a studiare l’arte dei clown”.
Ringrazio ancora Jango per averci regalato tanta allegria e spontaneità e tanti sorrisi in un mondo dove si sorride e si comunica sempre meno.