Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato, che può essere considerato come il maggior poeta latino del VI sec., non solo sotto l’aspetto formale, ma anche per la varietà degli interessi e dei motivi spirituali, nacque a Duplavilis, l’odierna Valdobbiadene nel trevigiano intorno al 530. Studiò a Ravenna, capitale dei domini bizantini d’Italia ed uno dei grandi centri culturali dell’Europa, la grammatica, la retorica e i primi elementi di diritto.
All’età di 35 anni circa, prima dell’invasione longobarda, avvenuta nel 568, Venanzio lasciò l’Italia per sciogliere un voto presso la tomba di san Martino di Tours in Gallia, al quale attribuiva la sua guarigione da un male agli occhi. Venanzio giunse alla meta dopo un viaggio lungo e complicato, che lo portò ad attraversare in due anni la Germania e la Gallia facendo molte tappe , illustrate nelle sue poesie, prima a Metz, capitale dell’Austrasia, e poi a Parigi, Venanzio mise in evidenza le sue doti poetiche presso i regnanti franchi, guadagnandosi il favore del re franco Sigeberto (535- 575), nella cui reggia si trattenne a lungo.
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Incipit di un codice dell’XI sec. della Vita di Santa Radegonda di Venanzio Fortunato
con il ritratto dell’autore
Dopo aver sciolto il suo voto a Tours, si rimise in cammino, fermandosi in vari luoghi della Gallia meridionale, finché nel 567 arrivò a Poitiers dove dimorava Radegonda (520-587), oriunda della Turingia, vedova del re franco Clotario I (497 – 561), una donna di profonda fede e di rara cultura, tra re e principi analfabeti. A Poitiers Radegonda aveva fondato, con la benedizione di san Germano, vescovo di Parigi, un monastero intitolato alla Santa Croce, guidato dalla figlia adottiva Agnese. Venanzio si legò con devota amicizia a queste due donne, che si valsero della sua opera e furono celebrate nei suoi versi.
Venanzio, che fu ordinato presbitero e direttore spirituale del monastero, nel 597 fu consacrato vescovo di Poitiers, divenendo così una figura eminente nella Gallia lacerata da guerre tra regni e da stragi di famiglia.
Il desiderio di ingraziarsi i personaggi dai quali attendeva o aveva avuto favori, la grande facilità di comporre, anche improvvisando, in prosa e soprattutto in versi, l’abilità tutta esteriore di stemperare la tenue materia, talora attinta fedelmente a fonti letterarie e nella lode degli uomini e delle donne, fecero di Venanzio uno scrittore altrettanto copioso, ma anche superficiale. A Venanzio certamente non mancò uno schietto entusiasmo religioso, una fervida immaginazione, una viva sensibilità alle bellezze della natura ed una facile musicalità nella modellatura del verso.
L’eredità letteraria di Venanzio Fortunato comprende: un poemetto in versi, De excidio Thoringiae, la Vita S. Martini in 2243 esametri ripartiti in quattro libri, che parafrasano il racconto dello storico Sulpicio Severo (360 ca. – 420 ca.). Le altre Vite di santi sono state composte in prosa. Di notevole interesse storico, oltre a quella di S. Radegonda, la più importante, sono le biografie di sette santi vescovi della Gallia: Vita e miracoli di S, Ilario di Poitiers, Vita di S. Germano di Parigi, Vita S. Albino di Angers, Vita di S. Paterno di Avranches, Vita S. Marcello di Parigi, Vita di S. Severino di Bordeaux.
Sotto il titolo di Opere Miscellanee, in 11 libri, Venanzio raccolse i suoi 300 componimenti, quasi tutti in versi, frutto di lunghi anni di operosità letteraria. Accanto ai vari soggetti strettamente religiosi, alle lodi dei sovrani e dei vescovi, delle città e delle chiese, ai temi consolatori e agli epitaffi, sono trattati con uguale disinvoltura anche argomenti più futili.
Meritano una considerazione a parte gli inni liturgici, che sono raccolti nel II libro delle Opere miscellanee. Due di essi furono composti quando l’imperatore di Bisanzio, Giustino II (520 ca. – 578), inviò una reliquia della Croce di Cristo alla regina Radegonda: Il Pange lingua, gloriosi proelium certamins, in sei strofe, ispirato al IX inno di Prudenzio (348-413), che è essenzialmente cristologico (Gli Inni quotidiani, Città Nuova Editrice, Torino 2009, pag. 109-115) e il Vexilla regis prodeunt, composto sullo schema dell’inno ambrosiano. Anche di Venanzio è l’inno O Redemptor sume carmen, che accompagna la processione d’offerta degli oli, che insieme al pane e al vino vengono presentati al vescovo per essere benedetti e consacrati durante la Messa Crismale.
Dei seguenti tre inni ho ritenuto mettere accanto al testo latino una libera traduzione in lingua italiana:
O Redemptor, sume carmen temet inentium. Arbor feta alma luce Consecrare tu dignare, Ut novetur sexus omnis Lota mente sacro fonte Corde natus ex Parentis, Sit hæc dies festa
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O Redentore, ascolta il canto dei fedeli che inneggiano a te. L’ulivo, reso fecondo dal sole luminoso, Re dell’eterna patria, L’unzione del crisma Il lavacro del Battesimo Tu che sei nato dal cuore del Padre, Sia questo per noi un giorno di festa
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Mons. Luigi Renna, Arcivescovo Metropolita di Catania, benedice e consacra gli oli durante la Messa Crismale – Basilica Cattedrale di S. Agata V.M
Crux fidelis, inter omnes arbor una nobilis; nulla talem silva profert, flore, fronde, germine.* Dulce lignum, dulci clavo, dulce pondus sustinens. Pange, lingua, gloriosi proelium certaminis De parentis protoplasti fraude factor condolens, Hoc opus nostrae salutis ordo depoposcerat, Quando venit ergo sacri plenitudo temporis, Vagit infans inter arta conditus praesaepia, Lustra sex qui iam peracta tempus implens corporis, En acetum, fel, arundo, sputa, clavi, lancea; Crux fidelis, inter omnes arbor una nobilis, Flecte ramos, arbor alta, tensa laxa viscera, Sola digna tu fuisti ferre pretium saeculi Aequa Patri Filioque, inclito Paraclito, |
Croce fedele, fra tutti unico albero nobile: nessuna selva ne produce uno simile per fronde, fiori e frutti. Dolce legno, dolci chiodi che sostenete il dolce peso. Celebra, o lingua, la vittoria del glorioso combattimento, Addolorato per il peccato del progenitore, sua creatura, Il piano della nostra salvezza aveva richiesto questo passaggio, Quando, dunque, venne la pienezza del sacro tempo, E questi, trascorsi ormai sei lustri, percorrendo sino alla fine il tempo della [sua] vita umana, Ecco aceto, fiele, canna, sputi, chiodi, lancia; Croce fedele, nobile albero, unico tra tutti! Piega i rami, alto albero, rilascia le [tue] fibre distese Tu sola fosti degna di portare il riscatto della stirpe [umana] Sia gloria eterna |
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L’insigne studioso, il card. Michele Pellegrino (1903-1986), Arcivescovo di Torino, nella sua Letteratura Latina Cristiana, scrive <<Il senso di sincera pietà, l’esaltazione del cristiano nel cantare il sacrificio e il trionfo del Redentore, la vena di tenerezza che palpita in alcune di queste strofe, fanno di questi inni, che la Chiesa continua a cantare nei momenti dell’anno liturgico, un documento di alta poesia religiosa> (pag. 146).
Venanzio Fortunato, che morì il 4 dicembre, forse, del 607, è sepolto nella Cattedrale di Poitiers. Ben presto il vescovo Venanzio fu venerato come santo. “Santo e beato” lo proclama l’iscrizione sulla sua tomba, composta verso il 785 da Paolo Diacono (720-799), storico dei Longobardi, che invocava la sua benedizione. La Chiesa Cattolica lo venera come santo e ne celebra la memoria il 14 dicembre.
Il Martirologio Romano così lo ricorda: <<A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, San Venanzio Fortunato, vescovo, che narrò le gesta di molti santi e celebrò in eleganti inni la santa Croce>>.
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere nell’Università di Catania