Cultura

Guglielmo di Saint-Thierry, monaco e teologo cistercense, nacque a Liegi verso il 1085. Appartenente ad una distinta famiglia, studiò probabilmente alla scuola di Anselmo di Laon (1050-1117).

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY

Entrato nell’abbazia benedettina di St-Nicaise a Reims, ne divenne monaco e nel 1119 fu eletto abate di St-Thierry, presso Reims, dove governò con saggezza. Conquistato dall’affettuosa amicizia del teologo francese, l’abate cistercense Bernardo di Chiaravalle (1190 ca.-1153)), sebbene da questo dissuaso, nel 1135 si dimise da abate ed entrò tra i Cistercensi di Signy, siti nel territorio di Reims, dove trascorse gli ultimi anni in fervida contemplazione, sempre vigile però sui pericoli, che in quel periodo di fermento intellettuale, la fede poteva correre. Nel 1138, con una sua lettera (PL 182,531-539) denunciò gli errori del filosofo e teologo Pietro Abelardo Abelardo (1079 – 1142) ed egli stesso intervenne direttamente scrivendo una  Disputatio adversus Abelardum, che provocò il tempestivo intervento dell’abate Bernardo di Chiaravalle contro gli errori di Pietro, che poi fece condannare da un sinodo riunito a Sens (1140) e da Roma.

Pietro Abelardo si appellò al papa Innocenzo II, ma Bernardo di Chiaravalle lo prevenne facendolo scomunicare. Abelardo trascorse l’ultimo periodo della sua vita nell’abbazia benedettina di Cluny, assistito dall’abate Pietro il Venerabile (1092 – 1156), che si adoperò per la sua riconciliazione con la Chiesa. Guglielmo si oppose con forza pure alle deviazioni dottrinali del filosofo scolastico Guglielmo di Conches (1080 ca.-dopo 1154)  nel De erroribus Guglielmi de Conchis (PL 180,333-340) e del vescovo di Poitiers, Gilbert de la Porrée (1170-1154).

Prima di ritirarsi nel monastero dei Cistercensi di Signy, Gugliemo aveva scritto varie opere: il De contemplando (PL 183.365-380) attribuito a Bernardo di Chiaravalle; il De natura et dignitate amoris (PL 185,379-408); il De Sacramento altaris (PL 180,345-366), che tratta della transustanzione, multipresenza del Corpo di Cristo, degli accidenti e della duplex manducatio, nell’intento di conciliare le apparenti antinomie dei testi patristici intorno al mistero eucaristico. A quest’opera, nell’edizione del Migne,  è premessa la lettera di Guglielmo (PL 180, 341-344) al monaco benedettino dell’abbazia di san Lorenzo a Liegi, Ruperto di Deutz (1075 ca. – 1129); gli Excerpta ex libris s. Gregori papae super Cantica Canticorum (PL 180, 411-474) e il Commentarius in Cantica Canticorum ex scriptis s. Ambrosii (PL 180,15-1947); Il De natura corporis et animae libri duo (PL 180,695-726), nel primo libro Guglielmo offre un’analisi quasi anatomica del corpo umano sulla falsariga del medico cartaginese e  monaco benedettino Costantino l’Africano (1020-1080) e dei medici arabi, nel secondo libro sviluppa un’antropologia in gran parte  attinta dal De hominis opificio (PG 44.123-256) di Gregorio di Nissa (335-395), nella traduzione del monaco filosofo l’irlandese Giovanni Scoto Eriugena (810 ca. dopo 877); il Meditativae orationes  (PL 180,205-247) è un’opera personale, quale specchio fedele del suo animo fervoroso. Questi ultimi furono certamente terminati a Signy, dove le circostanze imposero un nuovo ritmo alla sua penna: l’Expositio altera super Cantica Canticorum (PL 180, 473-546) è un’opera giunta a noi non completa; l’idea dell’influsso dell’amore sulla conoscenza di Dio domina tutta l’opera, che si ispira ad Origene di Alessandria (185-254), di cui Guglielmo conosceva la parziale traduzione di Rufino di Aquileia (345 ca. – 411), e al celebre commento di Bernardo di Chiaravalle; l’Expositio  in epist. ad Romanos (PL 180,547-604), è un vasto commento desunto in gran parte da Agostino d’Ippona (354 – 430); nella Disputatio adversus Abaelardum (PL 249-282) l’autore  confuta gli errori di Pietro Abelardo sui principali dogmi cristiani: importante è la dottrina sulla Redenzione.

Dopo la condanna di Abelardo, suo antico condiscepolo, Guglielmo tentò nello  Specum fidei una elaborazione della teologia nel desiderio di correggere quanti erano caduti nell’errore, così nacquero le Sententiae de fide, opera perduta, una specie di trattato De Deo Uno et Trino, ispirato alla dottrina dell’Ipponese e di Severino Boezio (475 ca.-526); lo Speculum fidei (PL 180,365-398) è un’opera originale di psicologia della fede, dove il motivo dominante è l’amor ipse intellectus est; l’Aenigma fidei (PL 180, 397-440) è una sintesi sulla trascendenza e il mistero trinitario, in antitesi con i tentativi di Abelardo e del filosofo francese,  Guglielmo Conches (1080 ca. – dopo 1154) di razionalizzarne il contenuto. Poco prima di morire  Gugliemo scrisse, a richiesta dei monaci Certosini di Le MontDieu,  l’Epistola ad fratres de Monte Dei, detta anche Epistola aurea (PL 184,307-354.

Questo scritto, che è un vero trattato di vita contemplativa, presto venne attribuito a Bernardo di Chiaravalle, godendo della popolarità delle sue opere. Lo scritto fu utilizzato da Antonio di Padova (1195-1231), dal predicatore francescano Davide di Augusta (1210 ca. – 1271 ca.), dal fiammingo Jan van Ruusbroec, (1293 – 1381), beatificato nel 1908 dal santo papa Pio X, dal domenicano tedesco Giovanni Taulero (1300 ca. – 1361), ma soltanto  nel 1662 fu restituita al vero autore, Gugliemo di Saint-Thierry,  dal monaco benedettino dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, Jean Mabillon (1632-1707) e da altri studiosi . La Vita Bernardi (PL 185,225-266), redatta con vero senso critico, arriva fino al 1130, perché la morte impedì a Gugliemo di portare a termine questo sincero omaggio al suo grande amico e maestro. Altri scritti gli furono attribuiti, in modo particolare la Disputatio catholicorum patrum adversus   Abelardi (PL185,596).

Antica stampa dell’abbazia di St-Nicaise, Reims

Dal trattato Speculum fidei dell’abate Gugliemo ho riportato questo breve brano sullo Spirito Santo: <<Ascolta, anima fedele: quando alla tua fede si presenteranno misteri profondi per la debole natura, domanda senza paura, non per spirito di contraddizione, ma per obbedire con amore: Come può succedere una tal cosa? (Lc 1,34). E la tua domanda sia la tua preghiera; sia amore, sia pietà e umile desiderio: non scruti con alterigia la maestà di Dio, ma cerchi la salvezza nei mezzi offerti ci da Dio, nostro salvatore. Ti risponderà l’Angelo del gran consiglio: «Quando verrà il Consolatore che io vi invierò dal Padre, darà testimonianza di me e vi suggerirà tutte le cose: lo Spirito di verità vi insegnerà la verità tutta intera» (Gv. 15,26). Nessuno infatti conosce segreti dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui. Così nessuno conosce segreti di Dio, se non lo Spirito di Dio» (1Cor. 2,11). Sii dunque sollecito nell’unirti allo Spirito Santo. Egli viene appena è invocato e lo si può invocare solo perché è già presente. Quando lo si invoca, viene nell’abbondanza delle benedizioni di Dio.

E’ lui il fiume impetuoso che dà gioia alla città di Dio (cfr. Sal 45,5) e quando viene, se ti trova umile e tranquillo, seppur tremante davanti alla parola di Dio, si riposerà su di te e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e ai prudenti di questo mondo. Cominceranno a risplendere per te quelle cose che la Sapienza poté rivelare in terra ai discepoli, ma che essi non poterono sostenere fino alla venuta dello Spirito di verità, che avrebbe insegnato loro la verità tutta intera. Invano si attende di ricevere e d’imparare dalla bocca di un qualsiasi uomo, ciò che non si può ricevere e imparare dalla lingua stessa della Verità. Infatti, come dice la Verità stessa: <<Dio è Spirito>> (Gv. 4,24). Come è necessario che i suoi adoratori l’adorino in Spirito e verità, così quelli che desiderano conoscerlo e sperimentarlo, solo nello Spirito Santo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso puro e semplice di quella verità. Nelle tenebre e nella ignoranza di questa vita, egli è – per i poveri di spirito  la luce illuminante, la carità che attira, la dolcezza più benefica, l’accesso dell’uomo a Dio, l’amore amante, la devozione, la pietà. E’ lui che rivela ai credenti che progrediscono nella fede, la giustizia di Dio. E’ lui che dà grazia su grazia. E’ lui che – dalla fede che nasce dall’ascolto della Parola – dona una fede più illuminata>>  (Speculum Fidei – Bibliothèque de spiritualité Médiévale. Bruges 1946, pp. 124-128>>.

Tiziano Vecellio, 1545-1546 circa, Basilica Santa Maria della Salute. Venezia

Guglielmo di Saint-Thierry, che morì nel monastero di Signy l’8 settembre 1148, fu un uomo della tradizione – come lo definì un insigne studioso, il teologo tomista Antonio Piolanti (1911-2001) – <<che visse in costante comunione di ideali con i Padri creando intorno a se un <<paradisus claustralis>>, un clima sereno in cui è avvolta l’origine della sua dottrina spirituale. Pur soggiogato dalla forte personalità di Bernardo di Chiaravalle, di cui fu anche biografo, conservò la sua autonomia dottrinale, che si riflette in atteggiamenti e movenze inconfondibili. Questo monaco cistercense, cui non fece difetto né il genio né l’arte, il cui lirismo religioso fu sorretto da una singolare purezza di vita, dopo tanti secoli di immeritato oblio, vede ora ristabilirsi intorno alla sua persona e alla sua opera quell’atmosfera di ammirazione di cui gli furono prodighi i contemporanei e la sua candida figura avanza vicino a quella del suo grande amico Bernardo di Chiaravalle, il Doctor Mellifluus>>.

Benedetto XVI, nell’udienza generale del 2 dicembre 2009, definì Guglielmo di Saint-Thierry << il “Cantore dell’amore, della carità”, che ci insegna ad operare nella nostra vita la scelta di fondo, che dà senso e valore a tutte le altre scelte: amare Dio e, per amore suo, amare il nostro prossimo; solo così potremo incontrare la vera gioia, anticipo della beatitudine eterna>>.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere nell’Università di Catania

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