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Dal 3 al 13 Novembre alla Galleria Verticalista di Catania, in via Suor Maria Mazzarello 12, mostra d’arte “Movimento artistico Verticalismo, in ricordo di Eugenia Di Grazia”. In esposizione gli artisti Rosario Calì, Giovanni Compagnino, Rosario Platania, Iolanda Taccini, Guglielmo Pepe, Rosa Buccheri, Salvatore Spatola, Salvatore Commercio.

“Ci piace qui ricordare – spiega Salvatore Commercio –  la nostra Eugenia Di Grazia, poetessa-pittrice e componente del gruppo storico, prematuramente scomparsa, riportando un piccolo frammento di una lunga intervista rilasciata per il saggio “Intorno a pittori e poeti siciliani vivi a stento contagiosi assetati pericolosi per se stessi e per gli altri”, pubblicato dal sottoscritto, Edizioni La Verticale, volume primo”.

La copertina del saggio di Salvatore Commercio

La copertina del saggio di Salvatore Commercio

D: Che cosa è cambiato in te da quando sei entrata nella vita o nell’atmosfera del Verticalismo o più semplicemente nella “Via del Possibile”?

R: Da quando sono entrata nella “Via del Possibile” che caratterizza il “Verticalismo” non credo di essere cambiata dalle più profonde radici: mi sono evoluta nel tempo, ed ho acquistato una maggiore scioltezza e libertà nell’accettare le mie cose, già fatte o in fieri, per le quali ho imparato a non esigere quella perfezione che bramavo e che mi bloccava. “La Via del Possibile” ha contribuito a farmi superare la mancanza di fede nelle mie potenzialità creative e, nello stesso tempo, a darmi la speranza che si possa tentare di rompere certi pregiudizi, certe chiusure, certe remore che affliggono gli artisti del nostro sud nei confronti, ad esempio, di artisti sempre italiani, ma del centro e del nord. Nei riguardi, poi, della produzione artistica, la “Via del Possibile”, nella concezione stessa di potenzialità e selezione che si richiede all’artista, nel divenire della sua continua crescita, esalta la priorità del valore dell’opera per se stessa, rifiutandone la mercificazione. Questo peculiare percorso, rende liberi dall’accattonaggio e affranca dai patteggiamenti chi impegna tutto il proprio essere nell’arte.

D: In che modo contempli l’opera prima di apporre la firma?

R: Apporre la firma è come accettare la compiutezza dell’opera finita: il finito mi dà un senso di liberazione, ma nello stesso tempo di limitazione. Il divario tra l’alto grado di perfezione che si era sperato per un’opera, prima di accingersi a farla, e quello poi raggiunto nella realtà, è difficile da accettare. Contemplo il prodotto uscito da me nei più segreti particolari, a me sola ben noti, spesso con profonda scontentezza e con severo distacco. A volte, però, con orgoglio o con pacata tenerezza: ora come la madre fiera della bellezza della figlia, che si bea nel contemplarla (mi viene qui, dai miei studi classici, certa reminescenza di Latona quando s’indugia a guardare la bellissima figlia Diana); ora come la madre più dolce e mite, consapevole della scarsa avvenenza della sua creatura, che per questo l’ama e l’accarezza con lo sguardo di più.

D: Se ti chiedessero di cantare la tua ultima opera con quali parole inizieresti?

R: Con queste che mi vengono ora sulle labbra: “Verde risorto sul grigio roccioso/dispiega i suoi rami alla luce più intensa…”.

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