Intervista con...

Attore di teatro, di cinema e protagonista di tante fiction tv si è fatto apprezzare recentemente nei panni di un padre solo e disperato nella serie tv su Rai Uno “I bastardi di Pizzofalcone” con Alessandro Gassman, per la regia di Carlo Carlei. A teatro, invece, recentemente, al “Biondo” di Palermo, ha partecipato a “O come buco” di Giovanni Lo Monaco ed è pronto per il Festival di Castrovillari “Primavera dei Teatri” con lo spettacolo “Lingua di cane” di Cutino/Petix.  Stiamo parlando dell’attore ennese Franz Cantalupo, diplomatosi nel 2000 alla scuola del Teatro Stabile di Catania. Ha poi vinto la borsa di studio internazionale “Ecole des Maitres” lavorando con il Maestro Jacques Delcuvellerie, continuando la formazione internazionale con Alain Maratrat,  storico attore di Peter Brook. Ha lavorato con Turi Ferro, Ida Carrara, Filippo Timi, Riccardo Garrone, Fortunato Cerlino, Gianmarco Tognazzi e partecipato a film quali “L’Iguana” di Caterine McGilvray, “La trattativa” di Sabina Guzzanti e fiction come “Il Bell’Antonio”, “Il bambino della domenica”, “Squadra Antimafia”, “Il giudice meschino” e altre.

Franz Cantalupo

Abbiamo sentito telefonicamente Franz Cantalupo e con lui abbiamo parlato, quindi, della sua passione per il palcoscenico, dei suoi inizi, dei suoi progetti, delle difficoltà e delle soddisfazioni che gli regala il suo lavoro di attore.

Il tuo lavoro, la tua attività e la tua terra. Come hai visto e vedi oggi la tua Enna ?

“Ho cominciato ad appassionarmi al lavoro dell’attore sin da bambino. A scuola facevo spesso il burlone e, quando ci proponevano attività inerenti al teatro, ero sempre in prima fila. Ricordo, a tal proposito, un “provino” alle scuole Elementari: ogni bambino doveva recitare la poesia di un autore ennese dal titolo “Picciriddi”. Fui subito scritturato! Vidi nel volto delle maestre uno stupore che mi diede una gioia immensa. E, soprattutto, capii immediatamente quanto il palcoscenico mi facesse sentire vivo. Poi entrai a far parte di una compagnia amatoriale, finché non fui ammesso alla Scuola d’Arte Drammatica “U. Spadaro” del Teatro Stabile di Catania, iniziando così il mio percorso da professionista. Sebbene abbia viaggiato tanto, la mia Enna è rimasta l’Itaca a cui far ritorno ogni volta. Nonostante le condizioni poco agevoli di un piccolo centro, Enna ha sfornato tanti talenti negli ultimi; mi rende felice sapere che io e Mario Incudine siamo probabilmente stati il volano per molti giovani cresciuti in una provincia che è vissuta per moltissimi anni col solo mito del “posto fisso” come meta da raggiungere. Siamo diventati punto di riferimento per quanti vogliono intraprendere un percorso artistico e, credo, entusiasti dispensatori di buoni consigli”.

Cosa ti ha dato e cosa ti continua a dare la professione di attore…

“Fare l’attore mi fa sentire vivo. L’esperienza del palcoscenico ti fa vibrare dentro emozioni forti, ti trasla in una dimensione extra quotidiana dove, per gioco, puoi diventare un altro; devi essere un fine artigiano la cui materia è fatta di gesti, parole, sguardi, azioni fisiche in grado di veicolare emozioni e riflessioni sulla vita”.

“Le Supplici” di Eschilo (Ph. Maria Pia Ballarino)

Cinema, tv, teatro, quale preferisci?

“Ti direi che preferisco tutte e tre, ma il primo amore non si scorda mai. A teatro hai a disposizione più tempo per creare un personaggio; lavori sodo per un mese e più e, quando arrivi sul palcoscenico, scopri mondi nuovi durante ogni singola replica. Il personaggio che ti porti dietro comincia a mostrarsi e a mostrarti altro: è come guardare dentro una “scatola/specchio”, in cui il carattere del personaggio diventa una cartina di tornasole dell’interiorità dell’attore che lo interpreta e viceversa. C’è sempre una parte di noi, nei personaggi che interpretiamo; sta a noi renderla più o meno visibile”.

Cosa provi davanti al pubblico e cosa vuole oggi, secondo te,  lo spettatore dall’attore?

“Quando sei in scena ti senti nudo e forte al contempo. Senti che, man mano che la pièce va avanti, il pubblico è con te; è come avere la sensazione di respirare insieme e diventare un tutt’uno. Lo spettatore vuole la verità dall’attore e se l’attore è in grado di donargliela attraverso l’esercizio paradossale della verità nella finzione, lo spettatore allora potrà vivere un’esperienza unica che sarà motivo di riflessione, di gioia, di pianto, di riso”.

Chi è Franz Cantalupo nella vita di tutti i giorni?

“Franz Cantalupo è un normalissimo papà che accompagna le proprie figlie a scuola e che ama cucinare e leggere e che ha da poco ripreso un altro sogno nel cassetto, quello di studiare psicologia. Una disciplina che mi ha sempre appassionato e che voglio aggiungere alla valigia delle mie competenze. Tengo spesso laboratori teatrali nelle carceri e nelle scuole e dare una forte valenza sociale al mio mestiere d’attore rende più completo e multidimensionale il mio lavoro. Sto già lavorando alla tesi, uno studio volto alla relazione tra i neuroni specchio e il teatro”.

Nella serie “I bastardi di Pizzofalcone” su Rai Uno

Cosa hai provato nell’interpretare nella serie di Rai Uno “I bastardi di Pizzofalcone” quell’intenso personaggio di un padre solo e disperato?

“È stato impegnativo interpretare la parte di un padre a cui vengono uccisi i propri figli e che viene accusato dell’omicidio; un uomo uscito da poco dal carcere che non ha più nulla, se non quei due figli. Ho dovuto scavare molto dentro di me e cercare ciò che tutti vorremmo sempre evitare: il dolore. Ma avvicinarsi ad un personaggio che soffre significa anche amarlo non necessariamente fondendosi con lui; devi prenderlo per mano, indossarlo per un periodo prima di spogliartene e ridiventare Franz, sempre con la massima onestà, cercando l’emozione e lasciandola fluire. Sul set è sempre difficile mantenere la concentrazione mentre un sacco di persone ti girano intorno; mi ritengo fortunato nell’aver trovato un regista come Carlo Carlei che ama gli attori e ti dà il tempo necessario a far silenzio dentro di te prima di ogni ciak”.

Cantalupo in “C’era una volta”, fiabe di Capuana (Ph. Antonio Parrinello)

“Stabile” di Catania in crisi, altre sale e spazi culturali ed artistici che annaspano tra mille difficoltà. Come si potrà continuare a fare, a produrre cultura e teatro, in Sicilia? Una tua opinione su quello che sta succedendo …

“Il teatro ha bisogno della giusta attenzione che merita. Fino a quando sarà considerato terra di conquista da parte dei politici e dei loro servitori, non potrà mai essere una forma d’arte libera. I fondi ai teatri dovrebbero essere sempre certi, perché il teatro rappresenta una fonte di crescita e non una sterile sede di ricatti e clientelismi vari. Il nostro paese investe in cultura molto meno di quanto non facciano Francia, Germania o Inghilterra e, spesso, quei pochi soldi che arrivano servono più al numero elevato non di attori, ma di personale amministrativo che lavora nel teatro. Ho girato tanti teatri – sia in Italia che all’estero – e ho visto diverse realtà in cui la gestione è oculata, dove per far funzionare la macchina teatrale bastano pochissimi amministrativi e, soprattutto, dove gli attori e i tecnici sono considerati gli elementi fondanti del teatro. Senza l’attore, lo spettacolo non si fa!”.

Durante una lettura

La condizione del teatro, della tradizione e del dialetto siciliano…

“La tradizione siciliana è più viva che mai. Abbondano artisti in Sicilia, drammaturghi, musicisti che stanno dando nuova linfa, priva di futile campanilismo, al nostro teatro e lo portano in giro per il mondo”.

Le difficoltà che deve affrontare oggi un attore siciliano per affermarsi nel panorama teatrale italiano…

“Credo che oggi il problema non sia l’attore siciliano che fa fortuna o meno. Siamo figli di una terra meravigliosa che vanta tradizioni teatrali ancestrali, ma è importante contaminarsi, uscire, impregnarsi d’altro. Quando nel 2001 vinsi una borsa di studio per l’Ecole des MeÎtres – un master internazionale di alta formazione – capii più che mai che per chi fa il nostro mestiere è fondamentale entrare in contatto con altri, con metodi diversi, non smettendo mai di imparare e di andare oltre. La vera difficoltà a cui l’attore deve far fronte oggi è quella di veder riconosciuto il proprio status; l’attore è una figura fondamentale per la società in quanto veicolo di cultura, di comunicazione, di emozioni. Una mia collega argentina mi raccontava che, nel suo Paese, i laboratori teatrali sono disciplina obbligatoria nei percorsi di formazione del corpo docente delle scuole pubbliche. Fino a quando in Italia dell’attore si avrà soltanto l’immagine distorta del Vip da rotocalco, saremo ben lontani dall’acquisizione di un ruolo sociale fondamentale”.

Ancora Cantalupo

Quanto conta la bravura, il merito, la professionalità nel settore dello spettacolo?

“Il talento è fondamentale per fare questo lavoro. Un buon talento, affiancato dalla tecnica, dallo studio e da un sano narcisismo possono fare di un attore un grande professionista. Ma un attore è prima di tutto una persona e non può non coltivare il proprio essere, considerando la propria crescita interiore come un punto fondamentale del nostro stesso mestiere”.

Una tua particolare soddisfazione o delusione in questi anni di attività…

“Le soddisfazioni e le delusioni fanno parte del mestiere dell’attore sì, ma direi che fanno semplicemente parte della vita. Le soddisfazioni ti danno la carica e ti suggeriscono di continuare; quando qualcuno ti ferma per strada e ti dice che sei stato bravo, che l’hai commosso o lo hai fatto ridere a teatro o in tv, beh…ti si riempie il cuore. E allora dici a te stesso: “Bene, puoi andare avanti!”. Le delusioni, per quanto dolorose, vanno accettate e trasformate in risorse utili solo a fare di meglio”.

Franz Cantalupo in “O come buco”

A cosa stai lavorando al momento, quali i tuoi prossimi impegni ed un sogno che vorresti realizzare…

“Ho da poco ultimato, al Teatro Stabile di Palermo, “O come buco” di Giovanni Lo Monaco, autore e regista di una tetralogia che mette in risalto i drammi irrisolti della famiglia di oggi. Al Biondo ho trovato una splendida accoglienza e un direttore artistico straordinario come Roberto Alajmo; il giorno in cui è venuto a trovare noi attori durante le prove, ci disse una cosa bellissima: “Cosa posso fare per rendervi felici?”. Ecco, credo che questa dovrebbe essere la mission di un bravo direttore artistico, capace di mettere gli attori al centro di un progetto che guarda al futuro e alla crescita di un teatro.

Il gruppo di “Lingua di cane”

A breve andremo con lo spettacolo “Lingua di cane” di Cutino/Petix al Festival di Castrovillari “Primavera dei Teatri”, una vetrina importantissima per uno spettacolo sull’immigrazione che ha colpito il cuore degli spettatori, con una compagnia tutta ennese di professionisti che si sono formati in varie scuole di teatro italiane. Un progetto nato dalla mia idea di riunire per la prima volta i talenti teatrali ennesi sotto la guida di un bravissimo regista quale è Giuseppe Cutino e di una straordinaria drammaturga come Sabrina Petix. Il tutto avallato dal nostro direttore artistico Mario Incudine, che da tre anni porta ad Enna delle stagioni teatrali di altissimo livello. In questo periodo lavorerò anche al mio laboratorio teatrale che è semi-stabile; ho un gruppo di giovani dai 16 ai 70 anni che mi segue da tempo e con cui sto facendo un cammino importante. Giovani studenti, insegnanti, professionisti che si ritrovano insieme e, grazie al grande gioco del teatro, abbandonano le sovrastrutture quotidiane che la realtà ci impone per creare uno spazio vuoto in cui emerge ciò che di più autentico c’è in ognuno di noi”.

Franz Cantalupo

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