Cultura

Sant’Efrem il Siro

Il diacono Efrem il Siro (306-373), che fu tra i più antichi scrittori di lingua siriaca e il più importante fra essi, in alcuni suoi Inni (sul Cenacolo, la Crocifissione e la Risurrezione di Cristo) ci aiuta ad entrare nei misteri che celebriamo nei giorni della Settimana Santa. Efrem nel primo inno contempla il Cenacolo come luogo che diventa prefigurazione della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri, mentre negli altri inni sulla risurrezione di Cristo presenta la Chiesa della terra e quella del cielo unite nella lode al Signore risorto.

Il Cenacolo di Domenico Ghirlandaio 1480 – Museo di Ognissanti – Firenze

Il Cenacolo – luogo dell’Ultima Cena di Cristo con i discepoli – viene quasi personificato ed è visto da Efrem già come vera e propria Chiesa che celebra i sacramenti, luogo del servizio: «Beato sei tu, luogo, perché furono inviati due suoi discepoli e vennero a prepararti per la sua cena. Si era scelto la purezza, e in te la vide, si era scelto la santità, e dentro di te la trovò. Alla tua fedeltà diede abbondantemente la sua benedizione, dono per il tuo servizio. Beato sei tu, luogo del giusto, poiché in te il Signore nostro ha spezzato il proprio corpo. Un piccolo luogo fu specchio di tutta la creazione riempita da lui. La grande alleanza uscì da una piccola dimora e riempì la terra».

Il Cenacolo è il luogo del dono del corpo e del sangue di Cristo, è il luogo dove Gesù stesso diventa sacerdote e vittima: «Beato sei tu, luogo, di ciò che avvenne in te tutta la creazione è piena, ed è troppo piccola. Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato quel pane dal covone benedetto. In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, calice della salvezza, il nostro Signore che in te si fece vero altare, sacerdote, pane e calice della salvezza, altare e agnello, sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo».


Gesù lava i piedi a Pietro 

GiottoCappella degli Scrovegni, 1303-1305 – Padova

 Il Cenacolo è pure il luogo della lavanda dei piedi, ed Efrem la collega con l’accoglienza di Abramo ai tre personaggi sotto la quercia di Mamre, chiamati da Efrem «vigilanti», che in siriaco significa anche «angeli». La grandezza della teofania veterotestamentaria viene messa di fronte a quella del figlio nel lavare i piedi, e lavarli anche a Giuda il traditore: «Come in te, apparve anche ad Abramo mentre portava il vitello ai vigilanti. I serafini fremettero vedendo il figlio che, cinto ai fianchi un lino, lavava nel catino i piedi, la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato». La Lavanda dei piedi è presentata dal diacono Efrem come una nuova creazione: il battesimo dei dodici: «Nostro Signore purificò il corpo dei fratelli nel catino che è simbolo della concordia. Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente. Non siamo membra divise che non si accorgono di lottare contro il proprio amore!».

 Galleria Accademia di Firenze
Nell’Inno sulla Risurrezione, Efrem descrive la gioia pasquale, presentata come una grande liturgia di tutta la creazione, che accomuna il cielo e la terra. Egli inizia con un riferimento al luogo centrale della croce che riapre il paradiso, da dove sgorga la lode di tutta la creazione: «E la chiave fu per me la tua croce, fu essa ad aprire il paradiso. Dal giardino portai, raccolsi e recai dal paradiso fiori sparsi durante la tua festa, negli inni, sull’umanità». Tutta la creazione quindi, nella festa di Pasqua, innalza la lode a Dio, ed Efrem elenca tutti coloro che lodano il Signore redentore, a cominciare da coloro che fanno parte della liturgia della terra: «Ecco la festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono trombe e corni. Bambini e bambine furono in essa arpe e cetre».

  

Arca di Noè, Michelangelo Buonarroti – affresco del 1508 – Cappella Sistina – Vaticano

Il santo Diacono di Nisibi inserisce in questa lode liturgica anche l’immagine dell’arca di Noè, quella che si potrebbe quasi chiamare la liturgia degli animali, raccolti per coppie con le loro voci concordi: «Nell’arca risuonarono similmente tutte le voci da tutte le bocche. Fuori flutti terribili, dentro di essa voci deliziose. Le lingue, a due a due, modulavano in essa concordi, in purezza, ed erano prefigurazione della nostra festa ove uomini e donne vergini hanno cantato il gloria al Signore dell’arca». Questa dimensione di lode procede nell’inno con una descrizione della liturgia della Settimana Santa. Qui Efrem presenta tutta la gerarchia, quella della terra e quella del cielo: «Il grande pastore vi intrecci come suoi fiori le sue interpretazioni, i presbiteri le loro buone opere, i diaconi le loro letture, i giovani i loro alleluia, i bimbi i loro salmi, le donne caste i loro inni, i semplici fedeli la loro condotta». In questa strofa è descritto il ruolo di ognuno: il vescovo, «grande pastore», che spiega la Scrittura, i sacerdoti nel loro operare, i diaconi che proclamano la Parola, i giovani come cantori e salmisti, i fedeli nel vivere come cristiani, ai quali si aggiungono «martiri, apostoli e profeti, i cui fiori sono come loro e incoronano la nostra bella festa».  L’inno si conclude con una preghiera per i cristiani ovunque perseguitati e martoriati, allora e oggi: «Accetta, nostro re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. Benedetto colui che agì e può agire!».

 Resurrezione di Cristo

Raffaello Sanzio, 1501-1502 – Museu de Arte de São Paulo, San Paolo del Brasile

In altri Inni sulla Risurrezione, Efrem canta la viottoria di Cristo risorto sulla morte: <<Il pastore di tutto è disceso, si è abbassato a cercare Adamo, la pecora che si era perduta; sulle sue spalle l’ha portata, alzandola: egli era un’offerta per il padrone del gregge. Benedetta sia la sua discesa! Egli spruzzò rugiada e una pioggia datrice di vita su Maria terra assetata. Come un chicco di frumento scese di nuovo allo Sheol, per balzare su come intero covone e nuovo pane. Benedetta sia la sua offerta! Dall’alto Egli è sceso come Signore, dal ventre è uscito come un servo, la Morte si è inginocchiata davanti a Lui nello Sheol, e la Vita l’ha adorato nella sua risurrezione. Benedetta sia la sua vittoria!>> (Efrem il Siro, Inni sulla Risurrezione, n. 1, 2.3.8, Lipa 1999). La Morte aveva finito il suo beffardo discorso e la voce di nostro Signore risuonò fragorosamente nello Sheol, aprendo ogni tomba una per una. Terribili spasimi afferrarono la Morte nello Sheol; dove la luce non era mai stata, raggi brillarono dagli angeli che erano entrati per far uscire i morti a incontrare il Morto che ha dato vita a tutto. La morte di Gesù è un tormento per me (dice la Morte), vorrei averlo lasciato vivo: sarebbe stato meglio per me che la sua morte. Qui c’è un morto la cui morte trovo detestabile; alla morte di ogni altro io gioisco, ma la sua morte mi tormenta, e aspetto che torni alla vita: durante la sua vita egli ha fatto rivivere e portato di nuovo alla vita tre morti. Ora attraverso la sua morte i morti che sono venuti di nuovo alla vita mi calpestano alle porte dello Sheol quando vado per trattenerli. Correrò e chiuderò le porte dello Sheol davanti a questo Morto la cui morte mi ha rapinato. Chi sentirà ciò si meraviglierà della mia umiliazione, perché sono stata sconfitta da un Morto venuto da fuori: tutti i morti vogliono andare fuori, e lui insiste per entrare. Un farmaco di vita è entrato nello Sheol e ha riportato i suoi morti indietro alla vita>> (Efrem il Siro, Inni sulla Risurrezione, n. 36, 11.13.14, Lipa 1999).

Mosaico greco – Anástasis (risurrezione)

In questo tempo quaresimale, il diacono Efrem, con le straordinarie parole dei suoi Inni, ci aiuta a meditare il mistero della Pasqua per confermarci nella fede in Cristo Gesù nostro Signore che è risuscitato e vive presso il Padre. L’attualità si nota quando Efrem, <<la cetra dello Spirito Santo>>, inneggia a Cristo, che non risuscita da solo ma con tutta la discendenza di Adamo.  Cristo è risorto per noi, ossia, prendendo noi con sé. Ognuno di noi ha le proprie morti, noi tutti in qualche modo siamo morti. Ma il fatto che Cristo ritorna dalla tomba con Adamo vuol dire che tutta l’umanità da lui assunta è già risuscitata e che noi semplicemente dobbiamo scoprire nelle nostre morti il Cristo che ci viene a prendere e a redimere. Non ci stancheremo mai di contemplare il mistero così intimo e così pieno di grazia in cui Cristo non ci chiama dalla morte dall’esterno, come un eroe, ma lui stesso ci raggiunge nella morte con la sua morte. Noi tutti moriamo ma nella morte non siamo soli perché lì c’è già lui che ci precede e che finalmente ci convince che la morte non ha definitività sulla nostra vita. È l’amore di Dio Padre che non lascia nella tomba colui che si è lasciato penetrare dal suo amore, ed Efrem fa vedere come tutti i risuscitati calpestano la Morte presso la porta dello Sheol che essa voleva chiudere per mantenere i morti nella morte, e sottolinea così la partecipazione di tutta l’umanità mortale alla vittoria di Cristo risorto sulla morte.

 Diac. Sebastiano Mangano

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