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Considerato il capolavoro teatrale di Pirandello, insieme a “Sei personaggi in cerca di autore”, “Enrico IV” è uno studio sul significato della pazzia e sul tema, caro all’autore, del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità.

Del celebre ed acclamato testo pirandelliano, di cui ricordiamo memorabili edizioni negli anni, con interpreti quali Romolo Valli, Salvo Randone, Giorgio Albertazzi, Carlo Cecchi, Franco Branciaroli, il regista catanese Nicola Alberto Orofino – che da qualche anno si segnala per la sua rilettura in chiave moderna dei classici- ne propone una versione inedita che vira, però, più sulla nevrosi e sul movimento dei personaggi che ruotano attorno al protagonista del titolo. Orofino propone la sua edizione di “Enrico IV” sino al 26 Gennaio, al Piccolo Teatro di Catania, nella stagione di prosa del “Brancati”, – all’interno del “Progetto Pirandello”, produzione Teatro della Città- Centro di produzione teatrale – in un solo atto di circa 90 minuti, con scene e costumi di Vincenzo La Mendola, con un cast di nove attori e che vede nei panni del protagonista l’istrionico ed esperto Miko Magistro.

Miko Magistro (Ph. Dino Stornello)

La pièce, scritta nel 1921 e rappresentata per la prima volta nel 1922 al Teatro Manzoni di Milano, potrebbe parlare anche di un uomo di oggi, infatti il protagonista studia approfonditamente la vita di Enrico IV e sarà questo il travestimento che assumerà al fianco della sua fidanzata in occasione di un corteo carnevalesco a cavallo. Durante la sfilata, però, viene disarcionato, cade e impazzisce. La sua follia, inizialmente è reale, infatti vive per anni nella convinzione di essere Enrico IV, assecondato dalla famiglia e dalla servitù che simula di vivere nel XII secolo. Ma poi, improvvisamente, rinsavisce e scopre un mondo che non riconosce più e quindi l’amara verità della vita: la marchesa Matilde, la donna che ha amato, si è sposata con il suo furbo rivale il barone Belcredi e comprende che non potrebbe mai adeguarsi alla situazione. Nel finale il protagonista, assecondando il gioco di chi vuole psicanalizzarlo attraverso il dottor Genoni, svela ai suoi tre finti consiglieri in armatura di essere tornato lucido da molto tempo, ma che ha continuato ad indossare i panni di Enrico IV per sfuggire ad una società governata da vizi e mediocrità. Il protagonista, poi, dopo aver pugnalato il rivale, sceglie, stavolta consapevolmente, di assumere per sempre la maschera di Enrico IV che è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma anche dell’impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più, stritolato nel modo di intendere la vita di chi gli sta intorno e sceglie quindi di “interpretare” il ruolo fisso del pazzo.

Su una scenografia che è un teatro vero e proprio e che, a tratti, da spazio al trono dell’imperatore di Franconia, con costumi ed oggetti che mescolano i vecchi abiti dell’epoca, la corona, i mantelli con giacche o magliette colorate, minigonne, sigarette e persino giornali come la “Gazzetta dello Sport”, si muovono nell’intricata vicenda pirandelliana, come animati da una continua nevrosi, tutti i nove protagonisti: dal freddo e calcolatore Enrico IV di un navigato Miko Magistro alla svagata marchesa Matilde di Carmela Buffa Calleo, dal furbo ed infido barone Belcredi di un convincente Santo Santonocito alla ribelle Frida di Anita Indigeno, dal distratto dottor Genoni di Luca Fiorino al marchese Di Nolli di Gianmarco Arcadipane, fino a tre disorientati assistenti e finti consiglieri Landolfo, Araldo e Bertoldo resi da Giovanni Arezzo, Giuseppe Ferlito e Daniele Bruno.

Una scena dello spettacolo (Foto Dino Stornello)

Lo spettacolo, con le sue pause, i suoi ragionamenti, le nevrosi dei protagonisti, gli assoli di Enrico IV, mantenendosi fedele al testo, mette in evidenza il movimento, a volte troppo esasperato, di tutti i protagonisti per rendere omaggio alla fluidità del verbo, del pensiero pirandelliano, mentre Miko Magistro – nei panni di Enrico IV – si ispira nei gesti, nei movimenti a Salvo Randone riuscendo a far riassaporare il vero pensiero, lo spirito della vita e della finzione che si confondono con la più autentica folla.

Alla fine applausi per regista e cast, ma soprattutto per un testo, per una scrittura meravigliosa, eterna, di grande suggestione e che, ancora una volta, fa apprezzare le tematiche, lo stile, il continuo dialogare sull’essere e sull’apparire, sulla ragione e sulla follia del grande Pirandello.

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