Intervista con...Rubriche

Ha debuttato a quasi quattro anni con Salvo Randone in “Pensaci Giacomino”, è cresciuto nei camerini dei teatri e respirando sempre la polvere del palcoscenico non poteva fare altro che seguire la sua dinastia teatrale, gli insegnamenti dei suo genitori, Carlo e Giovanna, del suo padrino Ciccino Sineri ed abbracciare così il complicato, variegato ed affasciante mondo teatrale. Sto parlando dell’attore, regista e docente di recitazione catanese Aldo Mangiù, noto volto teatrale, figlio di una illustre coppia – nella vita e sul palcoscenico – quale Carlo Mangiù e Giovanna Porcelli, diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, presentatore e spalla al Teatro Volturno e Ambra Jovinelli di Roma, “Maschera d’oro” come miglior attore giovane, a 23 anni, nel ruolo di Lamberto Laudisi in “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello. Ha frequentato la Scuola teatrale presso lo Stabile di Catania ed ha poi partecipato ad uno Stage di formazione Mimo con Ilza Prestinari e al Laboratorio di Regia Teatrale con Accursio Di Leo. E’ stato scritturato per due stagioni con la compagnia teatrale di Arnaldo Ninchi, dal 1978 al 1980 ha lavorato come attore con la Cooperativa Rosina Anselmi ed ha curato la direzione artistica della compagnia “Teatro de’ Cenci” di Roma, nella quale era anche attore e regista. E stato diretto dai registi Accursio Di Leo, Franco Zeffirelli, Vittorio Gassman, Sergio Ammirata, Salvino Ajello, Walter Manfrè, Fernando Di Leo, Arnaldo Ninchi, Orazio Costa Giovangigli, Giovanni Cutrufelli, Romano Bernardi, Myroslaw Eznerkieff, Giorgio Strelher, Alberto Sironi, Alberto Negrin, ecc.

Aldo Mangiù in “La politica di Don Fefè”

Con Aldo Mangiù, attore, uomo affabile, disponibile, simpatico è doveroso parlare del padre Carlo e della madre Giovanna, della loro arte e della loro umanità. Non è possibile con lui ignorare il passato, i fasti del teatro popolare, gli interpreti, le regie e gli spettacoli degli anni scorsi, arrivando poi a parlare di presente, oggi un po’ nebuloso e di un futuro, di nuovo in scena, si spera presto. Aldo Mangiù ha risposto, attraverso internet ed i social, alle mie sollecitazioni, raccontando agli amanti del teatro un po’ della sua vita, del suo percorso artistico, dei suoi programmi e dei suoi progetti. E parlando con lui, ascoltando le sue riflessioni, ho rivisto – per un attimo – il grande Carlo in scena, la dolcezza e la determinazione di Giovanna Porcelli, ho riascoltato gli applausi in sala del pubblico. Potenza dei ricordi e del Teatro.

Con due genitori artisti (il padre Carlo, la madre Giovanna Porcelli) era quasi naturale fare l’attore, ritrovarsi sulle tavole di un palcoscenico. Parlaci delle tue prime esperienze da bambino, il tuo percorso, il rapporto con mamma e papà….

“Venendo da una dinastia di attori teatrali, il cui inizio pare che risalga al 1650 ed essendo praticamente nato in palcoscenico, era inevitabile che anch’io facessi teatro. Ho passato la prima infanzia nei camerini dei teatri e a sei mesi ero già in scena con il mio padrino Ciccino Sineri in “Gatta ci cova”. Ho debuttato ufficialmente a quasi quattro anni in “Pensaci Giacomino” con il grande Salvo Randone e da allora tutte parti da bambino e giovincello. Dopo l’avviamento al teatro presso lo “Stabile” di Catania (non c’era ancora la scuola Umberto Spadaro) decisi che il mio futuro sarebbe stato il Teatro e mi iscrissi alla “Silvio D’Amico”. Il rapporto con mamma e papà, oltre ad essere stupendo dal punto di vista familiare essendo due genitori meravigliosi, era diverso dal punto di vista artistico. Da mamma ho imparato il rigore assoluto del mestiere, soleva dire “in teatro non conosco nessuno” la capacità della comunicativa col pubblico. Papà mi guardava crescere e mi spronava col suo esempio a migliorare sempre”.

Carlo Mangiù e Ciccino Sineri in “Il ratto delle sabine”

Quanto ha influito nella tua crescita come attore e come uomo il carisma, l’insegnamento, la forte presenza, di papà Carlo?

“A papà devo tutto, guardandolo, ascoltandolo ho appreso tutti i segreti di questo mestiere, il perché di una pausa, di un tono, di una inflessione. Ho imparato la profonda onestà nei confronti del pubblico, l’assoluta modestia del grande artigiano che forgia piccoli capolavori, la capacità di essere altruista sulla scena (cosa assai rara in teatro) con i suoi compagni, sempre pronto a fare un passo indietro. Come padre è stato un esempio incomparabile di onestà, bontà. Altruismo, correttezza e lealtà. Ancora oggi viene ricordato oltre che per le doti attoriali per le grandi doti umane”.

Cosa ti ha dato e cosa ti continua a dare la professione di attore…

“Mi ha dato tantissimi anni di felicità, di potermi confrontare con personaggi e colleghi. Mi ha dato una ricchezza e una curiosità culturale senza fine. Mi ha dato per tantissime sere il brivido di entrare in scena e la grande commozione degli applausi. La possibilità di vivere un’infinità di vite che hanno arricchito la mia. Mi ha dato la possibilità di conoscere una donna meravigliosa, mia moglie, compagna e grande sostegno e l’orgoglio di essere il padre di una meravigliosa attrice, oltre che di un figlio stupendo. Non avrei sperato tanto”.

Qual è il rapporto con la tua Catania e con la Sicilia?

“Adoro Catania e la Sicilia. Le adoro per le mie radici, per il suo essere terra di grandi contrasti e di grandi sentimenti. Le adoro per la sua grande cultura e per la grande tradizione teatrale. I grandi attori siciliani hanno fatto scuola nel mondo e tracciato una strada per tutti quelli che sono venuti e verranno dopo di loro”.

In “La vita di Giuseppe Verdi”

Cosa ricordi dell’esperienza con le Compagnie Rosina Anselmi, Teatro Popolare di Catania e con il Teatro dei Cenci di Roma?

“Il Rosina Anselmi, oltre ad essere storia del Teatro a Catania, fa parte dei miei ricordi giovanili. Ricordo con quanta avidità seguivo i grandi attori che c’erano: Jano Jacobello, Tano Fernandez, Turi Costantino, papà Carlo, le sorelle Romeo, Amalia Troina, Davide Ancona, Nino Portale e tantissimi altri. Ricordo i 37 turni in abbonamento e le grandi regie. L’esperienza proseguì negli anni Settanta con la Cooperativa Rosina Anselmi che per quattro anni fu la terza compagnia professionistica in Italia per numero di borderò. La compagnia del Teatro Popolare fu una mia creatura: dalla fine della Cooperativa, papà era stato con diverse compagnie teatrali professionistiche ed amatoriali, ma non lo vedevo realizzato, non era quello il suo modo di fare teatro. Così decisi, a sua insaputa, di riunire un gruppo di ottimi attori, suoi amici carissimi e formare una sua compagnia. Fino alla scomparsa di papà furono anni meravigliosi, densi di successi di critica e di pubblico per la “sua creatura”. L’esperienza col Teatro dei Cenci invece fu suggerita dalla mia fame di scoprire, di spaziare in territori teatrali diversi. Fui attore, regista e direttore artistico di un gruppo di ragazzi incredibili che mi hanno arricchito di orgoglio ed esperienza”.

Aldo Mangiù in “Il berretto a sonagli”

Perché, secondo te, negli anni passati, il teatro popolare, quello più autentico, divertiva e riempiva le sale?

“Il teatro popolare era sicuramente più vero, più genuino. La gente che veniva a teatro viveva le storie che noi sul palco raccontavamo. Gli attori erano molto bravi, non copiavano e non scimmiottavano nessuno, erano anche loro veri. Veri uomini e vere donne catanesi, siciliani veri. Non sfornavano copie fotostatiche dei vari successi di Musco, Grasso, Abruzzo ecc. Oggi si è perso il gusto di raccontare storie vere con uomini e donne vere, è sicuramente più facile scopiazzare. Devo anche dire che la spropositata proliferazione di gruppi teatrali, spesso di non grande qualità, ha appiattito, verso il basso, il gusto del pubblico e ha creato più attori che spettatori”.

Cosa vuole oggi lo spettatore degli attori in scena? Come sono cambiati con gli anni i gusti, le preferenze del pubblico?

“Ovviamente oggi le cose sono cambiate, il cinema e la televisione entrano ogni giorno nelle nostre case e alterano il gusto e la visione del bello. Il pubblico vuole vedere storie capaci di incantarli e stupirli come bambini e allo stesso tempo che facciano riflettere. Vuole accostarsi alla vera cultura ma lontano dai professoroni o gente che parla linguaggi astrusi. C’è una grande voglia di aria nuova, fresca e pulita”.

Le tue esperienze televisive e cinematografiche…

“Non sono tantissime. Non ho mai amato molto queste arti. Da giovane ho partecipato a una decina di films, che non hanno fatto storia. Poche le prestazioni televisive, quelle che ricordo con più piacere, per la qualità e il clima sul set sono: i tre episodi nella serie del “Commissario Montalbano”, “La vita rubata”, “Il capo dei capi” e “L’uomo di vetro”.

In tv con Luca Zingaretti ne “Il Commissario Montalbano

Un personaggio che hai interpretato nella tua carriera e che ti ha lasciato qualcosa di particolare dentro, che ricordi ancora…

“Alcuni personaggi mi sono rimasti nel cuore per la loro ricchezza di sentimenti o perché legati a un ricordo felice. Sicuramente Don Cola Duscio per la bellezza e la ricchezza della scrittura teatrale del grande Martoglio, Don Chisciotte per la struggente bellezza del personaggio, il papà in “Il padre sposa” per l’emozione di padre che provavo ogni sera e in cui mi riconoscevo. A livello affettivo il ruolo che amo è il Pasquale in “Dalle stalle alle stelle” perché fu la prima volta che recitai da coprotagonista a fianco di papà Carlo. Quello che mi diede più soddisfazioni di critica fu il Lamberto Laudisi in “Cosi è se vi pare” che a ventitre anni mi valse la Maschera d’oro come miglior attore giovane”.

Filippo Minacapilli e papà Carlo in scena

Che consigli daresti a chi vuole iniziare la professione di attore/attrice?

“Saper riconoscere se si ha veramente il desiderio di intraprendere questa lunga, dissestata e interminabile strada o solo voglia di apparire. Studiare, tanto e sempre. Non stancarsi di imparare da tutti, da quelli bravi e da quelli scarsi, essere cosciente che questa è una vita durissima. Diceva il grande Eduardo: “Una vita di silenzio e di gelo” di gioie, poche, di amarezze, tante, e tanti sacrifici”. Soprattutto lasciate perdere i talent show e affidatevi ai veri Maestri, seri e preparati”.

Un aneddoto, uno spettacolo, un testo, un incontro particolare durante la tua attività…

“Di aneddoti potrei scrivere un paio di libri, come penso ogni attore con una lunga carriera. Di quando il vento si portò via le scene o di quando a un vecchio attore saltò via la dentiera durante un dialogo o di quando un’attrice andò via prima dello spettacolo e fui costretto a travestirmi da donna nascondendo i baffi dietro un ventaglio e così via. Un testo che ho amato particolarmente è “Proof, la prova”, testo americano di un premio Pulitzer dove facevo il ruolo che al cinema era stato di Sir Athony Hopkins. Un incontro che ha lasciato un segno profondo nella carriera e nel mio cuore fu quello col grande regista Accursio Di Leo, quello che io reputo il mio padre intellettuale. Quello che era Virgilio per Dante”.

Chi è oggi Aldo Mangiù, come trascorri il tempo libero, che libri leggi e cosa ascolti o vedi in tv? 

“Sono una normalissima persona anziana che, non appena possibile, tornerà a fare il mestiere più bello del mondo. Un marito premuroso, un (spero) buon padre, un gran pantofolaio quando non lavora. Leggo tantissimo, di tutto. Ovviamente teatro, saggistica, storia e quando non ho niente da leggere anche le etichette dei barattoli. Studio parecchie ore al giorno. Ascolto tantissima musica, qualunque, basta che sia musica e non rumore. Vedo pochissima tv, film, teatro soprattutto”.

In “Don Chisciotte”

Secondo te è il teatro ad essere in crisi o lo sono i teatranti?

“Si parla sempre di crisi del teatro, ma in realtà si dovrebbe parlare di crisi di idee. Se guardiamo le stagioni teatrali nazionali (professionistiche e amatoriali) troviamo – salvo qualche eccezione – sempre gli stessi testi e gli stessi autori. La crisi è la mancanza di coraggio nello scommettersi con qualcosa di nuovo, con autori giovani che hanno tanto da dire, ovviamente con tutto il rispetto per gli autori classici di grande valore. Il voler riproporre testi di spessore così come sono stati scritti molti anni o molti secoli fa, non adattandoli alla realtà e al linguaggio di oggi, risultando così falsi e di nessun interesse. La crisi economica che ci trasciniamo da parecchi anni, gli sperperi di carrozzoni assoggettati alla politica, gli incompetenti messi ai posti direttivi e l’eccessivo occhio al botteghino, questi sono i motivi della crisi. Non parliamo dell’imbarbarimento dovuto alle trasmissioni spazzatura in onda quotidianamente in tv che hanno fatto. crollare il quoziente intellettivo e di gusto degli spettatori. Oggi la gente va a teatro come se guardasse la tv”.

Quali prospettive per l’intero settore dello spettacolo dopo la batosta della pandemia e della lunga sosta e quali dovrebbero essere gli interventi per rilanciare l’intero comparto e per dare nuova linfa ai teatranti?

“Veniamo e siamo ancora in un periodo buio per la nostra nazione e per il mondo intero. In un settore già in crisi economica da qualche tempo, la pandemia è stata una forte mazzata. Il teatro, come l’intero comparto dello spettacolo, riuscirà faticosamente a risorgere come ha fatto in tante altre occasioni. Ricordo i racconti dei miei nonni che avevano vissuto la prima guerra mondiale e quelli di mia madre durante la seconda. Ma siamo una categoria abituata a soffrire e le grandi difficoltà ci rendono più forti. Indubbiamente ci vorrà un buon sostegno economico, la partecipazione del pubblico che dovrà per qualche sera lasciare il divano di casa e venire a teatro, ci vorrà la volontà da parte di chi fa teatro e spettacolo in genere di proporre spettacoli seri, accattivanti di grande spessore culturale. Noi teatranti ci siamo già rimboccati le maniche e come la mitica Fenice risorgeremo dalle ceneri”.

Aldo Mangiù, protagonista in scena

Come sarà il tuo approccio con il teatro dopo la pandemia e dopo la sospensione forzata….

“Sarà bellissimo ed emozionante come il mio debutto e forse di più. Questa lunga pausa forzata mi ha dato anche modo di riflettere su come essere sempre più vicino a una visione moderna del teatro. Da vecchio mi ripropongo di dedicare parte del mio tempo a ricercare nuovi testi teatrali di valore assoluto, di dedicare tempo per aiutare dei giovani di talento a crescere e diventare le compagini che formeranno il teatro del futuro. Di dare il mio contributo a far crescere l’immagine culturale della nostra Terra ormai troppo stereotipata in “Civitoti in pretura” o “Squadre antimafia”.

A cosa stai lavorando oggi e quali saranno – appena si ripartirà – i tuoi prossimi impegni?

“Stiamo preparando con il Teatro dei Saitta un ciclo di otto spettacoli da proporre in televisione, per il momento, e continuando la collaborazione con Salvo e Eduardo Saitta, stiamo già programmando la stagione della riapertura. Ho poi un paio di progetti personali che coinvolgeranno i giovani. E vorrei dedicare ancor più tempo all’insegnamento”.

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