Cultura

Il poeta cristiano spagnolo Aurelio Prudenzio Clemente nacque nel 348 a Callagurris, nella Spagna Tarraconese, da nobile famiglia cristiana. Egli, secondo la tradizione romana, studiò retorica e diritto, seguendo poi un percorso professionale come avvocato e vicarius della provincia. Verso i cinquant’anni, spinto dal fervore religioso, tardivamente recuperato, si dedicò alla poesia religiosa con il fine di tessere le lodi di Dio che dovevano procurargli il paradiso.

Nelle sue opere Prudenzio ricorda costantemente i due apostoli martiri insieme pur distinti nella loro essenza.  Pietro, il primo degli apostoli, costituito da Gesù capo della sua Chiesa e detentore delle chiavi del paradiso quale primo pontefice, e Paolo, l’apostolo che diffuse il cristianesimo tra le genti. Essi insieme costituiscono un unico canale di Grazia che assicura alla Chiesa la vittoria contro i pagani e l’unità contro le eresie: <<Di questa speranza noi possediamo due garanti fedelissimi, cioè i Principi degli Apostoli che già qui regnano: uno è l’Apostolo dei Gentili; l’altro siede sulla prima cattedra, per questo chiude le porte dell’eternità che gli sono state affidate. Vattene, Giove adultero … lascia Roma libera e fuggi dal popolo che ormai appartiene a Cristo! Paolo ti bandisce da qui, il sangue di Pietro ti scaccia; il crimine che ha commesso Nerone… ti condanna>> (Prudenzio, Corone dei martiri, II,114-117, Città Nuova editrice, Roma 2009). <<Mentre il popolo affezionato accompagnava (Ippolito di Roma al martirio) in folla lungo il tragitto, gli chiesero quale fosse la Chiesa migliore, e lui rispose: <<Fuggite, sventurati, l’esecrabile scisma di Novato, e riunitevi al popolo cattolico!   Valga una sola fede, quella fondata nel tempio antico, posseduta da Paolo e custodita da Pietro>> (Corone dei martiri,  XI, 14-16).

I santi Pietro e Paolo
Vetro dorato – IV sec.
Museo Sacro – Biblioteca Apostolica Vaticana

Anche nei brevi epigrammi del Dittochaeon, che nel titolo allude al <<Doppio nutrimento>, che è una raccolta di 48 brevissimi componimenti che illustrano in due serie ugual, altrettanti episodi   dell’Antico e del Nuovo Testamento, Prudenzio ricorda i due Apostoli l’uno dopo l’altro, con poteri analoghi che pervengono loro da Cristo: <<Paolo, una volta lupo rapace, si coprì di vello delicato allorché, toltagli la luce, quel che era stato Saul divenne Paolo. Appena acquistò la vista divenne apostolo e maestro dei popoli, potendo tramutare con la sua parola i corvi in colombe>> (Dittoch., XLVIII). <<In nome di Cristo ordina allo zoppo di camminare ed è Cristo che ordina allo stesso Pietro di cibarsi di ogni specie di animali contro i pregiudizi giudaici, di considerare omnia munda  e di accogliere nella Chiesa i Gentili>> (Dittoch., XLVI; XLVII).

 

Gli attributi salienti dei due apostoli  nell’opera prudenziana  costituiscono un armonico ed esauriente  quadro d’insieme, in cui non viene tralasciato  neanche l’accenno all’umana debolezza di Pietro: <<Quale sia il significato del gallo lo indica il Salvatore a Pietro, avvertendolo che il gallo avrebbe cantato tre volte prima che l’apostolo lo rinnegasse>>. <<La colpa infatti è stata commessa prima che l’araldo del giorno imminente rischiarasse l’umanità e portasse con sé la fine del peccato>> (Prud. Inni quot. I.13-14). A giustificare l’Apostolo, Prudenzio ricorre ad una argomentazione accolta da Agostino d’Ippona che scrive: Pietro <<Quel negatore alla fine scoppiò in pianto, il peccato scivolò dalla sua bocca, ma la mente rimaneva innocente e l’anima conservava la fede>> (cfr. Agost. Contro la menzogna, 6,13). Il poeta riesce a suscitare anche una benevola comprensione per la debole fede di Pietro allorché racconta con tanta umanità l’episodio in cui l’apostolo, invitato da Cristo a camminare sulle acque, non ha piena fiducia e sarebbe annegato senza l’aiuto di Cristo: <<Pietro tende supplichevoli le mani e chiede l’aiuto già provato. Cristo annuendo gli ordina dolcemente di saltare giù dalla barca. Pietro ubbidisce all’ordine ma appena aveva toccato con i piedi la superfice dell’acqua con passo mal sicuro e già il piede vacillante cominciava a sprofondarsi nell’acqua. Dio rimprovera il mortale perché è di così debole fede né  è capace di camminare sulle acque né di seguire Cristo. Allora solleva con la mano il discepolo e gli insegna a muoversi sul dorso spumeggiante del mare>> (Prud. Contro Simmaco, II, pref. 28-43). E’ la sola volta in cui è ricordato un solo apostolo, Pietro, perché non si riscontra in Paolo di Tarso analoga debolezza. Per il resto, anche se Prudenzio ha occasione di fermarsi a lungo su uno degli apostoli non tralascia di accennare all’altro apostolo, come avviene nella Corona dei martiri dedicata alla Passione di Cipriano di Cartagine: <<La terra punica generò colui che diffuse ovunque il suo splendore, Cipriano, lì nato ma divenuto poi gloria e maestro del mondo!… Rivelaci, Padre, da dove hai inviato alla terra un bene tanto inaspettato!  Mancava agli scritti apostolici un valido commentatore. Così Dio sceglie una ricca eloquenza per istruire il mondo e spiegare fedelmente i libri di Paolo, perché gli animi ancora immaturi degli uomini venissero educati e conoscessero meglio l’opera del timore, i misteri e i profondi arcani di Cristo>> (Corona dei martiri, XIII,1-2).

La lucerna in bronzo del IV sec. ritrovata a Roma presso la Basilica di Santo Stefano Rotondo al Celio rappresenta una nave simbolo della Chiesa – Museo Archeologico Nazionale di Firenze. La lucerna porta scritto: <> dalla quale si deduce che il proprietario sia stato Valerio Severo padre di Valerio Piniano, suocero di Melania e già prefetto di Roma

 L’insostituibile opera mediatrice di Paolo  tra Cristo e gli uomini e la sua efficacia nell’addolcire i cuori umani viene ricordata con analoghe espressioni nella breve ed incisiva presentazione che Prudenzio fa di Paolo nella praefatio al I libro del Contro Simmaco: <<Paolo, araldo di Dio, per primo ha domato con la sacra penna i cuori feroci dei Gentili, disseminando Cristo con la dolce dottrina attraverso popoli resi feroci da culti selvaggi, affinché la crudele gente pagana, conosciuto Dio, tenesse in disprezzo i propri culti…>> (Prud., Contro Simm., I, praef., 1-6).

 Le due “prefazioni” ai due libri del Contro Simmaco ne chiariscono il significato ed hanno un grade valore per intendere l’interpretazione prudenziana delle figure dei due apostoli. Prudenzio infatti ha scelto in tali prefazioni i due episodi della vita di Pietro e di Paolo perché contengono un tempestoso viaggio per mare (At 28,3-6; Mt 4,8; 10,2), che permette al poeta la rielaborazione dell’antica allegoria della nave che simboleggia la Chiesa e di presentare in un unico piano concettuale e temporale le origini della Chiesa e le vicende della polemica con il potente prefetto di Roma  Quinto Aurelio Simmaco (340 ca. – 402 ca. ), considerato il più importante oratore del suo tempo paragonato dai contemporanei a Marco Tullio Cicerone (106 a.C. – 43 a.C). La famosa richiesta di Simmaco  e dei senatori pagani all’imperatore Teodosio di ricollocare l’Ara della Vittoria nel Senato romano fu fallimentare.

 

 La nave quale simbolo della Chiesa era stata introdotta per la prima volta da Tertulliano (155 ca. – 230 ca.): <<.Del resto quella barca prefigurava la Chiesa che nel mare, cioè nel mondo, è agitata dai flutti, cioè dalle persecuzioni e dalle tentazioni mentre il Signore sembra dormire, finché alla fine, svegliato dalle preghiere dei santi,  non domini il mondo e restituisce la pace ai suoi >> (De bapt. XII,7).

 

L’allegoria andò di seguito arricchendosi di elementi metaforici. Nel Protreptico ai Greci di Clemente Alessandrino (150 ca. – 215 ca.), gli uomini sono detti <<compagni di navigazione>>, il Verbo è il Pilota che conduce verso il porto, il paradiso, superando i flutti delle consuetudini (cfr. XII). In Ippolito di Roma si ha già <<l’allégorie catéchétiqué de l’Eglise>> in cui entrano elementi delle elaborazioni ellenistiche riconfermando <<un exemple de plus de l’adoption d’une image judeo chretienne a un usage hellenistique>>  (J. Danielou, Les symboles chrétiens primititifs, Paris 1961, p. 76). L’insigne studioso francese di Storia del Cristianesimo Antico, card. J. Danielou  si è limitato  a rilevare l’influsso ellenistico della nave come simbolo dello Stato; viceversa il mondo ellenistico e quello romano hanno introdotto nel simbolo  cristiano della nave elementi complessi determinati da varie correnti  di pensiero e dai dibattiti teologici e filosofici di varia natura.

 

Il viaggio di Pietro e di Paolo sulla <<cattolica nave>> si svolge sulla linea ideale del viaggio di Enea in fuga da Troia in fiamme. Si va così enucleando attraverso un dialogo con gli scrittori classici e cristiani, una originale concezione cristiana della missione provvidenziale di Roma, con il particolare intento di conciliare la pietas e la fiducia nella Roma di Virgilio con la pistis e la sfiducia temporale di Paolo e di accettare tra le concezioni stoiche ed epicuree quelle conciliabili con il messaggio di Cristo e sottolineare i contrasti insanabili. L’uomo felice – scrive Prudenzio richiamando e completando il pensiero di Lucrezio e di Virgilio – è colui che scruta il mistero dell’universo e che armonizza la propria vita con il ritmo del cosmo ma che sappia anche coltivare il proprio spirito con i precetti di Cristo (cfr. C. Simm., II,1020-1023).

Possibile ritratto di Simmaco, dal dittico dell’apoteosi al British Museum Londra

Per quanto Prudenzio cerchi di equilibrare la ratio con la fides, nel suo poema ha il sopravvento  l’influsso della concezione paolina dell’incapacità della mente umana a reggersi da sola senza l’aiuto di Dio: <<Se una natura troppo debole tenta di lanciare gli sguardi suoi ambiziosi e di penetrare i misteri del sommo Dio, chi può dubitare che la sua debolezza, che il vigore del suo pensiero, del suo piccolo essere sarà sconvolto e soccomberà al peso delle meditazioni superiori alle proprie forze?>> (C. Simm., II, 90-103).

 

Seguendo il precetto paolino, Prudenzio afferma che solo chi è puro di cuore può avere la visione della verità, luce di Dio; solo chi ha, come Pietro, la Grazia di Cristo può affrontare le tempeste e le tenebre paurose della vita.

<<Così la mia lingua petulante mi trasse fuori dal silenzio che mi apprestava sicurezza, gettando tra i pericoli me che non posso confidare come il discepolo di Cristo nei meriti e nella fede, giacché i miei peccati che non danno requie mi traggono naufragio senza sostegno tra i flutti. Sono veramente temerario, io, che consapevole della notte che vivo tra le tenebre non temo di affidare la mia nave ai flutti di un uomo così grande, di cui nessuno è più eloquente>> (C. Simm., II,44-56).     

Nel viaggio tempestoso di Pietro e Paolo emergono continuamente immagini e termini lucreziani e virgiliani, che dipingono i naufraghi come personaggi lucreziani e virgiliani abbandonati a sé stessi in un mondo ostile e pauroso. L’immagine della tempesta nella navigazione di Pietro e Paolo solo nelle linee generali è modellata sulle fonti scritturali, ma il suo riposto significato si collega alla poesia di Lucrezio e di Virgilio.

 

Gli Atti degli Apostoli raccontano i particolari del naufragio, senza introdurre l’intervento di Dio: <<Ma essendo incappati in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di spaccarsi sotto la violenza delle onde. I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto, diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiungessero la terra; poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra>> (At 27,41-44). Prudenzio descrive la tempesta  attraverso immagini e termini lucreziani, che  dipingono il mondo come dominato dalla natura matrigna e fa intervenire la mano misericordiosa di Dio per sostituire  appunto alla concezione  del cosmo epicureo    quello cristiano, dominato dalla Provvidenza: << Paolo aveva gìà affrontato con una debole barca il mare in tempesta e la violenza sterminatrice di navi, ma avendo la  mano del Signore comandato  che si acquietassero  i conflitti del cerulo vortice, la piccola barca ritornò in porto correndo lieve e depose sull’umida spiaggia del lido i suoi remiganti rattrappiti dalla gelida pioggia>> (C. Simm., I, pref., 7-14).

            Nel descrivere l’intervento delle cose visibili e delle invisibili nelle vicende umane, Prudenzio non ha una stretta coerenza. Le nubi sollevate dalla lettura di Lucrezio e di Virgilio oscurano talora la sua visione del potere assoluto di Dio, come se Dio stesso dovesse lottare contro il Fato: <<Nihil sunt fatalia, o, si sunt aliqua, opposito vanescunt irrita Christo>> (C. Simm., II, 486-487).

San Pietro cammina sulle acque
Alessandro Allori 1607 – Galleria degli Uffizi Firenze

Da una siffatta concezione scaturisce nella poesia prudenziana un senso di mistero che la rende così vicina all’anima moderna. Dal senso di mistero, oltre che dalla carità cristiana, nasce l’apertura di mente e di cuore di Prudenzio, modellata sul pensiero paolino e sul discorso dell’Aeropago di Atene in particolare (At 17,16-34), che viene richiamato nel breve profilo che il poeta dà all’apostolo.  Che Prudenzio avesse voluto mettere in rilievo nella prefazione la vocazione paolina ad accorciare le distanze tra paganesimo e cristianesimo si ricava anche dal fatto singolare che il nostro poeta descrive con termini e immagini virgiliani Paolo che, morso dalla vipera, si volge al cielo: <<Ad tollens sidera suspicit, ter sese attollens cubitoque adnixa levavit, ter revoluta toro est oculisque, errantibus alto quaesivit caelo lucem ingemuitque reperta>> (C. Simm., I, pref., 35) Il misticismo di Paolo che, si immedesima con tutte le creature, con i loro errori e con i loro peccati, sta alla radice non solo dello svolgimento del dialogo con  Simmaco ma nelle stesse immagini e nei termini prudenziani.

 

Paolo e i suoi compagni naufraghi sulle rive di Malta raccolgono aridi tralci di vite per riscaldarsi e asciugarsi. La vite, nella simbologia paleocristiana rappresenta Gesù ed anche la Chiesa, i tralci aridi nella poesia prudenziana sono gli eretici, essi sono chiamati con il termine evangelico palmites, cioè tralci, ma viene aggiunto il termine virgiliano bracchia, cioè braccia, che rende con maggiore intensità il dolore della Chiesa nel separarsi dagli eretici, parte viva del proprio corpo: <<Tunc de litoreis saepibus algidi arentum propere bracchia palmitum  convectant, rapidos unde focos struant>> (C. Simm., I, pref. 15-18). La spinta verso l’Unità, immagine di Dio, e verso la Verità, ovunque essa si trovi, che è alla radice della poesia prudenziana, è ispirata spesso alle affermazioni paoline: <<In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!>> (Fil 4,8-9).

 

La carità paolina, che abbraccia ogni errore e ogni peccato, suggerisce nei due episodi la particolare rappresentazione del male che viene menzionato con il termine impetus  e dipinto come una cieca forza cosmica che solleva le onde del mare nelle tempeste, dà il veleno alle vipere e anima l’inconscio slancio oratorio di Simmaco. E come nessuno può nutrire odio per il male che arreca il mare inconsapevole, altrettanto avviene per Simmaco che spirat sacrilegis flatibus >>  (C. Simm., pref., I, 77).

 

Simmaco stesso viene identificato ora con l’immagine della vipera che, al pari del mare, è piuttosto strumento che artefice del male: <<La vipera con novella speranza cominciò a muoversi tortuosamente. Ma la mano di (Paolo) rese vano il soffio velenoso della bocca eloquente, il veleno dell’ingegno fu emesso invano>> (C. Simm., I, pref,, 74-77). Simmaco <<esulta, freme, tuona, diviene tempestoso, mosso dai venti dell’eloquenza e sarebbe facile per lui far naufragare me che non so condurre la mia barca>> (C. Simm., I, pr, 57-60). Il poeta, mosso da tale carità evangelica e paolina, chiude le due prefazioni invocando Cristo perché venga tratto in salvo non solo lui, ma anche il suo avversario, Simmaco: <<Salvatore della stirpe romulea, ti supplico tu che concedi il perdono a tutti coloro che sono in procinto di perdersi, tu che non ricusi di salvare con la mano tua sollecita nel soccorrere ogni mortale, tua creatura, abbi pietà, se è possibile, di codesto uomo (Simmaco) che corre verso il baratro del precipizio. Egli, senza averne coscienza, spira sacrileghi soffi, fomenta i suoi errori, chiuso ai richiami. Ti supplico, ordina che il suo rapido slancio non lo trascini a bruciarsi un mezzo alle fiamme>> (C. Simm., I, pref., 80-89).

Crocifissione di san Pietro, Mosaico XII sec. Duomo di Monreale

Al pari degli altri scrittori paleocristiani Prudenzio è ispirato da una sovrumana forza, per cui la sua poesia ha l’accento della preghiera. Il visibile e l’invisibile sono evocati costantemente per costruire in terra la città di Dio, per condurre in porto la nave della Chiesa, che porta verso Dio gli uomini. A volte i suoi versi hanno il vigore dantesco come se egli volesse spiegare con la forza del suo spirito, nutrito da Dio, gli eventi e costruire visioni paragmatiche in cui si possano vedere riflessi i propri problemi mortali che si susseguono nel misterioso e angoscioso viaggio terreno. Egli vide un nesso inscindibile tra il cammino degli uomini e quello della Chiesa, e perciò le descrizioni delle tempeste che assaltano la nave della Chiesa sono tra le più convulse del poema, poiché il poeta vedeva, nel pericolo che minacciava il cristianesimo, vacillare la sua fede nel trionfo della saggezza e della redenzione umana. Che Prudenzio avesse compreso l’essenza creativa ed originale dei due Apostoli si scorge non solo dal continuo influsso che egli subisce nella sua fantasia e nel suo pensiero, ma anche dal fatto singolare che egli vede ancorata la salvezza della Chiesa e dell’umanità nei due Apostoli: il vacillare della nave cattolica è anche minaccia all’opera di Paolo: <<Heu! Quam catholicam nil prope profuit puppem nasse sacri remigio stili, quem Paulus variis gentibus edidit>> (C. Simm., I pref., 59-61).

 

E così la salvezza di Roma cristiana è ancorata alla presenza della tomba di Pietro, che Cristo ha lasciato come garanzia sulla terra e alla quale accorre in folla la povera gente. In tali casi emerge uno spirito profetico che veramente scuote la nostra mente e il nostro cuore. Nelle presenti angosciose ore, nelle quali sembra che la nave dell’umanità debba sprofondare negli abissi degli errori, il messaggio prudenziano porta a noi una salda speranza nella missione ecumenica unificatrice e redentrice della Chiesa: <<Tutto il popolo che dimora nelle soffitte, che per svolgere le proprie faccende calpesta il nero selciato delle strade, accorre alla tomba posta sotto il mondo Vaticano, dove è racchiusa l’insigne cenere, pegno dell’amore del Padre, accorre a gran folla ala Basilica del Laterano, per riportare a casa il sacro del regale crisma. E noi dubitiamo ancora, o Cristo, che Roma sia a te consacrata e sia passata alle tue leggi, e che sia decisa con tutto il popolo e con i più insigni suoi cittadini ad estendere il suo segno al di sopra delle ardue stelle dell’immenso cielo?>> (C. Simm., I, 579-590).<<Potresti vedere i Padri, i magnifici luminari del mondo, esultare, il consenso dei vecchi Catoni ardere dal desiderio di deporre gli abiti pontificali e rivestire più bianca toga, la candida veste della pietà cristiana>> (C. Simm., I, 544-547).<<Non esiste unione degna di Cristo, se un’unica volontà non unisca i popoli legati tra di loro. La sola concordia può avere conoscenza di Dio, essa sola nella sua tranquillità venera come si conviene il Padre benigno: La placida convivenza degli uomini nella concordia rende propizio al mondo Dio. Le discordie tra gli uomini lo allontanano, le feroci armi lo esasperano, mentre Egli trae gioia dal dono della pace, e viene trattenuto dalla serenità che sorge dalla religione>> (C. Simm., II, 590-597).

 

Prudenzio fu definito <<il Virgilio e l’Orazio dei cristiani>>, e questa definizione dette origine ad un luogo comune, che voleva i cristiani innovatori nei contenuti, ma conservatori nella forma. In realtà la critica recente ha compreso che Prudenzio è un tipico rappresentante della cultura tardoantica, la quale sia in ambito pagano che in ambito cristiano “reinventava” i classici, proponendosi di emularli. L’insigne studioso francese di Lingua e Letteratura Latina Jaques Fontaine (1922-2015), ribadendo la difficoltà di giudicare un’epoca come quella tardoantica, paragona l’arte dell’età teodosiana a quella della Spagna barocca, e fa rilevare che nel XVII secolo, nel pieno trionfo della Controriforma, lo spagnolo Prudenzio era il poeta più letto e più amato. Non sembra un caso neppure che medesimo sia il gusto per l’immagine e l’elemento visivo.

 

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

Già Cultore di Letteratura Cristiana Antica

nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

           

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post