Intervista con...

Negli ultimi anni la riscoperta dei sapori, legati alle antiche tradizioni gastronomiche e culturali, di un paese ricchissimo di prodotti genuini ed unici, ha rilanciato la voglia degli italiani di bere e mangiar bene, stanchi del logorio della vita moderna che ha prodotto effetti devastanti, costringendoli ad orari sballati, ingorghi caotici, giornate snervanti condite solo da tazzine di caffè espresso ed orrendi snack tappabuchi, autentico cibo spazzatura.

Molte rimangono le curiosità che ognuno di noi vorrebbe approfondire magari chiedendo lumi proprio a coloro che sono stati capaci di far diventare professione una passione.  In tal senso la crescita e diffusione di un prodotto come la birra artigianale che continua a trovare nuovi spazi ed appassionati degustatori, grazie anche al ritrovato piacere di assaporare i sapori genuini, ha rilanciato un settore particolare quello brassicolo, legato al territorio di produzione, suggerendo a milioni di “cultori del gusto” di scegliere proprio la birra artigianale per la sua capacità di offrire una qualità decisamente superiore ed inimitabile. Offrendo in tal modo anche l’opportunità di scoprire produzioni anche a “Km 0” di altissimo livello legate alle nostre città ricche di storia, arte e cultura. Esempio di recente creazione è la “Una Beer”, nata per “magia” e casualità a Biancavilla, in territorio etneo, grazie all’intuito ed all’entusiasmo di due giovani imprenditori, Vincenzo Randazzo (classe 85) ed Enzo Costanzo (classe 89), che hanno da poco iniziato produzione e distribuzione del loro marchio.

Vincenzo Randazzo e Vincenzo Costanzo, produttori del marchio Una Beer

Dal piacere di conoscerli ed incontrarli è nata la serie di domande che abbiamo rivolto per approfondire il tema legato all’artigianalità della produzione birraria in una terra a vocazione vitivinicola come la Sicilia scommettendo su qualità e rischio imprenditoriale.

 

Da quali origini e tradizioni nasce la UNA BEER, quale percorso avete seguito per ottenere i primi risultati positivi, da cosa traete ispirazione quando create le nuove “ricette”?

Si può tranquillamente affermare che la storia di UNA BEER trova le sue origini nella casualità e nella voglia di valorizzare prodotti e territorio siciliano. Una sera ci trovavamo ad una cena di lavoro, insieme ad un cliente che aveva portato con se un amico, che scopriamo tra una portata e l’altra, essere un noto mastro birraio siciliano. La curiosità ci spinge presto a studiare il mercato della birra artigianale, ed invogliati da questo crescente fenomeno, decidiamo dopo qualche mese di incontrare il mastro birraio, per approfondire la conoscenza del settore.

Dopo alcuni studi statistici sui consumi, concentriamo l’attenzione su due tipologie di birra: una bionda al miele e una rossa sullo stile delle belgian amber ale.

Il mastro birraio inizia a preparare alcune alternative, mentre noi iniziamo a lavorare sul brand aziendale, ideando logo e brand name. Fedeli alle nostre origini siciliane, decidiamo di dare un imprinting preciso all’etichetta, ispirata per l’appunto ai disegni dei vecchi carretti siciliani e sviluppata nello specifico da MIEKO LAB.

Il nome invece è il risultato dell’acronimo: unica, naturale artigianale, ma vuole creare allo stesso tempo un’associazione di marca, legata al gergo parlato, con l’obiettivo oltretutto di sdoganare il mito della birra, legato ad un consumo prettamente maschile. Non a caso il nostro logo richiama infatti una sagoma femminile.

Per quanto riguarda le ricette, abbiamo deciso di ispirarci a quelle della tradizione belga, incrociata allo studio e all’utilizzo delle eccellenti materie prime siciliane.

A quale tipo di clientela si rivolge la vostra produzione brassicola, attualmente basata su tre diverse tipologie, Blond Ale, Cream Ale e Belgian Amber Ale?

La scelta di iniziare con la produzione di queste tre specifiche tipologie, è legata alla volontà di scoprire la potenzialità del settore, cercando di differenziare la produzione sulla base di alcuni specifici consumi comuni.

La cream ale è infatti diretta a chi cerca una birra più beverina, semplice e soprattutto dissetante, distinguendosi comunque dalle classiche bionde, grazie all’utilizzo del miele di sulla di ape nera sicula.

La belgian amber ale si dirige ad un pubblico più pronto, che cerca non solo una birra da abbinare ad un pasto, ma un momento per assaporare nuovi aromi e sapori.

Infine l’ultima scelta è ricaduta sulla 5 cereali, rivolta ad un target più di nicchia, che con il suo persistente retrogusto amaro, ha raccolto fin da subito il buon esito di diversi intenditori.

Differenziando in tal modo gusti e tipologie, speriamo di avere ben presto dei dati personali sulle tendenze dei consumatori, per poter lanciare nuove tipologie, su un mercato già consolidato.

Cosa pensate della filiera corta agroalimentare, ritenete possa contribuire a migliorare realmente la qualità dei cibi e delle bevande che arrivano ogni giorno sulle nostre tavole?

Lo sviluppo della filiera corta è un processo iniziato già da diversi anni in Italia, e figlio dei malsani effetti prodotti dalla globalizzazione. La grande distribuzione ha reso indubbiamente più semplice l’accesso agli approvvigionamenti, producendo però allo stesso tempo una drastica diminuzione della qualità globale dei beni.

Una parte dei consumatori, si trova oggi in contrasto con queste nuove modalità di scambio economico, ricercando tale qualità nei prodotti bio, a km 0, e così via.

In questo perfetto scenario si introduce anche il mercato della birra artigianale, un prodotto sempre più apprezzato dagli amanti di questa secolare bevanda. Lo scambio commerciale in questo settore avviene spesso dal produttore al consumatore, come nel nostro caso, in cui abbiamo appositamente deciso di non avvalerci momentaneamente dell’ausilio di nessun distributore, legandoci personalmente al mercato e alla logistica territoriale, per poter raccogliere pregi e difetti delle nostre birre.

La filiera corta ha quindi, secondo noi, raggiunto già i consensi di alcuni consumatori, anche se si tratta ancora di un piccolo target che a nostro modesto parere registrerà negli anni un trend crescente. Anche la grande distribuzione si è accorta di questo fenomeno, riservando specifici spazi a queste tipologie di prodotti. Tuttavia crediamo che alla lunga i prodotti inseriti nella grande distribuzione, finiranno per essere inglobati nella contaminazione dei cicli industriali, perdendo di fatto i vantaggi qualitativi creati dalla filiera corta.

La scelta di produrre una tipologia di birra ai 5 cereali risulta piuttosto innovativa, cosa vi ha spinto in tale direzione?

Dopo aver sviluppato le prime due ricette (cream ale e belgian amber ale) sentivamo che mancava qualcosa, volevamo distinguerci all’interno di un settore estremamente concorrenziale con un prodotto innovativo, uscendo dagli stili standardizzati, così insieme al mastro birraio abbiamo deciso di creare un prodotto al di fuori delle categorie esistenti, sfruttando anche il crescente utilizzo dei prodotti ai 5 cereali che stanno invadendo il settore agroalimentare, innalzandone la qualità. A tale scopo abbiamo deciso di integrare insieme i seguenti cereali: orzo, mais, avena frumento e riso. Inserendone nel processo di produzione una percentuale a crudo, priva di qualsiasi tipo di tostatura. Infine coerenti alla volontà di valorizzare il nostro territorio, abbiamo deciso di integrare i luppoli con la scorza di arancia amara, ottenendo un retrogusto amarognolo molto apprezzato.

Su quali azioni di tipo info/pubblicitario ritenete si debba operare per modificare la cultura della birra artigianale?

Ad oggi ci sono diversi strumenti pubblicitari che stanno spingendo verso l’alto il fenomeno della birra artigianale, che fino a qualche anno fa era totalmente sconosciuto in Italia. Dai beer festival, agli eventi organizzati dagli stessi ristoratori. Purtroppo il livello di conoscenza all’interno del settore rimane ancora basso e c’è tanto da lavorare per colmare tali ignoranze, una tra tutte quella che spinge molti consumatori a paragonare le birre industriali a quelle artigianali, paragonando di fatto due bevande totalmente differenti e disprezzandole nella maggior parte dei casi in funzione dei diversi ed ovvi livelli di prezzo.

In questo attuale sistema crediamo che il lavoro principale debba essere fatto proprio dai produttori e dai beer firm, che devono motivare le differenze esistenti, spiegando bene i processi di nascita e produzione delle varie birre. D’altro canto i ristoratori devono essere pronti a tali incontri e a recepire alcune nozioni per poi poterle ben presentare in fase di scelta ai propri clienti.

In linea strettamente personale ci impegneremo a spingere la cultura della birra artigianale tramite focus ad hoc ed eventi organizzati dove le nostre birre verranno presentate con degli accostamenti gastronomici tipici della cultura siciliana, cercando di associare questo innovativo fenomeno a quello probabilmente più famoso tra i settori del “Made In Sicily”, quello agroalimentare.

Infine ci auspichiamo di poter ricevere presto il consenso degli altri produttori di birra artigianale per poter creare degli eventi associati che possano far crescere il settore nel suo insieme, aldilà dei comportamenti concorrenziali, innalzando il livello culturale dei consumi di birra artigianale.

Quanto è complesso creare un prodotto di qualità con i prodotti della nostra tradizione isolana?

Crediamo non sia così complesso creare dei prodotti qualitativi con i frutti e beni della nostra tradizione isolana. Al contrario pensiamo che sia anche abbastanza semplice grazie all’altissimo e variegato livello di materie prime. Riteniamo spesso più difficile far apprezzare un prodotto più caro giustificato da un maggior livello qualitativo, in quanto troppo spesso viene inquadrato solo come prodotto di nicchia. Questo non è necessariamente vero, come nel caso della tradizione brassicola.

La birra è notoriamente un bene di uso comune e di consumo generalizzato, ma soprattutto in una prima fase il maggior costo correva il rischio di catalogarla come bene di nicchia. Mito che si è fortunatamente sfatato fin da subito, tralasciando comunque ancora qualche dubbio tra una parte dei consumatori. Detto questo ci riteniamo molto fortunati nel poter lavorare e usufruire delle materie prime siciliane.

Quanto dovrebbe essere importante per l’industria informare correttamente il consumatore sull’esatta composizione dei prodotti in vendita?

Crediamo che l’informazione avanzata dai grandi colossi industriali sia alla base della formazione dei consumatori, grazie all’elevato livello espositivo di cui dispongono. Purtroppo invece, accade spesso il contrario, ovvero che questa informazione venga appositamente influenzata sulla base delle convenienze personali o di mercato. Rimanendo nel nostro settore, il caso tipico è quello della fuorviante informazione del “doppio malto”. Una disciplina del 1962, impone ai produttori di apporre sull’etichetta la dicitura “doppio malto” (per questioni fiscali e tributarie) in quelle birre in cui il plato risulti superiore ai 14,5°P. Questa dicitura è stata invece utilizzata fin da subito come strategico strumento di marketing, influenzando negativamente e in maniera errata la conoscenza dei consumatori, che vedono oggi nella “doppio malto” una categorie di birra, o ancora più erroneamente una birra in cui viene utilizzato il doppio del malto o due tipi di malto. Nulla di più sbagliato, eppure i produttori industriali hanno cavalcato presto l’onda, capitalizzando nuovi livelli di reddito, su un’errata interpretazione dei consumatori, che continua imperterrita a proliferare.

 Come si possono accoppiare le vostre birre con le ricette tipiche della gastronomia siciliana?

Questa è una bella domanda, e le risposte possono essere molteplici. Come anticipato stiamo lavorando ad un evento che accoppi le nostre birre a diversi eventi degustativi. Se dobbiamo pensare alla cucina tipica siciliana, rispondendo d’impulso potremmo avanzare i seguenti accostamenti gastronomici:

  • Una bionda: frittura di paranza, pane e panelle, pasta alla norma
  • Una rossa: caponata siciliana, tagliata di tonno in agrodolce, filetto di cavallo
  • Una 5 cereali: pasta sarde e finocchietto selvatico, arancino, busiate al pesto trapanese.

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