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Andrea di Creta, (nella foto un antico affresco) che nacque verso il 660 a Damasco, fu dapprima monaco a Gerusalemme nel monastero del Santo Sepolcro, dove rimase fino a quando, nel 685, fu mandato presso l’imperatore Costantino IV Pogonato (652 ca.-685), cioè il “barbuto”, per portare l’adesione del patriarcato di Gerusalemme alle decisioni del III Concilio ecumenico (681). Andrea, che a 25 anni si stabilì a Costantinopoli dove venne ordinato diacono per la chiesa di Santa Sofia, verso la fine del VII sec. o all’inizio dell’VIII, fu nominato vescovo di Gortyna, nell’isola di Creta.

Mentre era metropolita di Creta, Andrea, cedendo alle ingiunzioni dell’imperatore Filippico Bardane (711-713), nel 712 sottoscrisse la professione di fede monotelica in cui si affermava che in Cristo vi era un’unica volontà, quella divina, fede che egli fino ad allora aveva combattuto, condannando, nello stesso tempo, anche le deliberazioni del III Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681), che affermavano che in Cristo <<vi sono due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente e senza confusione…. I due voleri naturali non sono, come dicono gli empi eretici, in contrasto fra loro, tutt’altro. Ma il volere umano è subordinato… si sottopone… al volere divino e onnipotente». Ma,  dopo la morte dell’imperatore Filippico Bardane, avvenuta  il 3 giugno 713, il vescovo Andrea tornò alle definizioni dogmatiche del VI Concilio Ecumenico (680681), che era stato convocato dall’imperatore Costantino IV Pogonato per contrastare l’eresia del monotelismo. La vicenda è da lui stesso raccontata in una composizione di 128 giambi rivolti al diacono Agatone.

Negli anni seguenti, il vescovo Andrea, che difese il culto delle immagini, opponendosi energicamente al decreto dell’imperatore iconoclasta Leone III Isaurico (714-741), è anche l’autore più antico, a nostra conoscenza, che abbia usato una particolare forma di inno sacro detta canone  e il principale rappresentante di questo genere. Di Andrea ci sono giunti vari canoni sull’Annunciazione, sulla nascita di Maria, su Lazzaro, ecc., ma il più importante  è il Mègas kanon   (Grande Canone), un canto penitenziale di 250 tropari che rievoca i principali eventi  dell’Antico Testamento e la vita di Gesù; ancora oggi, viene cantato nella liturgia orientale durante la quaresima. Di Andrea  ci sono giunti anche 50 pregevoli panegirici e omelie, specie in onore della Vergine Maria. Egli è uno dei più antichi autori che, per esaltare la Vergine Maria, ha usato le espressioni: «concezione santa» e «nascita immacolata».

La Madonna delle Grazie che si venera nella Cappella omonima di Catania attribuita a Francesco Gramignani 1785-1839

Nell’omelia per la festa del genetliaco  della Santissima Madre di Dio, il vescovo Andrea dice: <<Oggi il genere umano recupera il carisma della primitiva creazione divina in tutto lo splendore della sua nobiltà e ritrova se stesso. L’abiezione del male l’aveva oscurato, ma ora la natura, tutta rivolta alla Madre della grazia che viene alla luce, riceve di nuovo la sua nobiltà in una creatura perfetta e degna di Dio. La creazione di un tempo diventa essenzialmente una creazione nuova, la creazione nuova una divinizzazione, e questa una assimilazione al primo principio… La prima formazione dell’uomo era stata fatta con della terra pura e immacolata, ma il genere umano rovinò la grandezza che gli era congenita: fu quindi spogliato della grazia per la caduta della disobbedienza. A causa del nostro peccato, siamo stati scacciati dalla terra che dona la vita. La natura umana ha preferito alle delizie del paradiso una vita mortale e l’ha tramandata fino a noi come un’eredità paterna. Da lei ebbe origine la morte e con essa la distruzione della stirpe umana. Da allora tutti abbiamo preferito le realtà della terra a quelle del cielo e ci è stata negata ogni speranza di salvezza. La nostra natura aveva bisogno di un aiuto dall’alto. Non vi era legge alcuna che potesse sanare la nostra infermità: non la legge naturale, non quella scritta, non la parola infuocata dei profeti che spingeva alla riconciliazione. Nessuno era in grado di portare rimedio alla natura dell’uomo. Nessuno che la potesse, con facilità e prontezza, riportare allo splendore primitivo. Piacque allora a Dio, il buon artefice di ogni cosa, rivelare un altro mondo, tutto pieno di armonia e interamente nuovo. Volle infine arrestare l’irruzione del peccato che ci aveva invasi, portandoci alla morte.

A noi, ricreati dal battesimo della rigenerazione divina, Egli offrì, nel suo amore, una vita nuova, libera e, per natura, immune dal peccato. Ma come doveva pervenire a noi un tal dono, per sua natura immenso, eccezionale, veramente grande nel piano divino? Non forse tramite la manifestazione di Dio fatto carne, nella sua sottomissione alle leggi della natura, nel suo accondiscendere meraviglioso ad essere come uno di noi, adattandosi al nostro modo di pensare? E in qual modo questo disegno doveva essere condotto a termine, se non per mezzo di una vergine pura, che, dopo aver accettato di servire al mistero, portò nel suo grembo il Dio che trascende ogni cosa, per una legge superiore a tutte le leggi della natura? E si sarebbe potuto pensare un’altra fanciulla all’infuori di quella sola, che era stata scelta dal Creatore di ogni cosa ancor prima di tutte le generazioni? Questa vergine è Maria, la Madre di Dio, chiamata così dall’Altissimo: dal suo seno uscì Dio immenso, rivestito di carne ed egli stesso la scelse per sé, come suo tempio, plasmandola soprannaturalmente… Il Salvatore del genere umano voleva dare alla luce una nuova realtà, una creazione nuova, quasi contrapponendola alla prima. E come in principio aveva formato il primo Adamo da terra vergine e immacolata plasmandolo con del fango, ora, allo stesso modo, preparando la sua venuta nella carne, in luogo di quell’altra terra, scelse da tutto il genere umano questa vergine pura e veramente perfetta. In lei rifece nuova la nostra natura, condividendola con noi. Lui, il creatore di Adamo, diede alla luce un nuovo Adamo, perché l’ultimo ed eterno salvasse l’antico>> (In Nativitate Beatae Mariae Virginis,I: PG. 97,812-816). 

Per mons. Carlo Dell’Osso (1965), professore di Patrologia e Storia della Chiesa,  <<la  Mariologia occupa un posto speciale nella riflessione del vescovo Andrea, per lui Maria è l’eletta di Dio, la dimora della sapienza divina che il mondo non può comprendere ed è la collaboratrice dell’opera di salvezza di Cristo. Anche se i vangeli non abbiano parlato dell’assunzione di Maria, Andrea esclude la corruttibilità del suo corpo e insite molto sulla sua santità>>.

Le omelie di Andrea si Creta si rivelarono importanti per lo sviluppo della devozione mariana: esaltò, infatti, la Vergine Madre di Dio quale Immacolata ed

Assunta in Cielo, prefigurando così le definizioni dogmatiche dell’Immacolata Concezione, proclamata dal beato Pio IX l’8 dicembre 1854 e dell’Assunzione di Maria al Cielo proclamato l’1 novembre dell’Anno Santo 1950 da Pio XII.

Andrea di Creta, che morì a Porto di Eresso, Mytilene,  il 4 luglio 740, è venerato da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi; il Martirologio Romano cosi lo ricorda il 4 luglio: <<A Eresso nell’isola di Lesbo, transito di sant’Andrea di Creta, vescovo di Gortyna, che con preghiere, inni e  cantici di raffinata fattura cantò le lodi di Dio ed esaltò la Vergine Madre  di Dio immacolata e assunta al cielo>> 

Le reliquie di sant’Andrea di Creta furono traslate da Mytilene a Costantinopoli. Il pellegrino russo Stefan di Novgorod attesta di aver venerato nel 1350 le reliquie di sant’Andrea di Creta presso il Monastero di sant’Andrea a Costantinopoli.

  Diac. Dott. Sebastiano Mangano

   già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

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